9 dicembre forconi: Un Governo democristiano travestito da rivoluzione: ecco l’accordo di programma dei Cinque Stelle

domenica 6 maggio 2018

Un Governo democristiano travestito da rivoluzione: ecco l’accordo di programma dei Cinque Stelle

Manca solo l’avvertenza di non uscire nelle ore più calde e di bere tanta acqua, nella bozza di contratto di governo stesa dal professor Giacinto della Cananea a uso e consumo del Movimento Cinque Stelle e della loro spasmodica ricerca di un alleato di governo. Tredici pagine di ovvietà che sembrano prodotte da un generatore automatico di programmi democristiani:una gestione ordinata e balneare dell’esistente che tradisce clamorosamente l’afflato rivoluzionario del Movimento Cinque Stelle, né il senso d’urgenza sulla necessità di cambiare, per salvare il Paese. Soprattutto, mostra che i programmi sono fuffa purissima, supercazzole che forse nemmeno dovremmo più prenderci la briga di leggerli, per togliere loro quel brandello di legittimità rimasta.

Così, testuale, per costruire un futuro per giovani e famiglie bisogna prima di tutto prevenire la violenza contro donne e bambini e promuovere i valori della convivenza civile e non guardare più a formazione e istruzione universitaria come percorsi ordinati in modo gerarchico, qualunque cosa voglia dire. E ancora, sorpresa, per contrastare la povertà si parla esplicitazione di “potenziamento degli attuali strumenti di sostegno al reddito” e alla “necessità di associare il sostegno al reddito a programmi di attivazione”. In altre parole, ciao ciao reddito di cittadinanza, qualunque cosa tu fossi. E già che ci siamo, ciao ciao pure a Nino Di Matteo e alle sue idee da Torquemada per riformare la giustizia: qui si parla, al più, di migliorare l’organizzazione della giustizia penale. E ciao ciao pure al taglio delle tasse, che diventa “ricalibrazione della pressione fiscale”. De Mita non avrebbe potuto dire di meglio.

Tredici pagine di ovvietà che sembrano prodotte da un generatore automatico di programmi democristiani: una gestione ordinata e balneare dell’esistente che tradisce clamorosamente l’afflato rivoluzionario del Movimento Cinque Stelle.
Un po’ di ovvietà populiste ci sono, sia chiaro, se no non staremmo parlando di un documento redatto dal Movimento Cinque Stelle. Il bello è che pure su quelle si è cercata una convergenza, scegliendo con cura quelle che dicono tutti: ad esempio, la necessità di fare un disegno di legge per le Pmi, perché “la piccole e medie imprese costituiscono una risorsa preziosa per il futuro dell’Italia”, tutte, indistintamente, in quanto piccole e medie. Ok. E ancora, ecco “l’energica difesa dei prodotti di qualità dell’economia italiana”, dei Dop e degli Igp, nella più trita tradizione della retorica sul made in Italy. E, immancabile, l’investimento nella banda larga – della Cananea le chiama “infrastrutture elettroniche”, come avrebbe sicuramente fatto Fanfani – e nelle infrastrutture ferroviarie, che suona un po’ anacronistico nell’era della automobili elettriche e che si guidano da sole. Ma tant’è, viva il treno, spina dorsale del Paese.

Tocca accontentarsi, allora, di un paio di sviste. Ad esempio, stentiamo a credere che il Movimento Cinque Stelle, che tanto si era coccolato i No Tap, si svegli improvvisamente dal torpore richiamando alla necessità di potenziare “le infrastrutture relative al gas, relativamente al quale (testuale, ndr) è essenziale la sicurezza degli approvvigionamenti”. Nessun cenno agli ulivi secolari. Qualcosa non torna. 

E non torna pure il fatto che da nessuna parte si faccia parola di una controriforma pensionistica, che abroghi la tanto odiata legge Fornero. E, infine, suona strano sentir parlare di politiche di razionalizzazione della spesa pubblica, senza accenno alcuno allo sforamento dei parametri di Maastricht. 

D’altra parte, il governo “forte e duraturo” per il cambiamento dell’Italia i trattati europei non li vuole toccare nemmeno con un bastone da pollo. Tutti, tranne il Regolamento di Dublino sui richiedenti asilo: l’unico contro la cui riforma il Movimento Cinque Stelle ha votato contro. Standing ovation.


Renzi-Di Maio, era quasi accordo. Ma la Boschi ha fatto saltare tutto


Renzi stava lavorando da giorni a un'intesa con i 5Stelle. Le cose sembravano fatte, ma la vittima sacrificale dell'accordo, Maria Elena Boschi, ha fatto saltare la trattativa. Mandando su tutte le furie Di Maio, i big del Pd e Mattarella

VINCENZO PINTO / AFP

Alla fine il Pd ha deciso di non decidere. Almeno per il momento è stata sventata l'ipotesi di una conta interna che avrebbe lasciato sul campo un partito spaccato a metà. La mediazione è coincisa con il rinnovo a tempo (molto determinato) della fiducia nei confronti del reggente Maurizio Martina e l'impegno a convocare l'Assemblea nazionale quanto prima (nel mese di maggio). Questa assise, a sua volta, darà il via al percorso congressuale che, situazione politica permettendo, terminerà con l'elezione del nuovo segretario nelle prime settimane dell'autunno di quest'anno. A quel punto, la conta ci sarà eccome.

Ma come si è arrivati a questo punto d'incontro dopo una vigilia tanto minacciosa? 

Può sembrare un paradosso ma l'artefice principale della (momentanea) riappacificazione in casa dem è quel Matteo Renzi che fino a poche ore fa veniva considerato il più deciso ad andare fino in fondo. I minuti immediatamente precedenti alla riunione sono stati decisivi, quando in una stanza del Nazareno si sono incontrati l'ex leader e il suo successore. «Io ti voto la fiducia perché non voglio spaccature, ma solo fino all'Assemblea perché ora abbiamo bisogno di un congresso»: sono state più meno queste le parole dette da Renzi a Martina. Il quale, durante la sua relazione, non ha risparmiato alcuni fendenti nei confronti della gestione precedente del partito. Ma in questa fase per l'ex rottamatore era necessario ricucire.

Ricucire una frattura che porta la sua firma, soprattutto per quanto è successo nei giorni scorsi. Secondo fonti ben informate e molto vicine al Giglio Magico, infatti, Renzi, a dispetto di quanto dichiarato pubblicamente, stava lavorando eccome ad un'intesa con i Cinque Stelle

Tanto che la ormai famosa lettera di Di Maio al Corriere della Sera, uscita domenica scorsa, sarebbe addirittura stata concordata con lo stesso Renzi, prima della sua ospitata da Fazio. Il "senatore semplice di Scandicci" aveva l'appoggio di quasi tutti i big del partito e, soprattutto della stragrande maggioranza degli amministratori locali, allarmati dal crollo del Pd e molto ben disposti ad allargare il loro margine d'azione insieme al M5s.

Su questa linea, comunicata anche a Mattarella (il quale non avrebbe mai accettato alla cieca le rassicurazioni di Fico che parlava sommariamente di "esito positivo" del suo incarico esplorativo della scorsa settimana), Renzi aveva posizionato un po' tutti nel Pd. Da Delrio al recalcitrante Marcucci, da Lotti (uno dei Gigliati che si è speso di più per l'accordo), a Gentiloni, allo stesso Martina che spingeva per l'intesa. La strategia era quella di far sudare sette camicie ai Cinque Stelle, affidando le trattative a Minniti e Franceschini, ma di arrivare comunque ad un esito positivo. Prendendosi tutto il tempo che ci voleva e cercando di convincere anche i pasdaran più dubbiosi.

Qualcosa, però, è cambiato in maniera repentina, tanto che l'intervista a 'Che tempo che fa', che doveva segnare la definitiva svolta, si è trasformata in un attacco diretto al Movimento Cinque Stelle, cui ha fatto seguito la dura reazione di Martina e lo scontro che si è registrato nei giorni successivi fino a ieri.

Ma perché Renzi ha cambiato idea così in fretta e così violentemente? Secondo la nostra fonte un ruolo decisivo è stato giocato, come sempre, da Maria Elena BoschiErano i giorni in cui lei andava in giro dicendo che «ormai contro l'accordo con i Cinque Stelle siamo rimaste io, io e io'. Lei sapeva benissimo che sarebbe stata la vittima sacrificale di un'intesa con Di Maio e soci, indisponibili ad inserire il suo nome in qualsiasi tipo di trattativa. E così ha agito sull'ego del capo, facendogli cambiare idea e ribaltare il tavolo, convincendolo a far saltare tutto. Una decisione che ha mandato Di Maio su tutte le furie, ma soprattutto in tilt il partito e in confusione lo stesso Renzi, intimorito dalla reazione dei dirigenti dem e dalla prospettiva di una conta in Direzione.
«Ancora fino a ieri mattina - dice il nostro informatore - Matteo ha provato a mettersi in contatto con Franceschini per provare a ricomporre la rottura, ma Dario si è sempre negato al telefono. Questa volta ha veramente esagerato». La stessa idea se la deve essere fatta il presidente della Repubblica, che è rimasto completamente spiazzato dal voltafaccia di Renzi. A cui non è sfuggito che nella nota in cui convocava nuove consultazioni per lunedì, il Capo dello Stato dichiarava chiusa la possibilità di un governo Pd-M5s, poche ore prima della Direzione che, in teoria, era stata convocata esattamente per esprimersi su questo.

Ad una prima lettura questa presa di posizione sarebbe potuta sembrare un'apertura di credito verso Renzi, in realtà è esattamente il contrario. Con la chiusura del forno Pd-M5s, Mattarella ha sgombrato il campo della Direzione dall'alibi di spaccarsi sulla possibilità o meno di aprire ad un'intesa con i Cinque Stelle, spostando il focus della discussione proprio sul futuro del Pd, sul ruolo di Renzi e quello di Martina. Esattamente ciò che l'ex rottamatore non voleva e che ha provato ad arginare fin da subito, nei giorni scorsi, con il documento scritto da Guerini e firmato dalla maggioranza dei parlamentari dem in cui si chiedeva di "evitare conte dannose". Un documento che ha avuto il merito di fare chiarezza sulle posizioni dello stesso Renzi, che temeva l'effetto "scacco matto".

Fonte: qui

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