Persino un sito piuttosto conservatore come ZeroHedge pubblica un articolo in cui si denuncia il difetto di fondo della nostra economia: è ormai strutturata a vantaggio del capitale e della finanza, non del lavoro e della vera produzione di benessere. Per questo la quota salari nel mondo occidentale è in caduta libera: l’unico modo di guadagnare in questa situazione è spremere il sistema finanziario quanto più possibile.
Di Charles Hugh Smith, 8 settembre 2017
Il rapporto tra il monte salari e il PIL è in caduta libera, come diretta conseguenza dell’ottimizzazione della finanziarizzazione.
Il tallone d’Achille del nostro sistema socio-economico è la stagnazione secolare dei redditi da lavoro, vale a dire di stipendi e salari. Salari stagnanti rovinano tutti i settori della nostra economia: il consumo, il credito, le tasse e, forse ancor più importante, il tacito contratto sociale secondo cui i benefici degli aumenti di produttività e dell’aumentare della ricchezza dovrebbero essere distribuiti largamente, se non proprio equamente.
Questo grafico mostra che il declino della quota salari del PIL non è un problema recente, ma un trend che dura da 45 anni: nonostante qualche sparuto recupero, i lavoratori (ossia coloro che guadagnano attraverso un lavoro/impiego) hanno visto la loro fetta di PIL decrescere, a prescindere dalla situazione economica o politica.
Stipendi e salari come percentuale del PIL
La quota legata a stipendi e salari in percentuale sul PIL è declinata indipendentemente dalle condizioni macro, la domanda di lavoro è cresciuta solo durante il boom delle dot.com.
Data la gravità delle conseguenze di questa tendenza, gli economisti mainstream hanno sudato in ogni modo per spiegarla, nel tentativo di riuscire a invertirla. Le spiegazioni includono a volte l’automatizzazione, la globalizzazione/delocalizzazione, il prezzo alto degli immobili, il declino della competizione tra multinazionali (vale a dire il dominio di cartelli e di semi-monopoli), il sistema di istruzione inadeguato ai tempi, i bassi aumenti di produttività e via dicendo.
Ognuna di queste dinamiche potrebbe avere accentuato questa tendenza, ma nessuna rivaleggia con la forza dominante che ha fatto ristagnare i salari e aumentare l’iniquità di reddito e ricchezza: la nostra economia è ottimizzata per la finanziarizzazione, non per i lavoratori.
Ma che cosa significa che la nostra economia è ottimizzata per la finanziarizzazione? Significa che il capitale e i profitti finiscono nelle tasche di pochi grazie ai meccanismi creati dall’accesso asimmetrico alle informazioni, ai vantaggi e al credito a buon mercato – i motori della finanziarizzazione.
L’ottimizzazione consiste in una complessa sovrapposizione di sistemi collegati dinamicamente tra di loro: la banca centrale ottimizza il flusso di credito a buon mercato verso il settore bancario/finanziario, lo Stato centrale approva tacitamente il consolidamento di cartelli e semi-monopoli, e concede sconti fiscali mostruosi alle multinazionali, proprio mentre porta a livelli intollerabili le tasse e le imposte sui lavoratori e sui piccoli imprenditori.
La finanziarizzazione convoglia i benefici dell’economia verso coloro che hanno accesso agli opachi processi finanziari e ai flussi di informazioni, al credito a basso costo delle banche centrali e alle leve delle banche private. Insieme, questi elementi permettono ai finanzieri e alle multinazionali di ottenere a prestito il capitale necessario per acquisire e consolidare gli asset produttivi dell’economia, e di “commoditizzarli”, ossia trasformarli in strumenti finanziari che possono essere venduti e comprati sul mercato globale.
Questi asset “commoditizzati” includono i mutui, i prestiti agli studenti, e forze di lavoro specializzate che vengono “vendute” con i loro datori di lavoro oppure trasformate in oggetto di speculazione nel mercato globale. Una volta che un asset ha fatto questa fine, il flusso dei profitti va nella direzione di chi processa le transazioni, impacchetta e commercia questi asset globalmente.
Prendiamo per esempio i finanziamenti per comprare un’auto: i veri soldi non si fanno nell’incamerare gli interessi dei prestiti; il grosso guadagno si realizza lavorando e assemblando i prestiti in tranche che possono essere poi rivendute agli investitori sul mercato globale.
Per capire la finanziarizzazione possiamo chiederci: nella nostra economia, qual è la maniera più veloce, più semplice per guadagnare 10 milioni di dollari? È mettere in piedi un business basato sul lavoro di dipendenti per dieci o vent’anni?
Non prendiamoci in giro. La maniera più semplice per guadagnare 10 milioni di dollari è fare parte del team di una banca di investimenti che supervisiona un’acquisizione o una fusione aziendale da 10 miliardi di dollari, oppure investire denaro in una società di tecnologia che successivamente si quota in borsa.
E cosa ne dite della maniera migliore per guadagnare in fretta 100 milioni di dollari? La risposta è la stessa: sfruttare la vena aurifera di ricchezza finanziaria basata su asset “commoditizzati”, leva e credito.
La quota salari del PIL è in caduta libera come diretta conseguenza dell’ottimizzazione della finanziarizzazione. I soldi scorrono verso coloro che hanno capitale, credito ed esperienza nell’ottimizzare gli schemi finanziari. E quanto al vendere il proprio lavoro in un’economia ottimizzata per il capitale e le asimmetrie della finanza: non c’è spazio per il lavoro in un’economia come questa, salvo per le abilità tecniche/manageriali richieste dalla finanza per sfruttare i mercati.
Ecco quale è la spinta che porta all’aumento dell’iniquità nella distribuzione della ricchezza, come emerge dal grafico qui in basso.
Storia di due paesi
Quota di reddito lordo distribuita al 50% delle persone che guadagnano di meno (azzurro) e all’1% di quelle che guadagnano di più (rosso) negli Stati Uniti, 1962-2014.
Fonte: qui
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