9 dicembre forconi: Le orchestre continuano a suonarsela sul Titanic globale. Sperando che l’iceberg porti un nuovo QE

lunedì 30 aprile 2018

Le orchestre continuano a suonarsela sul Titanic globale. Sperando che l’iceberg porti un nuovo QE

Dunque, facciamo un piccolo aggiornamento della situazione. Dopo aver inviato Mike Pompeo a PyongYang per aprire la strada allo storico meeting con Kim Yong-un, quello a cui voleva infilare un missile balistico in culo attraverso il grosso bottone che ha sulla scrivania, Donald Trump ha invitato Vladimir Putin alla Casa Bianca, lo stesso leader russo contro cui minacciava razzi nuovi, furbi e intelligenti solo due settimane fa. Il tutto, mentre il battagliero ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, quello che da dieci giorni sta martellando i media con le sue prove di false flag dell’attacco con gli agenti chimici in Siria, si diceva “certo al 100% che i due presidenti non permetteranno che si arrivi a un confronto militare”. Di colpo, la pace. A questo punto, attendiamo con ansia l’apertura di un canale diplomatico che porti Bashar al-Assad e signora a passare un bel weekend nella magione in Florida del presidente statunitense, tra golf e riconciliazione dopo quel brutto fraintendimento sui gas a Douma.
Ci hanno veramente presi per imbecilli. E, forse, hanno qualche ragione, stando a quanto leggiamo sui giornali e sentiamo in tv, ripetuto poi a macchinetta in base alle convinzioni personali, essendo questo il Paese di Montecchi e Capuleti non per nulla. E l’Italia, infatti, non è da meno, tranquilli, se parliamo di teatrini: Donald Trump e soci non hanno proprio un cazzo da insegnarci. Dopo giorni di minuetto politico e camminate sulle uova per cercare di non urtare la sensibilità altrui e arrivare a una quadra per il nuovo governo, ecco infatti che stamattina Silvio Berlusconi – forse sfuggito al controllo di chi dovrebbe somministrargli le pillole – è intervenuto a modo suo nella disputa seguita alle consultazioni del presidente del Senato. Di fatto, comportandosi come un elefante – oltretutto armato di tutto punto e con protezioni da giocatore di football americano – in una cristalleria di 10 metri quadrati. Dopo aver detto che gli italiani non sanno votare e che il centrodestra deve guardare al PD per cercare di dare vita a un esecutivo, ecco che il Cavaliere svela il suo piano occupazionale per i Cinque Stelle: “Gli farei pulire i cessi a Mediaset”.
Immediata la soddisfatta presa d’atto da parte di Matteo Salvini, il quale da giorni sta digerendo qualsiasi boccone pur di arrivare al traguardo e in cinque minuti si è visto crollare il sogno del potere davanti agli occhi: se vuole andare con Renzi e soci, si accomodi pure. Ma senza me e la Lega. Giorgia Meloni, come al solito, non pervenuta. Non ci voleva. Il Paese non si meritava quest’altra mazzata, dopo la nefasta conferma giunta da quel simposio di craniolesi dell’FMI, il quale ha registrato in uno dei suoi lungimiranti studi (quelli che solitamente avvertono delle crisi quando le banche stanno già fallendo e i modelli di VaR segnalano perdite medie pari a dieci volte le capitalizzazioni) il sorpasso degli spagnoli sugli italiani a livello di ricchezza pro capite: dopo l’1 a 1 scaturito dalla rivalità incrociata in Champions, gli iberici tornano in vantaggio, in attesa che la prossima crisi bancaria gli esploda in culo come la bolla immobiliare di quel fenomeno di José Luis Zapatero. Tanto, come nel caso degli istituti di credito, ci pensa l’Europa a tamponare, mentre loro fanno la siesta, incarcerano politici catalani e mangiano tapas. Va beh, non disperiamo: anche perché all’orizzonte si staglia un evento spartiacque come il voto in Molise, già ribattezzato l’Ohio italiano per la sua strategicità politica. Il livello a cui siamo arrivati sta tutto qui, attaccarsi al voto regionale molisano come alle presidenziali USA o al referendum sul Brexit. Ci sono tanti modi di morire, noi abbiamo scelto davvero il peggiore: di stupidità. E nel ridicolo.

Ma attenzione, perché oggi è venerdì, c’è il sole, fa un caldo della madonna e la mia città è infestata di designer con la casa arredata all’IKEA che però si atteggiano a Philippe Starck dei miei coglioni, corteggiati dall’amministrazione comunale perché portano soldi e prestigio alla città: per quanto rompono i coglioni e creano disagio, solo a livello di traffico, vorrei proprio vederlo – in termini reali – questo grande contributo, se escludiamo taxisti e spacciatori di cocaina. Quindi, l’umore è pari a quello di Matteo Salvini. Ma perché il mondo intero, Italia in testa, sembra l’orchestra del Titanic, quella che continuava imperterrita a suonare, nonostante la nave fosse già inclinata, imbarcasse acqua e stesse per dire addio ai suoi sogni di grandeur nautica? 

Perché l’unico modo per evitare il redde rationem è proprio centrare l’iceberg, l’importante è non farsi colpire troppo duro e troppo direttamente: serve una falla, anche grossa. Ma non strutturale. E per un solo motivo: occorre riattivare o, come nel caso di BCE e Bank of Japan, tenere attive le stamperie delle Banche centrali, altrimenti viene giù tutto davvero. E lì diventano cazzi, roba seria, roba che nemmeno la Cicciolina saprebbe gestire con troppa disinvoltura. Perché questi grafici, (i quali proseguiranno per tutto l’articolo, onde evitare di dover pubblicare troppe fotografie di facce da cazzo politico/economiche assortite)





parlano da soli del livello di immersione della merda in cui gli Istituti centrali hanno portato il mondo, spacciando quello che è doping monetario per misura espansiva emergenziale. Emergenziale i miei coglioni, qui siamo alle soglie dell’helicopter money: quindi, strutturale. Mettiamocelo in testa, l’enorme manipolazione del concetto stesso di libero mercato che è stata posta in essere si è spinta talmente tanto in avanti nella sua natura quasi faustiana da non permettere exit strategy normali: e non soltanto per il carico debitorio globale da mani nei capelli, un qualcosa il cui deleverage imporrebbe cure capaci di scatenare guerre civili anche in un tempio buddista ma per il fatto che non esistono più concetti base come la price discovery, il fair value, il mark-to-market, i criteri di VaR per l’iscrizione a bilancio degli assets.

Chi conosce, realmente, il valore di un asset che detiene? 

Nessuno, siamo al mark-to-stocazzo: se un mercato azionario può soltanto salire per legge, perché se cala intervengono gli “Special team” come quelli cinese e giapponese, se un mercato obbligazionario non ha volume di trading come quello del debito sovrano nipponico, dove opera solo la Bank of Japan, se le aziende sembrano tutte sane come pesci come nell’eurozona, visto che si finanziano direttamente e a costo zero dalla Bce attraverso il programma di acquisto di corporate bond, bypassando le forche caudine di un sistema bancario che già mostra crepe attraverso il rialzo continuo del Libor, come cazzo sperate di valutare seriamente una security?

Vale tutto, ormai. Il problema è che, proprio per la natura di perpetuità di cui necessita un sistema simile, ogni tanto servono dei pit-stop, perché per quanto le Banche centrali comprino, esistono ancora delle sacche di resistenza tipo Raqqa in cui albergano dei rompicoglioni tipo il sottoscritto che tendono a farsi ancora delle domande: tipo, quanto sperate di andare avanti con l’ampliamento degli stati patrimoniali, prima di dire basta? Il problema, finora, non si era posto per il semplice fatto che a garantire quella che, nei fatti, è una swap-line globale e perpetua ci aveva pensato l’impulso creditizio della PBOC, la quale operava come bancomat del mondo, ottenendo in cambio l’accettazione del proprio export di deflazione da sovra-produzione e mercati abbastanza aperti e grandi, come gli USA, da accettare la messe infinita di cianfrusaglie che Pechino produce.

Ora, però, quello stimolo silenzioso, nascosto e perpetuo sta cominciando a calare, segnalando criticità interne allo stesso mercato cinese nella sua fase di pre-transizione da Paese produttore/esportatore a nazione di consumi interni e servizi, la rivoluzione annunciata da Xi Jinping che, però, impone tempi un po’ più lunghi di un paio di mesi per compiersi. E con il carico di leverage ai massimi ovunque, quei due bordelli conosciuti come sistema bancario ombra e mercato immobiliare, cominciano a porre pressione sui conti di Pechino e la loro sostenibilità: per carità, scordatevi gli allarmi da hard landing che qualcuno – tipo il Luttwak di turno ospite da Formigli – mette ciclicamente e strumentalmente in circolazione per terrorismo politico ma la Cina, almeno per un po’, non riuscirà più a sostenere da sola il peso di stimoli monetari alternati nelle altre parti del mondo.

Ovvero, la FED potrebbe dover smettere con la propria pantomima dei rialzi, messa in atto per vendere al mondo la narrativa dell’economia USA in forma smagliante e per dar vita, in condizioni di mercato non ostili o troppo agitate, a stress test veri e propri sulla tenuta dei mercati più esposti all’indebitamento in biglietti verdi di fronte a un aumento del costo del denaro: insomma, visto che garantisce Pechino, proviamo a vedere se qualche emergente si schianta come accaduto con il taper tantrum seguito all’annuncio di Ben Bernanke di fine del QE. 

Lo stesso vale per la BCE, la quale millanta ottimismo e spara cazzate a ogni conferenza stampa che segue le riunioni del board ma, come accaduto a fine marzo, quando sente il livello della merda salire troppo, è costretta a operare in modo che il mercato – o, almeno, quella parte di mercato che ancora non è completamente dipendente dall’eroina di Stato – si accorga dell’eccezionalità, questa sì emergenziale, del raddoppio degli acquisti di bond corporate da una settimana con l’altra come accaduto a fine marzo, tanto da portare quell’asset class al 22% del totale di acquisto da poco più del 5% di quando si cominciò a operare in tal senso.

Vuoi vedere che in Europa si rischia un bel ciclo di default, stile catene retail USA, se per caso Draghi smette di finanziare i buchi di cassa e comprare bond di fatto junk a prezzi degni di un’obbligazione tripla A? 

Il silenzio tombale, ormai da settimane, della Bundesbank ne pare l’indiretta conferma. C’è poco da fare, le orchestrine devono continuare a suonare sul ponte del Titanic, è il loro dovere: altrimenti, qualcuno potrebbe sentire il rumore di fondo della diga che comincia a cedere. La politica, dal canto suo, sta operando in tal senso e ai massimi livelli: quando mai si era arrivati alla prospettazione quotidiana di confronti nucleari, come accaduto in quest’ultimo periodo? Prima la Corea del Nord, poi i vari conflitti proxy fra USA e Russia e Israele e Iran. Il tutto, con il gran coté di scandali ad alto potenziale di disinformazione e destabilizzazione di massa, vedi il Russiagate o il caso Cambridge Analytica che ha travolto Facebook e il suo mondo di metadati rubati a destra e manca, per nome e conto di multinazionali e governi.

Una bella pantomima, quest’ultima, la cui funzione è stata anch’essa di stress test mascherato, in questo caso riguardo la sostenibilità di uno sgonfiamento controllato della bolla tech sugli indici statunitensi, evitando il contagio a tutte le equities: per ora, ha funzionato. Ma solo perché nessuno, sul mercato, vuole credere davvero alla fine dello stimolo cinese, al prosciugamento della fonte di eterna giovinezza dei mercati, tanto che l’altro giorno Pechino è sembrata voler rassicurare tutti, tagliando dell’1% i requisiti di riserva delle banche dal 25 aprile prossimo, questo nonostante le accuse di manipolazione valutarie mosse nei suoi confronti solo 24 ore prima da Donald Trump, quello che formalmente sarebbe il nemico giurato in una spietata e terribile guerra commerciale.

E solo un’enorme pantomima globale, una sciarada che vede implicati tutti e per un unico scopo: evitare un 2008 all’ennesima potenza che non farebbe prigionieri, soprattutto fra quelle elites che pensavano di essersi salvate il culo con i contentini populisti dell’elezione di Trump e la vittoria del Brexit e che, invece, di fronte a un’altra recessione globale vedono stagliarsi all’orizzonte, questa volta molto probabile, l’ipotesi della forca. Perché avanti di questo passo, l’allestimento di patiboli potrebbe diventare lo sport nazionale, in molte società meno tutelate di altre. E lor signori non intendono testarne la solidità e la resistenza di quei patiboli, quindi continuano a suonare.

E, finora, ha funzionato, visto che le melodie contenute nello spartito della grande mistificazione globale vedono stuoli di topi seguire il pifferaio lungo la strada delle false emergenze e delle grandi paure collettive (una su tutte, l’ormai mitico e ciclico allarme terrorismo), le distrazioni di massa che operano come assicurazioni sulla vita dei potenti, siano essi politici, banchieri, industriali, speculatori o mass media. Sta a noi decidere se continuare a ballare come gonzi o tapparci le orecchie come Ulisse con le sirene e sfruttare il silenzio per cercare di capire davvero quale sia il volume della musica di sottofondo: quella della “stabilità” artificiale di mercato, vendutaci finora un tanto al chilo attraverso le meraviglie presunte dei programmi di QE, sta per fermarsi, è sempre più lenta.

E’ una guerra a chi ha più da perdere. O meno, dipende dalla prospettiva da cui si guarda la situazione. Voi da che parte volete stare, questa volta? 
Volete ancora scannarvi fra guelfi e ghibellini per chi sta con la Russia e chi sta con gli USA, chi difende Assad e chi i sauditi, chi fiancheggia Teheran e chi Tel Aviv? 

Quel tempo, è finito e ve lo dice uno che a queste contrapposizioni, di fatto solo nominalistiche, si è prestato per mesi. Perché adesso la recita, la commedia dell’assurdo, ha disvelato la vera trama di fondo. Stiamo per precipitare, potenzialmente, dentro una crisi in grado di far ricordare il 2008 come una passeggiata in un parco di Tokyo a rimirare i ciliegi in fiore. 

Davvero credete ancora ai buoni e ai cattivi?

Se sì, vi lascio con questa notizia, fresca fresca: “(ANSA) – WASHINGTON, 20 APR – Il partito democratico ha presentato una causa multi milionaria alla corte federale di Manhattan contro il governo russo, la campagna di Trump e Wikileaks per una presunta cospirazione che avrebbe interferito nelle presidenziali 2016 per favorire il tycoon danneggiando Hillary Clinton. Lo rivela il Wp.(ANSA). SAV 20-APR-18 17:23 NNNN”. Che la pantomima continui. Anzi, aumenti di intensità. Con la benedizione di tutte le parti in causa (banche centrali in testa) e il sigillo di autorevolezza garantito dal “Washington Post”, fresco di premio Pulitzer sull’argomento.

20 Aprile 2018

Sono Mauro Bottarelli, Seguimi su Twitter! Follow @maurobottarelli

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