Il 2017 segna una decisa riduzione delle sofferenze bancarie e viene celebrata dall’ABI e dal sistema bancario come un’importante buona notizia. Nel bollettino bancario pubblicato due giorni fa dall’ABI viene messa in risalto la riduzione delle sofferenze nette da 86,8 miliardi a 64,4 in un anno. Potrebbe essere effettivamente una buona notizia per le banche italiane marcate strette da BCE e Unione Europea che emettono regolari richiami ad accelerare la vendita di NPL per rientrare negli standard europei.
Il calo delle sofferenze nelle banche è veramente una notizia positiva per il sistema Paese?
Per le banche quasi sicuramente, soprattutto se il calo deriva da cessioni a prezzi non troppo sacrificati (i valori di cessione rimangono volutamente opachi) e se le cartolarizzazioni attraverso cui molti NPL escono dai bilanci e rientrano nella stessa banca sotto forma di titoli con rating ma con la garanzia dello Stato (GACS) il percorso di disintossicazione dagli asset tossici nostrani migliora la situazione complessiva. C’è ancora molta strada da fare come richiamato da Daniele Nouy in varie sedi (vedi riquadro)
ma siamo sulla strada giusta finalmente.
Per rispondere alla domanda non va dimenticato che le sofferenze non sono state cancellate, non sono scomparse magicamente. Sono solo traslocate presso altri proprietari: i fondi specializzati che le hanno acquistate e fanno vere e proprie gare per aggiudicarsi le prossime in vendita oppure in veicoli di cartolarizzazione gestiti per ottenere il massimo recupero attraverso contratti con società di servizio. Quindi ad ogni cessione di NPL corrisponde un’accelerazione del processo giudiziale e stragiudiziale di recupero: velocità e quantità di recupero determinano banalmente il profitto per l’acquirente dei portafogli di NPL o dei titoli cartolarizzati a fronte di masse di NPL. Gli effetti di questa corsa al recupero non sono ancora noti, ma si accompagnano a una pressione del governo legislatore sulla magistratura per consentire la più facile aggressione dei beni dei debitori. In altre parole molti debitori non si troveranno più a fronteggiare nei tribunali fallimentari banche pigre e pasticcione nel presentare faldoni di documenti, ma legali specializzati ed agguerriti insieme alle società di recupero incentivate a recuperare di più e più in fretta. La cartina predisposta da Pwc nel rapporto ‘”The Italian NPL Market” di dicembre mostra dove colpiranno con maggiore intensità: Lombardia, Veneto, Emilia, Toscana e Lazio.
Teniamo anche in debito conto che l’83% dei NPL è rappresentato da debito di imprese piccole medie e grandi. Proporzionalmente più rilevante la quota di grandi debitori, ma numericamente rilevante su PMI e micro-imprese (società di persone 8% del totale).
Questa suddivisione per importi giustifica l’impressione che il recupero si dirigerà verso piccole imprese nel 39% dei casi (crediti fino a 1.000.000€)
Altre statistiche indicano che circa la metà delle sofferenze godono di garanzie reali, probabilmente in quota assai più elevata su micro e piccole imprese dove regolarmente la garanzia è fornita non soltanto dalle ipoteche su immobili ma anche dai beni personali dei soci che rispondono con il patrimonio. Un patrimonio quasi sempre rappresentato da immobili privati (abitazioni e seconde residenze). E questo è il punto e il dubbio del titolare di questo blog. Fondi e società di recupero stanno facendo la punta alle loro matite per aggredire velocemente qualsiasi garanzia disponibile e quelle immobiliari sono nettamente le più frequenti in Italia.
Nulla in questa ricostruzione implica che chi detiene il credito non possa rivalersi sul debitore, anzi lo prevede la legge. Tuttavia la guerra tra recuperatori e debitori è appena cominciata e nessuno in Italia ha la più pallida se l’aggressione a decine di migliaia di immobili residenziali possa trasformarsi in un nuovo problema sociale (come già avvenuto inizialmente in Spagna) né quali riflessi possa avere sui prezzi del mercato immobiliare. Perché quando l’immobile viene tolto al debitore moroso poi va rivenduto per monetizzare.
Di certo qualche segnale comincia ad avvertirsi e circolare. Ad esempio chi come Intesa SanPaolo sta scegliendo la strada di un recupero gestito internamente sta mettendo sul mercato questa tipologia di immobili a prezzi che appaiono lontani dai mutui che erano stati concessi:
A meno che Intesa si sia trasformato in agente immobiliare (e sta accadendo) la tipologia di questi immobili ha l’aria di provenire da sofferenze ed è facilmente riferibile a società di persone e quindi con possibilità di aggressione anche sul patrimonio personale dei soci, non necessariamente limitato al laboratorio o al capannone.
Se il processo di trasferimento delle sofferenze dal perimetro delle banche è stato e sarà sostanzialmente indolore (tranne per le banche già fallite e quelle poche che seguiranno la stessa sorte) il processo di recupero dai debitori è ancora tutto da scrivere e potrebbe trasformarsi in una pagina non piacevole di questo già travagliato paese. Effetti collaterali che sembrano avere toccato anche la politica che nella convulsa corsa a raccogliere voti decisivi si è spaccata proprio su questo argomento come potete leggere in questo articolo tra chi difende le banche e chi i debitori. Fonte: qui
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