9 dicembre forconi: Referendum, sul Financial Times: "Italia fuori dall'euro se vince il No". Ma gli osservatori economici sono divisi

lunedì 21 novembre 2016

Referendum, sul Financial Times: "Italia fuori dall'euro se vince il No". Ma gli osservatori economici sono divisi

I grandi giornali finanziari internazionali guardano con preoccupazione all'esito della consultazione del 4 dicembre. Catastrofista lo scenario del britannico FT. Più ottimisti Bloomberg e Wall Street Journal



ROMA - Lo dicono gli esperti di Bloomberg e lo sottolinea il giapponese Norihiro Fujito,  senior investment strategist presso Mitsubishi UFJ Morgan Stanley Securities: il referendum costituzionale italiano del 4 dicembre, accanto al prossimo vertice Opec (i Paesi produttori di petrolio), sarà uno degli snodi fondamentali per capire l'umore dei mercati internazionali nei prossimi mesi. Nonostante un po' di tensione, secondo l'agenzia finanziaria Usa un'eventuale sconfitta del governo Renzi non sarà un evento drammatico per la tenuta del Paese. Catastrofiche invece in caso di vittoria del No le previsioni di Wolfgang Münchau, condirettore del Financial Times, il principale quotidiano economico britannico. "Finché c'è crescita c'è speranza" è il messaggio decisamente più ottimista lanciato dal Wall Street Journal. Per il New York Times, poi, le riforme sono solo una sovrastruttura: il problema vero dell'economia italiana sta nelle poca solidità delle banche, sconfessata però dal governatore di Bankitalia Ignazio Visco.

L'apocalisse europea secondo il Financial Times. Apocalittico è dunque lo scenario tratteggiato da Münchau, condirettore del Financial Times ed esperto di Unione Europea, se il No dovesse avere la meglio: populismi che trionfano in tutta Europa, guidati dall'affermazione di Donald Trump alla presidenza degli Usa e dalla Brexit, e l'euro che si sfalda, con l'Italia in prima fila tra le nazioni che abbandoneranno la moneta unica.

Europa disintegrata e Italia fuori dall'euro. Per Münchau il "5 dicembre l'Europa potrebbe svegliarsi con l'immediata minaccia della disintegrazione". E le cause sarebbero da ritrovare anche nei problemi strutturali dell'economia italiana: "Da quando l'Italia nel 1999 è entrata nell'euro la sua produttività totale è stata di circa il 5%, mentre Germania e Francia hanno superato il 10%". Sarebbe inoltre fallimentare il tentativo di costruire un'unione economica e bancaria efficiente dopo la crisi dell'eurozona del 2010-2012 basata solo sull'austerity, scelta attribuibile secondo il FT al cancelliere tedesco Angela Merkel. "La combinazione di questi due fattori sono la più grande causa dell'esponenziale crescita del populismo in Europa" che per Münchau ha in Italia tre partiti d'opposizione tutti a favore, seppur in modo diverso, dell'uscita dall'euro: i Cinque Stelle, Forza Italia e Lega. 

La minaccia lepenista in Francia. Accanto all'esito del referendum italiano, continua il Financial Times, bisogna prendere in considerazione l'altro possibile grande elemento destabilizzante: la probabilità della vittoria alle elezioni presidenziali francesi di Marine Le Pen.  E se dovesse vincere, "la signora Le Pen ha promesso un referendum sul futuro della Francia nell'Ue. Se questo dovesse portare alla 'Frexit' (l'uscita dall'Ue di Parigi come la Brexit, ndr.), l'Unione europea sarebbe finita il giorno dopo e così l'euro".

La ricetta del FT. Questa serie di eventi potrebbe essere prevenuta solo "se Merkel accettasse ciò che ha finora rifiutato: una road map verso una piena unione fiscale e politica", aggiunge il condirettore del Financial Times. Inoltre dovrebbe anche essere rafforzato "l'European Stability Mechanism", il sistema di salvataggio dei Paesi dell'eurozona che non è progettato per salvare Paesi delle dimensioni di Italia e Francia. In ogni caso per Münchau la previsione più concreta "resta non un collasso dell'Ue o dell'euro ma un'uscita di uno o più Paesi, verosimilmente l'Italia, ma non la Francia".

Il Wall Street Journal: "Meglio un governo tecnico". Non meno allarmanti, seppure meno catastrofiche, le previsioni del Wall Street Journal, che esce oggi con un articolo in prima pagina dedicato proprio alle ricadute sui mercati del referendum italiano. Secondo Riva Gold e Giovanni Legorano, dopo la Brexit e Trump, un eventuale esito negativo della consultazione porterebbe a una caduta dei titoli bancari italiani e a un ulteriore indebolimento dell'euro. "Il referendum si è trasformato in un voto di fiducia sulla capacità del governo Renzi di rilanciare l'economia", sottolinea il Wsj, citando poi Wolf von Rotberg, analista economico di Deutsche Bank, secondo cui l'esito referendario "servirà a impostare il tono per il 2017 sul clima politico e gli investimenti in Italia e in Europa".

Per il principale quotidiano finanziario Usa, in caso di vittoria del No e conseguente caduta dell'esecutivo Renzi, il risultato più auspicabile è "l'istituzione di un governo tecnico", che farebbe meno danni e spaventerebbe meno gli investitori rispetto a un ipotetico governo dei Cinque stelle, "partito antiestablishment che punta a rinegoziare il debito italiano e a indire un referendum sull'euro, destabilizzando tutto il sud Europa". Un'eventuale presa del potere da parte dei grillini potrebbe "far crollare del 20% i principali indici europei", scrive ancora il Wsj citando uno studio di Deutsche Bank. In conclusione l'articolo lascia intravedere un barlume di speranza: "L'Italia è più grande della Brexit - spiega Guy Monson, capo del comitato d'investimento della banca privata svizzera Sarasin & Partners - e finché il Paese è in crescita non possiamo darla vinta alla crisi".

New York Times: il problema sono le banche. Il quotidiano newyorkese ritiene che tra le cause della debolezza economica dell'Italia ci sarebbero le banche, costrette a sostenere "società zombie" che non saranno mai in grado di restituire i prestiti. Ma Ignazio Visco, citato nell'articolo, rassicura: "La maggior parte dei crediti in Italia è sostenuta da garanzie reali  - afferma il governatore della Banca d'Italia - le banche sono il sintomo di sette anni di recessione continua, non la causa".

Fonte: qui

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