9 dicembre forconi: Mediobanca e Generali, la nuova prova che il capitalismo italiano è morto

giovedì 9 agosto 2018

Mediobanca e Generali, la nuova prova che il capitalismo italiano è morto

Elliott smentisce, ma Mediobanca resta comunque facilmente aggredibile e Generali a portata di tiro. Non si è creata difesa di quel che resta del capitalismo italiano. 





Piazzetta Cuccia, sede di Mediobanca (Lapresse)

Saranno contenti i molti “antitaliani”, quelli per i quali l’Italia migliore sarebbe un’Italia in cui si parlasse tedesco: sta di fatto che le voci borsistiche divampate nelle ultime 48 ore su Mediobanca altro non confermano - per ora - se non che è verosimile e agevolissimo per chiunque, con poco più di un soffio, destabilizzare quel che resta della vecchia alta finanza italiana e arraffarne i pochi gioielli rimasti. Disfattismo? Proviamo a capire.
Dunque il fondo Elliott - che ha smentito, ma questo conta zero perché sui mercati tutti smentiscono sempre, anche mentendo, se possono farlo all’ombra dei formalismi sulla concretizzazione procedurale di decisioni sempre prese prima e fuori dagli organi preposti! - vorrebbe fare soldi sull’accrocchio di poterucolo rimasto attorno a Piazzetta Cuccia. Avrebbe rastrellato l’1% di Mediobanca (capirai: 79 milioni di euro, meno di Ronaldo) per andare in assemblea, aggregare intorno a sé un altro po’ di malmostosi e imporre una scissione del pacchetto di riferimento che Mediobanca controlla nelle Assicurazioni Generali, il 13,2%, che poi da solo vale un terzo di tutta la capitalizzazione borsistica di Mediobanca.
Abbiamo detto che Elliott ha smentito. Ha smentito anche Paolo Scaroni, ex capo dell’Eni ed oggi presidente del Milan, nonché consigliere Telecom in quota fondo Elliott, che secondo alcune voci sarebbe andato a trovare il ministro Tria per comunicargli (ma che c’entrerebbe, nel caso, Tria?) dell’imminente offensiva del fondo: e se ha smentito anche Scaroni, che notoriamente smentisce e non mentisce, allora sarà proprio così. Mai andato da Tria, che neanche conosce, e non sa cosa si perde (Tria).
E dunque, la chiudiamo qui? Eh, no! Sarebbe troppo facile! Il punto è semplicissimo, e qui c’azzecca con gli “antitaliani”. Il punto è che non tanto Elliott - in fondo un attore piccolino, dal basso dei suoi appena 34 miliardi di dollari di patrimonio gestito - ma uno qualunque dei grandi attori della finanza mondiale, sia bancari che assicurativi e finanziari, colossi da centinaia di miliardi di capitalizzazione, di patrimonio e talvolta di cash, volendo potrebbe starnutire e prendersi Mediobanca e Generali in un colpo solo.
Perché? Sarebbe semplice prendersela con Alberto Nagel, colpevole semmai (ma verso se stesso) di essere amministratore delegato di Mediobanca da troppo tempo - indocile alle memorabili raccomandazioni di Monti, quando il bocconiano capo degli antitaliani disse che il posto fisso è monotono: a lui certamente non si può rimproverare un eccessivo attivismo, ma ha pur sempre fatto aumentare di molto la capitalizzazione, circa un terzo in più dal 2013, e ha appena archiviato un esercizio con quasi una miliardata di utile netto. No, il punto è un altro: che ci vuoi fare, con un capitalismo giocattolo come quello italiano?
Guardiamo ai soci di Mediobanca. C’è Unicredit, con l’8,42%, che è una public company controllata per il 64% da investitori istituzionali tra i quali batte tricolore italiano solo il 3%: capirai il presidio nazionale. C’è Bollorè, con il 7,8%, il francese più saldamente abbarbicato sulle scatole di tutte le istituzioni italiane, traditore contrattuale di Fininvest, azionista congelato in Telecom, sotto inchiesta in Africa per le sue gestioni... dinamiche dei porti, insomma un personaggino coi fiocchi. C’è Blackrock, con il 5%, vendibile per definizione al miglior offerente... E quest’arlecchinata di azionisti stranieri dovrebbe difendere Mediobanca? Non scherziamo.
Il fatto è che per quanto, nonostante (o forse grazie a?) la prudente gestione di Nagel la banca che fu di Cuccia funzioni bene, non interessa a nessuno. Nonostante la gallinella dalle uova d’oro triestina di cui custodisce un rotondo 13,2%. Perché? Perché dentro i forzieri della Gallina-Generali c’è tanto di quel debito pubblico italiano - una buona metà dei 450 miliardi di attivi - che uno starnuto dello spread, un colpetto di tosse della Bce, e gli equilibri patrimoniali si destabilizzano.
Ora, diciamolo: ma vi pare il momento, questo, di scherzare col fuoco? Con i mercati che già puntano i fucili sulla prossima Legge di bilancio? Per carità, lasciamo perdere. Quel che resta è che - va detto - il capitalismo italiano non c’è più. E se per concludere diamo un’occhiata agli altri soci delle Generali, non si sa se massaggiarsi lo stomaco per il dolore o per le risate. Al 4%, dopo Mediobanca, nell’azionariato triestino c’è il gruppo Caltagirone, un uomo solo al comando, Francesco Gaetano, 73 anni, intenditore di numismatica cemento e palazzine; poi con poche azioni di meno Leonardo Del Vecchio, patron di Luxottica, altro uomo solo al comando, un virgulto di 83 anni, così attento alla perpetuazione del gruppo per omnia secula seculorum da aver accuratamente segato via i figli dalla successione gestionale; c’è Edizione dei Benetton, anche lì un club Acqua di Fiuggi guidato da Luciano (83 anni) e Gilberto Benetton (77), impegnati su aeroporti, autostrade, ristoranti e pullover. E c’è l’ex gruppo De Agostini, investito in giochi legali soprattutto americani e family office, un eccellente cedolificio, pronto a far progetti strategici e difese nazionali delle Generali come a bere olio di ricino ogni mattino per colazione.
Insomma: non è che con questi pretoriani che si difenderebbe il Leone di Trieste da un eventuale assalitore. Quel Leone si difende da solo, con il peso della sua criniera di Btp. Poi non c’è da stupirsi se una masnada di giovanotti sovranisti populisti, nazionalisti e malpancisti come gli attuali governanti gialloverdi invocano il ritorno dello Stato imprenditore, l’unico a conti fatti ad aver creato valore in Italia con un po’ di investimenti industriali veri negli anni d’oro - lontanissimi - dell’Iri e dell’Eni. Peccato che i 110 miliardi di euro incassati dallo Stato di Prodi e Ciampi vendendo e anche svendendo le partecipazioni statali al capitale straniero abbiano azzerato le riserve dello Stato padrone senza naturalmente sanare il debito pubblico, che casualmente è ancora al 132% del Pil. E peccato che lo Stato padrone abbia le pezze sui pantaloni.
Quasi quasi, se questo signor Elliott ci molla due dollari non guasta. Ultimi giorni, occasionissime, approfittatene.
Fonte: qui

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