IL PAESE CHIAMATO AD IMPEDIRE ALTRE FUGHE È L' ARABIA SAUDITA, CHE FU LEADER DI FATTO DELL'ORGANIZZAZIONE, E PER QUESTO ALLEATO PRIVILEGIATO DEGLI USA.
TRUMP SPINGE SU RIAD PER TENERE BASSI I PREZZI DEI CARBURANTI.
MA PUTIN VUOLE IL CONTENIMENTO DELLA PRODUZIONE PERCHÉ GLI COSTA CARO ESTRARRE
Flavio Pompetti per “il Messaggero”
Chi seguirà il Qatar sulla rotta della fuga dall' Opec?
Dopo l' annuncio di ieri a Doha gli analisti del mercato del petrolio puntano gli occhi su Vienna, dove domani e il giorno dopo i 14 membri superstiti del cartello si riuniranno per fare il punto della situazione, e decidere la rotta comune. La defezione del Qatar non è di per se rilevante: lo stato del Golfo produce solo il 2% del petrolio mondiale, e la sua assenza a partire da gennaio non avrà conseguenze sulla capacità decisionale.
Il problema è invece il successo che l' Opec non ha nel far rispettare le quote che vengono assegnate ai singoli stati membri.
Nel mese scorso molti di loro hanno estratto in eccesso, con il risultato di vanificare l' obiettivo di fermare la caduta dei prezzi, che sono scesi del 30% rispetto al picco di 82 dollari a fine ottobre. Il primo a rompere le righe è stato l' Iraq, un paese devastato dalla guerra, e che ancora dipende dal petrolio per il 90% della sua economia. Nelle stime del governo occorrono 100 miliardi di dollari per ricostruire le infrastrutture perdute negli ultimi tre anni di campagna contro l' Isis, e per riavviare la crescita.
Il mese scorso i pozzi del paese hanno estratto 4,76 milioni di barili al giorno, contro la media annuale di 3,2 milioni. Lo sconfinamento è però ancora al disotto dei 5 milioni di barili che il ministro del petrolio fresco di nomina Thamir Ghadhban ha dichiarato necessari nel lungo termine per l' amministrazione del suo paese. Tutti questi dettagli fanno dell' Iraq un candidato possibile per un secondo strappo dall' Opec, che se dovesse occorrere sarebbe però fatale. Il paese è il secondo per ordine di produzione all' interno del cartello, e una sua defezione aprirebbe alla totale anarchia, visto che Libia, Venezuela e Nigeria da tempo scalpitano per essere esentate dagli accordi, e spesso li violano.
GLI APPELLI
Il paese chiamato ad impedire altre fughe è l' Arabia Saudita, fino a dodici anni fa il leader di fatto dell' organizzazione, e per questo motivo alleato privilegiato degli Usa. La casa reale di Riad è infatti il principale destinatario degli appelli sempre più urgenti che Donald Trump sta lanciando da Washington, perché da Vienna si esca venerdì con un accordo che confermi la piena disponibilità di prodotto, e quindi una garanzia sul contenimento dei prezzi.
Su questa strada però i sauditi devono fare i conti con la Russia, un paese che estrae a costi molto alti, e ha quindi bisogno di spingere una politica di contenimento della produzione. Dal 2006 Mosca è accettata ai summit dell' Opec come paese non associato, ma di fatto ha acquistato un grande potere di influenza, visto che con l' Arabia e gli Usa fa parte della nuova triade dei padroni dell' oro nero.
A Buenos Aires lo scorso fine settimana Putin si è accordato con Mohhammed bin Salman per una riconferma del taglio di un milione di barili al giorno che da due anni regola la produzione Opec. L' ultima variabile di questa complessa scacchiera sono gli Usa, dove l' interesse del presidente a calmierare il mercato non coincide con quello dei produttori, molti dei quali sono appena tornati ad estrarre dopo l' ondata di chiusure del 2015. Se l' asticella dei prezzi dovesse tornare sotto i 50 dollari al barile, molti di loro torneranno a protestare direttamente contro la Casa Bianca.
Fonte: qui
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