LA MUNICIPALIZZATA PIÙ GRANDE D’ITALIA, CHE GIÀ BALLA SUL BARATRO DEL FALLIMENTO CON UN CONCORDATO PREVENTIVO DA 1,3 MILIARDI DI EURO, DEVE TROVARE 10 MILIONI DI EURO ENTRO IL 30 MAGGIO
Simone Canettieri per “il Messaggero”
Scendete alla prossima: il servizio di trasporto pubblico della Capitale è a rischio revoca.
Nelle pieghe di un burocratico carteggio tra la Motorizzazione di Roma (braccio locale del ministero dei Trasporti) e il Campidoglio a trazione M5S spunta l' ennesima grana per Atac. La municipalizzata più grande d' Italia, che già balla sul baratro del fallimento con un concordato preventivo da 1,3 miliardi di euro che deve essere accettato dal tribunale, adesso si trova davanti a un aut aut.
Ovvero: l' azienda ha tempo fino al 30 maggio per tornare a essere iscritta nel Registro elettronico nazionale (Ren). L' atto è già scaduto da sei mesi. Ora ce ne sono altri due scarsi. Nel frattempo, come atto dovuto, sono già iniziate le procedure di revoca della concessione del servizio di trasporto pubblico. Come nasce questo problema? Per ottenere l' iscrizione al Registro servono delle garanzie finanziarie che al momento non si trovano nella pancia di Atac.
In alternativa, il Campidoglio, per conto della sua controllata, dovrebbe presentare una fideiussione bancaria da 10 milioni di euro.
Finora, però, il giro presso le banche non ha prodotto alcun tipo di risposta. Proprio perché si parla di Atac, società dai conti rossi che più rossi non si può, per la quale nessuno se la sente di fare da garante. E così è nato il problema che alla fine ieri pomeriggio, complice un lancio dell' agenzia Dire, è esploso.
Uscendo dai binari della burocrazia per arrivare fino a Via Nomentana, sede del ministero dei Trasporti. La linea di Graziano Delrio, titolare uscente del dicastero, non è quella dello scontro, vista anche la delicatezza del momento e le possibili ricadute concrete sulla Capitale. Allo stesso tempo l' esponente dem sottolinea come la pratica fosse «nota da tempo al Comune» e che dunque Virginia Raggi non può essere parte passiva della vicenda ma propositiva».
In poche parole: il Comune doveva muoversi prima, invece di arrivare a questa situazione.
Che rimane molto complessa e dunque i toni sono bassi e votati alla ricerca di un accordo per uscire dal tunnel. Stessa linea del Campidoglio che, non a caso, minimizza.
E si limita a dire che «l' ufficio della Motorizzazione ha soltanto riconosciuto ad Atac un termine di 60 giorni entro cui presentare memorie o documenti per riscontrare la propria idoneità finanziaria all' esercizio del trasporto pubblico». Si tratta, è la linea soft che esce dalle stanze della sindaca Raggi, «di un adempimento previsto dalla legge al quale l' azienda sta ottemperando, d' intesa con Roma Capitale».
L' unica via di uscita, nel caso in cui non si trovasse una banca disposta a firmare una fideiussione, porta al tribunale. Con il via libera al concordato preventivo il patrimonio di Atac tornerà in attivo e l' iscrizione al Registro sarebbe automatica. Fino a quel momento servono gli istituti di credito.
Ma se non dovessero esserci e se soprattutto la procedura fallimentare finisse nel peggiore dei modi, allora il banco salterebbe. Forza Italia, con il consigliere regionale Antonello Aurigemma, è pronta a rivolgersi al prefetto Paola Basilone perché «il servizio pubblico della Capitale è a repentaglio». Il Pd coglie l'occasione per andare allo scontro. E con il capogruppo in Campidoglio Giulio Pelonzi chiede «che la sindaca e l'assessore Meleo riferiscano in Aula domani (oggi, ndr)».
La dem Ilaria Piccolo, sostiene, che questa faccenda «mostra ancora una volta i pasticci, l'inadeguatezza e il pressappochismo che caratterizzano l'amministrazione Raggi». La polemica apre un fronte già scavato, quello di Atac, appunto. Nemmeno i radicali, promotori del referendum del 3 giugno sul futuro del trasporto locale a Roma, stanno a guardare. Il deputato Riccardo Magi dice che tutta questa «cagnara» serve a coprire la corretta informazione che il Comune dovrebbe dare ai romani sulla consultazione referendaria.
Dal Campidoglio giocano una doppia strategia. Da una parte gettano acqua sul fuoco e spiegano: «Il servizio non è a rischio, i bus continueranno a correre normalmente» (affermazione che si presta a ironia). Dall'altra, i grillini sottolineano tra le righe che di fatto la cancellazione dell' iscrizione al Ren è un motivo in più per fare in modo che il concordato vada in porto e il Tribunale dia il via libera.
Rimangono i fatti: la Motorizzazione ha attivato le procedure di revoca del servizio, il Comune è alla ricerca di una sponda tra le banche che non si fidano, Atac continua a correre verso l' ignoto. Come possono confermare romani e turisti.
Fonte: qui
PARLA LA PRIMA CONSIGLIERA CAPITOLINA ESPULSA DAI CINQUESTELLE, CRISTINA GRANCIO, DOPO I VOTI IN DISSENSO SULLO STADIO DELLA ROMA:
"IL MOVIMENTO E’ AVVELENATO DAL PORTERE. PRIMA O POI LA GENTE APRIRÀ GLI OCCHI"
Mauro Favale per la Repubblica - Roma
Dice adesso Cristina Grancio, la prima consigliera capitolina espulsa dal gruppo M5S, che «questo Movimento è una grande illusione e prima o poi tutti apriranno gli occhi».
Lei, racconta, li ha aperti poco più di un anno fa, quando non partecipò al voto sullo stadio della Roma a Tor di Valle esprimendo «perplessità sulla proprietà dei terreni». Una posizione che ha dato il via a una procedura di espulsione che si è conclusa pochi giorni fa, quando il gruppo M5S le ha dato il benservito durante una riunione alla quale, dice la Grancio, «io non sono nemmeno stata invitata».
Ha saputo tutto quando le è stata formalizzata l' espulsione con un documento protocollato e datato 12 aprile 2018 che riportava questa motivazione: « Per le sue posizioni in difformità alle indicazioni e alle direttive del gruppo M5S » .
«Ma io - ribatte - ho votato in conformità col programma elettorale del Movimento » . E dunque, sì allo stadio ma non a Tor di Valle, no al nuovo palazzo in piazza dei Navigatori: due questioni urbanistiche di cui la Grancio si è sempre occupata molto da vicino, fin dalla sua esperienza nei meet up territoriali.
«Avevamo un ambizioso programma che potevamo portare avanti aprendoci all' opinione pubblica. E invece ci siamo chiusi, abbiamo chinato la testa e ci siamo piegati ai poteri forti».
«Un M5S avvelenato dal potere» si intitola il suo post su Facebook in cui comunica il suo destino. In Aula Giulio Cesare passerà al gruppo misto e si siederà sul banco dov' era seduta Virginia Raggi quando era all' opposizione. Un gesto simbolico con il quale sfida i suoi ex colleghi che hanno firmato compatti la sua espulsione. « Ha ostacolato il nostro percorso di cambiamento. Va contromano in autostrada mentre tutti vanno dalla parte giusta » , è stato il commento del capogruppo Paolo Ferrara sulla Grancio, prima sospesa, poi riammessa, nel frattempo ostracizzata dal gruppo, esclusa dalle chat e dalle riunioni più importanti come quella di qualche giorno fa, con il capo politico del Movimento, Luigi Di Maio in Campidoglio.
« Subisco quello che di fatto viene definito mobbing», aggiunge.
D' altra parte, lei, la dissidente, una scelta di campo l' aveva già fatta, non seguendo i suoi colleghi nella nuova associazione M5S ( quella nata a fine 2017) e, anzi facendo causa per l' uso del simbolo.
«Lo statuto del 2009 è stato stravolto - spiega - e il capo politico può porre veti rispetto alle decisioni prese da una pseudo democrazia diretta » .
Punta il dito contro « lo staff», un' entità non meglio definita « a cui dovevo rendere conto, mentre io pensavo che bisognasse rendere conto agli elettori».
Ora, dice, si sente più «libera» e voterà «spesso» contro le decisioni della giunta e del gruppo M5S. Intanto ha ricevuto la solidarietà di Stefano Fassina, Sinistra italiana, e di Andrea De Priamo, Fratelli d' Italia. «Andare controcorrente è sempre più difficile - afferma il primo - Grancio è stata espulsa perché coerente e coraggiosa». «La violenza con la quale la Grancio è stata prima emarginata ed ora espulsa - afferma invece l' esponente di Fdi - rappresenta un segnale chiaro dei germi di ortodossia e mancanza di cultura democratica ben visibili nella gestione quotidiana della maggioranza capitolina».
Fonte: qui
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