La prima consegna di greggio fisico avvenuta nei giorni scorsi, che regola il primo future petrolifero quotato in valuta cinese, è una buona occasione per fare il punto sul petroyuan e sugli effetti che nel medio e lungo periodo questo strumento può svolgere non solo sui mercati petroliferi ma anche su quelli finanziari e quindi inevitabilmente politici. Può sembrare un vezzo da specialisti, monitorare il regolamento di un contratto future. Ma in realtà è un passaggio fondamentale per testare la solidità del processo messo in piedi dalle autorità cinesi che ha condotto alla quotazione del future. Se la consegna per una qualsiasi ragione avesse incontrato intoppi, il future cinese avrebbe sostanzialmente fallito la sua prova di mercato. Al contrario, tutto è andato come da copione. Le cronache riportano che sono stati consegnati 601.000 barili di greggio sour mediorientale per un valore di 293 milioni di yuan, pari a circa 42,6 milioni di dollari. Lo Shanghai International Energy Exchange (INE), la borsa dove è quotato il future, non ha fornito l’identità degli acquirenti. Alcune fonti però alludono genericamente a compagnie finanziarie e ad almeno una compagnia cinese a controllo pubblico, la Yongan future.
Conclusa la regolazione, l’attenzione degli analisti si è spostata sull’andamento finanziario del future, che per una serie di ragioni legate probabilmente ai costi di storage e alla situazione internazionale è andato in contango già dal 21 agosto con il contratto in scadenza a dicembre. Quindi i prezzi futuri di dicembre sono superiori al prezzo spot corrente e tuttavia gli acquisti si son concentrati proprio su questa scadenza già dalle metà di agosto. Agli inizi di settembre i lotti scambiati su questo contratto avevano toccato quota oltre 348 mila lotti, poco sotto il record di oltre 367 mila contratti dell’8 agosto raggiunto però dal future di settembre ormai vicino alla scadenza. La preferenza dei trader sul future di dicembre, ossia il contratto più lontano nel tempo, non è usuale nei grandi mercati dei derivati, dove di solito la liquidità si concentra sul contratto più prossimo (cd prompt-month), quindi quello del mese successivo a quello in scadenza. Questa caratterista del future cinese denota l’utilizzo più che altro speculativo che ne fanno i trader, peraltro in gran parte clientela retail cinese. Avere tre mesi di tempo prima della scadenza, insomma, dà più margini per speculare sui prezzi e lasciare il mercato prima della consegna fisica. In tal senso in questi primi sei mesi di attività il petroyuan, secondo diversi osservatori, più che un termometro della domanda cinese di greggio, che ricordiamo essere ormai sostanzialmente la prima al mondo, è un indicatore dell’attitudine speculativa dei suoi partecipanti. Le cronache riportano che in oltre 30.000 avrebbero aperto un account all’INE e almeno una decine di grandi compagnie, cinesi e non, hanno iniziato da subito a utilizzare il petroyuan. Secondo alcune stime, dal momento del lancio al 31 agosto scorso sono stati tradati a Shangai oltre 11 milioni di lotti per un valore di circa 5,39 trilioni di yuan, superando di gran lunga il DME Oman future. Gii osservatori stimano che ormai il 15% di queste posizioni siano estere, rispetto al 5% dei primi due mesi di trading. Insomma: il petroyuan mostra un gradimento crescente, ma soprattutto inizia a penetrare nell’economia reale del petrolio.
A parte la consegna di settembre, che sarà servita a rassicurare chi il greggio lo compra sul serio, gli analisti hanno osservato la nascita di un certo collegamento “spontaneo” fra il future cinese e Dubai. La preferenza finora mostrata per i contratti in petroyuan a intervallo trimestrale, infatti, si combina bene con i meccanismi di mercato della cittadina araba visto che il future ha come sottostante il Middle eastern sour, contrattato a Dubai, e soprattutto si sposa col ciclo di mercato di questo greggio che tratta cargo con merce spedita a due mesi, in coerenza con i 20-35 giorni che servono per raggiungere la Cina dal Golfo Persico. E non ci sono solo ragioni tecniche, ossia legate al funzionamento dei mercati, a lasciar immaginare grandi spazi di crescita nell’economia reale del petroyuan. La variabile politica è sicuramente quella più interessante. Cronache più o meno interessate sottolineano le enormi opportunità che si aprono per il petroyuan adesso che diventa imminente l’applicazione completa delle sanzioni Usa all’Iran. Dal prossimo novembre sarà molto difficile per gli iraniani vendere petrolio in dollari, e poiché la Cina rimane uno dei principali clienti della Repubblica Islamica, nulla di più semplice che usare uno strumento che già esiste – il petroyuan – per quotare e scambiare greggio contro valuta.
Qualcosa di simile starebbe accadendo anche fra Russia e Cina. Secondo questi resoconti Mosca e Pechino sono intenzionate a incrementare il valore delle transazioni denominato in rubli e yuan. I media riportano che il capo del Russian Direct investmente fund, Kirill Dmitriev, avrebbe annunciato lo scorso 12 settembre all’Easter Economic Forum (EEF) di Vladivostok che i primi accordi in valute locali avverranno all’inizio del prossimo anno e che esiste un’intesa con la China Development Bank per creare un fondo in valuta cinese da almeno dieci miliardi per sostenere questi scambi. L’intenzione è di scambiare beni per 100 miliardi di valore in prima battuta per arrivare a 200 nel medio termine. Una scelta che ha anche un certo senso economico se si osserva che la Cina, secondo alcuni resoconti, pesa circa il 15% del commercio russo e che il commercio bilaterale è cresciuto del 31,5% nel 2017 raggiungendo gli 87 miliardi. Peraltro pare che l’interscambio in valute locali sia già avviato da un pezzo.
La Cina avrebbe pagato nel 2017 il 9% delle sue fornitura dalla Russia in rubli mentre le compagnie russe avrebbero pagato il 15% delle loro importazioni in Yuan. Il fatto che la Russia sia il primo fornitore di greggio della Cina potrebbe semplificare molto l’adozione del petroyuan nello scambio fra i due paesi.
E qui si arriva al punto che trasforma una questione da specialisti – un future sul greggio – o al limite da studiosi del commercio internazionale – l’interscambio russo-cinese – in un affare di stato. Anzi: di stati. La diffusione di scambi in yuan implica l’aumento del volume di transazioni valutarie in moneta cinese, ancora poco significativo, soprattutto a causa dell’inconvertibilità dello yuan, ma soprattutto perché sinora il commercio internazionale è stato denominato in gran parte in dollari. Anche su questo tema, resoconti più o meno interessati ipotizzano che l’evoluzione del quadro politico internazionale stia lentamente traghettando il mondo verso un sistema multi-valutario, dove il Re dollaro, seppur fra molte resistenze, e in parte per precise scelte degli Usa (dazi, sanzioni) sta lentamente perdendo quote di mercato. E’ presto per dire se queste previsioni siano sensate. Ma sarebbe poco saggio ignorarle.
Fonte: qui
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