Il Messico ha voltato la pagina della trentennale notte neoliberista con un trionfo clamoroso -peró previsto da tutti- di Andres Manuel Lopez Obrador (AMLO). Il nuovo presidente é uno sperimentato politico istituzionale, ex governatoredella regione petrolifera del Tabasco, fedele alla tradizione nazional-popolare. Quella della nazionalizzazione del petrolio e della difesa della sovranitá nazionale, raggiunta dall'espressione piú alta della rivoluzione messicana, con la presidenza del generale Lazaro Cardenas.
Il 53% di voti confluiti su AMLO é un risultato di grande rilevanza -non solo politica- per la societá messicana e per la regione latino-americana. Si tratta di una vasta alleanza politica e sociale formata da contadini, operai, indigeni, ceti medi e imprenditoria (non solo piccola o media).
Il plebiscito a favore di AMLO é il risultato dell'ingiustizia dilagante e della scia di sangue delle 200000 esecuzioni (in 5 anni!) per mano delle narcomafie e degli apparati repressivi. Ignorata dai fini palati "umanitaristi" del cosiddetto occidente, sempre lesti a stilare classifiche criminalizzanti sui governi o Paesi non funzionali al globalismo.
La lotta alla corruzione é al primo posto delle prioritá del nuovo presidente, e questo ha un risvolto e implicazioni sul potere giudizario e poliziesco, con riflessi diretti sull' emergente economia criminale.
AMLO ha potuto scalzare governi seriali e interscambiabili, antinazionali e antipopolari, espressione estremista dell'elitismo piú antisociale, grazie alla costruzione di una alleanza di ampie dimensioni, che rendono fuorvianti gli schemi ancorati al secolo XIX e XX.
Tutto questo é ravvisabile nell'entourage dei piú stretti collaboratori di AMLO, che spinge in offside i media anglosassoni e il loro sproloquio su una vittoria della "sinistra radicale". E quest'ultima a censurare anzitempo, per l'insuperato miopismo manicheo, che induce a confondere il potere politico e legislativo con quello economico, mediatico, militare, finanziario e religioso.
Meglio tacere di quanti -pur incapaci di conquistare fulmineamente il Palazzo d'Inverno- coltivano la credenza che tutto è questione di decreti radicali o purezza dei principi della fede. Rimuovono l'importanza decisiva dei rapporti di forza reale, rinunciando così all'egemonia possibile per salvare veritá talmudiche.
AMLO ha rivolto una breve allocuzione ai suoi sostenitori riuniti nell'emblematica piazza del Zocalo, che da sempre é lo scenario degli eventi trascendentali della nazione azteca. Non ha annunciato cataclismi né maremoti in campo finanziario, ha garantito che non vi saranno espropriazioni e che governerà per tutti, ma l'impegno principale sarà a favore dei settori più poveri e indifesi. Abolirà la riforma dell'istruzione perché é volgare privatizzazione, stravolgimento della conoscenza, riduzione del sapere a lucrativa occasione di business.
"Lavoreremo affiché la gente possa lavorare lí dove ha la famiglia, dove stanno la cultura e gli affetti, e chi vorrá emigrare sará perché lo desidera, e non costretto dalla penuria", ha detto tra gli applausi il neopresidente AMLO. Ha promesso che saranno riesaminati e vagliati tutti i contratti della frettolosa e sospetta privatizzazione della statale petrolifera, e tutti quelli irregolari o illegali saranno annullati.
I nuovi orientamenti della diplomazia e l'America latina hanno trovato posto nelle parole di AMLO, annunciando il ritorno ai principi del "rispetto della sovranità, non ingerenza e soluzione pacifica dei conflitti". Con questo, il Messico riapre la sua porta e le finestre al resto del continente americano, da cui era stato separato per imposizione dei neoliberisti, autorizzati a guardare solo e sempre agli USA e Canada, su cui hanno calibrato ogni tipo di politica. Anche svantaggiosa, purché in sincronia o genuflessa alla dogmatica liberista.
Il nuovo presidente ha di fronte a sé sfide ardue, cominciando dalla dipendenza assoluta al trattato di libero commercio, che fa sí che il 70% delle esportazioni messicane sono dirette agli USA. Situazione aggravata con il muro di Trump alla frontiera, il ritorno al protezionismo, la deportazione di lavoratori messicani e il nuovo negoziato per accordi commerciali bilaterali. Persino l'agricoltura, ora distrutta dall'importazione illimitata dei cereali transgenici canadesi e USA, non garantisce piú la storica autosufficienza del mais, basilare nell'alimentazione. "Dobbiamo tornare a produrre quel che consumiamo" ha promesso AMLO.
La vittoria di AMLO leva una brezza di speranza in America latina, come una boccata di ossigeno per i governi anti-liberisti sottoposti a rappresaglie commerciali e finanziarie. Risulta come uno stimolo morale per l'incremento della resistenza antiglobalista in Bolivia e in Brasile, e in quella "stalingrado" che é diventato il Venezuela dopo le sanzioni "occidentali".
I voti dei messicani spronano e infondono speranza in Brasile, dove l'ex presidente Lula é prigioniero ed ostaggio dell'oligarchia globalista per impedire ad ogni costo che torni alla guida della nazione piú popolata e dell'economia più importante dell'America latina. L'elezione di AMLO, direttamente o no, é comunque una buona novella anche per l'Argentina indomita. Ancora una volta sacrificata e riconsegnata alle drastiche terapie del FMI e di Cristine Lagarde, appena ripartita da Buenos Aires con il nuovo bottino nella bisaccia.
Bentornato Messico in America latina che ha sofferto come una amputazione la sua prolungata assenza. Ci sarà un riequilibrio geopolitico regionale sensibile, che avrá riverberi anche nei rapporti di forza interni alla Patria Grande. Come primo atto, la sterilizzazione della perniciosa iniziativa del Gruppo di Lima, autentico cavallo di Troia di Washington.
3 Luglio 2018
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