UNA “SPALLATINA” AL GOVERNO POTREBBE ARRIVARE DA TORINO CON UNA MAXI-MANIFESTAZIONE IN FAVORE DELLA TAV, DOPO SUCCESSO DEL CORTEO ROMANO ANTI-RAGGI
IL 10 NOVEMBRE, GRILLO E DI MAIO ASPETTANO TREMEBONDI LA SENTENZA SU VIRGINIA RAGGI. SE VENISSE CONDANNATA, GIGGINO HA DAVANTI A SE’ DUE STRADE: UNA PEGGIO DELL’ALTRA
MATTARELLA E SALVINI BOCCIANO LA RICHIESTA DI DI MAIO DI UN RIMPASTINO DI GOVERNO
SULLA NOMINA A DIRETTORE DEL TG1 DI GIUSEPPE CARBONI, LA MANINA DEL BIRBO ROCCO
SULLA FINANZIARIA A 2,4 ATMOSFERE DI DEFICIT IL POLVERONE DA INCOSCIENTI PER NON AMMETTERE CHE LE PROMESSE NON POSSONO ESSERE MANTENUTE E VERRANNO SPALMATE
Il fatto che il premier immaginario, tale Conte Giuseppe, sia rientrato in anticipo dall’India, dove è rimasto meno di un giorno facendo incazzare gli indiani (il tempo di un rapido bilaterale con il primo ministro Narendra Modi) per precipitarsi a un nuovo vertice sulla manovra a Palazzo Chigi, è l’ennesimo segnale che il governo gialloverde è in affanno. I maggiori sondaggisti italici sostengono che da un momento all’altro possa scattare il disamore degli elettori. E la molla del malcontento potrebbe innescarsi a Torino.
Un instant poll, commissionato dal Pd piemontese e rimasto riservato, avrebbe registrato come il 70% dei cittadini della regione sia favorevole alla Tav. A dare una “spallatina” al governo, infatti, potrebbe arrivare una maxi-manifestazione in favore della linea Torino-Lione, una riedizione a colori della “marcia dei 40 mila”, a cui stanno lavorando varie associazioni, da Confartigianato a Unione Industriali fino alla Compagnia delle Opere. Un ‘vaffa’ ai “no” del Movimento Cinque stelle. Il secondo, dopo quello già arrivato nella capitale con il successo della manifestazione anti-Raggi, “Roma dice basta”, di sabato 27 ottobre.
Se a Torino si attende l’agitazione della piazza, sotto il Cupolone si aspetta la sentenza, prevista per il 10 novembre, nel processo in cui Virginia Raggi è accusata di falso per la nomina di Renato Marra alla guida della Direzione Turismo.
Se la sindaca dovesse essere condannata, il capo politico del M5s, Di Maio, ha davanti a se’ due strade:
1) far rispettare lo statuto M5s e chiedere le dimissioni della Raggi (e a quel punto per il Campidoglio scalderebbero i motori tre donne: la “ducetta” Giorgia Meloni, la leghista Barbara Saltamartini e la piddina Michela De Biase tendenza Franceschini);
2) inventare di sana pianta una deroga allo statuto per tenere “Virgi” al suo posto e blindare l’amministrazione;
Luigino sarebbe orientato alla seconda ipotesi, anche per non aprire un nuovo fronte di battaglia, ma deve fare i conti con i consigliere comunali e municipali del Movimento capitolino: in caso di salvataggio forzoso della sindaca, il 30-40% degli eletti grillini potrebbe ribellarsi e “disobbedire”. Tra questi c’è già chi si abbandona al rimpianto: “E pensare che Gianroberto Casaleggio preferì la Raggi alla palluta Roberta Lombardi solo perché parlava inglese e non aveva l’accento romanesco…”.
C’è da dire che anche Beppe Grillo, che per la Raggi ha sempre avuto una simpatia particolare, è favorevole a puntellare la sindaca in caso di condanna. Ma se anche BeppeMao dovesse scendere in campo, l’ala movimentista-fico-ortodossa-dura&pura del M5s potrebbe caricare i fucili a pallettoni…
E se anche la Raggi dovesse uscire indenne dal processo, il povero Di Maio non potrà gioire: dovrà risolvere altre, spinosissime grane. La base è in fermento, delusa dalle promesse disattese su Tap e Tav, e la squadra di governo necessita di una rapida convergenza.
I primi mesi da ministro di Barbara Lezzi, Giulia Grillo e Danilo Toninelli vengono giudicati al di sotto del disastro.
Ai tre vengono imputate troppe gaffe, tanta confusione e scarsa incisività. Ecco perché Di Maio avrebbe chiesto informalmente al presidente Mattarella e a Matteo Salvini la disponibilità a un rimpastino di governo. Richiesta rispedita al mittente, ovviamente. Più il M5s crea pasticci, più perde consenso, più si logora, più Salvini ha tutto da guadagnare.
Non va meglio in Rai. La nomina a direttore del Tg1 di Giuseppe Carboni, che ha il “merito” di aver seguito il M5s da cronista, ha fatto spalancare gli occhi e le orecchie ai giornalisti di Viale Mazzini: “Ma questo chi è?”. Tranquilli: anche sulla sua investitura c’è l’imprimatur (e la garanzia) del birbo Rocco Casalino.
E se tra i tavoli della mensa di Saxa Rubra si spettegola sulle nomine, non passa giorno senza una scaramuccia tra l’ad Fabrizio Salini e il presidente Marcello Foa. E se non avviene direttamente, si consuma per “conto terzi”. Gli “addetti ai livori” sostengono che il povero Carlo Freccero, il cui ritorno in Rai è stato stoppato da Salvini, abbia inviato sms infuocati a Grillo e Di Maio lamentando di essere stato tirato in ballo senza aver mai chiesto la direzione di una rete…
Sulla finanziaria a 2,4 atmosfere di deficit, infine, il polverone iniziale si sta gradualmente sgonfiando. Di Maio e Salvini hanno rinviato i capitolati di spesa più “pesanti” (Riforma delle pensioni e reddito di cittadinanza) ai decreti legge “collegati” (per la serie: si farà più in là, quando possibile). Questo servirà anche a spegnere il furore della Commissione europea.
Gli euroburocrati si erano incendiati anche perché, quando andò a Bruxelles a spiegare la manovra, Giuseppe Conte era stato volutamente fumoso. Non aveva spiegato che le riforme più costose, ma elettoralmente più delicate, sarebbero state spinte un po’ più avanti nel tempo. Ammetterlo, però, avrebbe avuto l’indesiderato effetto di far capire agli elettori di Lega e M5s che il “cambiamento” promesso è da rinviare a data da destinarsi. Per la ragione più banale di tutte: mancano i quattrini.
Se Di Maio ha le gattine da pelare e Conte i galletti a cui badare, Salvini non può godere, il conflitto continuerà. Il Quirinale gli ha fatto capire che non vuole sentir parlare di crisi di governo né di urne anticipate prima delle elezioni europee del 2019. Quindi gambe in spalla e far finta di essere sani. E poi, se fino a qualche tempo fa la Lega era descritta come un monolite dietro al “capitano Matteo”, ora i sondaggisti colgono dei sommovimenti interni.
All’interno dell’elettorato leghista, de-ideologizzato e molto pragmatico, si agita il cosiddetto “partito del Pil”: partite iva, piccoli imprenditori, professionisti. Cosa accadrà al galoppante e mutevole consenso del Carroccio se il governo non riuscirà, a stretto giro, a centrare la promessa della crescita economica?
Il fatto che il premier immaginario, tale Conte Giuseppe, sia rientrato in anticipo dall’India, dove è rimasto meno di un giorno facendo incazzare gli indiani (il tempo di un rapido bilaterale con il primo ministro Narendra Modi) per precipitarsi a un nuovo vertice sulla manovra a Palazzo Chigi, è l’ennesimo segnale che il governo gialloverde è in affanno. I maggiori sondaggisti italici sostengono che da un momento all’altro possa scattare il disamore degli elettori. E la molla del malcontento potrebbe innescarsi a Torino.
Un instant poll, commissionato dal Pd piemontese e rimasto riservato, avrebbe registrato come il 70% dei cittadini della regione sia favorevole alla Tav. A dare una “spallatina” al governo, infatti, potrebbe arrivare una maxi-manifestazione in favore della linea Torino-Lione, una riedizione a colori della “marcia dei 40 mila”, a cui stanno lavorando varie associazioni, da Confartigianato a Unione Industriali fino alla Compagnia delle Opere. Un ‘vaffa’ ai “no” del Movimento Cinque stelle. Il secondo, dopo quello già arrivato nella capitale con il successo della manifestazione anti-Raggi, “Roma dice basta”, di sabato 27 ottobre.
Se a Torino si attende l’agitazione della piazza, sotto il Cupolone si aspetta la sentenza, prevista per il 10 novembre, nel processo in cui Virginia Raggi è accusata di falso per la nomina di Renato Marra alla guida della Direzione Turismo.
Se la sindaca dovesse essere condannata, il capo politico del M5s, Di Maio, ha davanti a se’ due strade:
1) far rispettare lo statuto M5s e chiedere le dimissioni della Raggi (e a quel punto per il Campidoglio scalderebbero i motori tre donne: la “ducetta” Giorgia Meloni, la leghista Barbara Saltamartini e la piddina Michela De Biase tendenza Franceschini);
2) inventare di sana pianta una deroga allo statuto per tenere “Virgi” al suo posto e blindare l’amministrazione;
Luigino sarebbe orientato alla seconda ipotesi, anche per non aprire un nuovo fronte di battaglia, ma deve fare i conti con i consigliere comunali e municipali del Movimento capitolino: in caso di salvataggio forzoso della sindaca, il 30-40% degli eletti grillini potrebbe ribellarsi e “disobbedire”. Tra questi c’è già chi si abbandona al rimpianto: “E pensare che Gianroberto Casaleggio preferì la Raggi alla palluta Roberta Lombardi solo perché parlava inglese e non aveva l’accento romanesco…”.
C’è da dire che anche Beppe Grillo, che per la Raggi ha sempre avuto una simpatia particolare, è favorevole a puntellare la sindaca in caso di condanna. Ma se anche BeppeMao dovesse scendere in campo, l’ala movimentista-fico-ortodossa-dura&pura del M5s potrebbe caricare i fucili a pallettoni…
E se anche la Raggi dovesse uscire indenne dal processo, il povero Di Maio non potrà gioire: dovrà risolvere altre, spinosissime grane. La base è in fermento, delusa dalle promesse disattese su Tap e Tav, e la squadra di governo necessita di una rapida convergenza.
I primi mesi da ministro di Barbara Lezzi, Giulia Grillo e Danilo Toninelli vengono giudicati al di sotto del disastro.
Ai tre vengono imputate troppe gaffe, tanta confusione e scarsa incisività. Ecco perché Di Maio avrebbe chiesto informalmente al presidente Mattarella e a Matteo Salvini la disponibilità a un rimpastino di governo. Richiesta rispedita al mittente, ovviamente. Più il M5s crea pasticci, più perde consenso, più si logora, più Salvini ha tutto da guadagnare.
Non va meglio in Rai. La nomina a direttore del Tg1 di Giuseppe Carboni, che ha il “merito” di aver seguito il M5s da cronista, ha fatto spalancare gli occhi e le orecchie ai giornalisti di Viale Mazzini: “Ma questo chi è?”. Tranquilli: anche sulla sua investitura c’è l’imprimatur (e la garanzia) del birbo Rocco Casalino.
E se tra i tavoli della mensa di Saxa Rubra si spettegola sulle nomine, non passa giorno senza una scaramuccia tra l’ad Fabrizio Salini e il presidente Marcello Foa. E se non avviene direttamente, si consuma per “conto terzi”. Gli “addetti ai livori” sostengono che il povero Carlo Freccero, il cui ritorno in Rai è stato stoppato da Salvini, abbia inviato sms infuocati a Grillo e Di Maio lamentando di essere stato tirato in ballo senza aver mai chiesto la direzione di una rete…
Sulla finanziaria a 2,4 atmosfere di deficit, infine, il polverone iniziale si sta gradualmente sgonfiando. Di Maio e Salvini hanno rinviato i capitolati di spesa più “pesanti” (Riforma delle pensioni e reddito di cittadinanza) ai decreti legge “collegati” (per la serie: si farà più in là, quando possibile). Questo servirà anche a spegnere il furore della Commissione europea.
Gli euroburocrati si erano incendiati anche perché, quando andò a Bruxelles a spiegare la manovra, Giuseppe Conte era stato volutamente fumoso. Non aveva spiegato che le riforme più costose, ma elettoralmente più delicate, sarebbero state spinte un po’ più avanti nel tempo. Ammetterlo, però, avrebbe avuto l’indesiderato effetto di far capire agli elettori di Lega e M5s che il “cambiamento” promesso è da rinviare a data da destinarsi. Per la ragione più banale di tutte: mancano i quattrini.
Se Di Maio ha le gattine da pelare e Conte i galletti a cui badare, Salvini non può godere, il conflitto continuerà. Il Quirinale gli ha fatto capire che non vuole sentir parlare di crisi di governo né di urne anticipate prima delle elezioni europee del 2019. Quindi gambe in spalla e far finta di essere sani. E poi, se fino a qualche tempo fa la Lega era descritta come un monolite dietro al “capitano Matteo”, ora i sondaggisti colgono dei sommovimenti interni.
All’interno dell’elettorato leghista, de-ideologizzato e molto pragmatico, si agita il cosiddetto “partito del Pil”: partite iva, piccoli imprenditori, professionisti. Cosa accadrà al galoppante e mutevole consenso del Carroccio se il governo non riuscirà, a stretto giro, a centrare la promessa della crescita economica?