Segnatevi questo nome, Pablo Casado Blanco, perché ne sentirete parlare. Avvocato, 37 anni, è il nuovo leader dei popolari spagnoli, a sorpresa, dopo aver sconfitto Soraya Sáenz de Santamaria, la candidata favorita. Segnatevelo, perché Pablo Casado Blanco non è che l’ultimo dei leader che spostano a destra il baricentro dei partiti conservatori d’Europa. Un altro, l’ennesimo, che non si alleerebbe mai più coi socialdemocratici. Un altro, l’ennesimo, che prelude all’apertura verso la fine dell’era delle grandi coalizioni. E l’inizio, più che probabile, dell’alleanza politica tra i popolari e le destre nazionaliste europee, in vista delle elezioni europee del prossimo anno.
Casado rappresenta l’identikit perfetto del giovane leader popolare europeo: nazionalista, securitario, identitario nella difesa dei valori tradizionali. Come lui, c’è Matteo Salvini, che sebbene non sia (ancora?) della famiglia popolare, è ormai nei fatti l’unico leader del centrodestra italiano. C’è Sebastian Kurz, alla guida del governo austriaco grazie all’alleanza con l’ultradestra del Fpoe, la prima coalizione azzurro-nera dell’europa occidentale. C’è Laurent Wauquiez, l’uomo scelto dai Republicains francesi per contrastare Emmanuel Macron, molto duro su immigrazione, sicurezza e identità francese. C’è Kiryakos Mitsotakis il leader di Nea Demokratia che veleggia stabilmente dieci punti sopra Alexis Tsipras, attaccandolo proprio sul tema dei richiedenti asilo.
È una sfida che si rivolge soprattutto contro Angela Merkel: è lei il nemico, il totem da abbattere, per questa giovane generazione di leader conservatori. Non solo perché a essere messa in discussione è la sua eredita politica – le grandi coalizioni, le porte aperte, l’asse con Macron, una maggiore unificazione europea – , ma anche perché non c’è altro argine al loro strapotere.
Forse è ancora presto per parlare di internazionale nazionalista, del blocco politico della Fortezza Europa, destinato a presidiare le frontiere anziché abbatterle, a rimettere in discussione diritti e libertà, anziché estenderli, a legittimare le destre più destre del blocco di Visegrad, a partire da quel Vikor Orban che rappresenta il pioniere della svolta a destra dei popolari europei, un modello vincente, quasi l’ideologo della svolta autoritaria e securitaria dei suoi giovani leader. A farla finita con la stagione delle grandi coalizioni e della contrapposizione tra élite e populisti, che troverebbero sintesi in un’agenda politica securitaria e nazionalista.
È una sfida che si rivolge soprattutto contro Angela Merkel: è lei il nemico, il totem da abbattere, per questa giovane generazione di leader conservatori. Non solo perché a essere messa in discussione è la sua eredita politica – le grandi coalizioni, le porte aperte, l’asse con Macron, una maggiore unificazione europea – , ma anche perché non c’è altro argine al loro strapotere. Non lo sono i socialdemocratici di sicuro, in crisi d’identità, quasi ovunque all’opposizione, o al governo da posizioni di minoranza come in Spagna. E non può esserlo Emmanuel Macron, in difficoltà a casa propria e senza alcun alleato o sponda europea da contrapporre al blocco conservatore.
È una sfida che ha spettatori più che interessati. L’America di Trump, ovviamente, ben contenta che in Europa si affermi un’agenda politica simile alla sua, che il progetto di maggior integrazione (soprattutto militare) venga ucciso in culla, e che la vittoria delle giovani destre europee levi la leadership popolare alla sua acerrima nemica, e l’egemonia europea alla Germania, che con la sua forza sui mercati esteri crea non pochi problemi all’economia americana. E la Russia di Vladimir Putin, che non vede l’ora che il destino europeo finisca nelle mani di leader amici come Salvini, Orban e Kurz.
L’ultima sfida dell’eterna cancelliera, insomma, sarà la più difficile e cruciale della sua carriera: se tra poco meno di un anno Merkel riuscirà a resistere a casa propria e a imporre ai suoi alleati di partito un’alleanza centrista, coi socialisti e con un futuribile blocco liberal-democratico guidato da Macron, probabilmente l’Unione Europa riuscirà a proseguire nel suo cammino di progressiva integrazione. Anzi, scommettiamo noi, finirà per accelerarlo. Se invece vinceranno loro, i giovani leoni popolari, sarà tutta un’altra storia. La battaglia è cominciata. E non è cominciata bene.
Da: Linkiesta
Nessun commento:
Posta un commento