9 dicembre forconi: LE STIME DI CRESCITA DELL'ECONOMIA ITALIANA SONO PEGGIORI DEL PREVISTO, LE PIÙ BASSE DI TUTTA EUROPA

domenica 15 luglio 2018

LE STIME DI CRESCITA DELL'ECONOMIA ITALIANA SONO PEGGIORI DEL PREVISTO, LE PIÙ BASSE DI TUTTA EUROPA

E SE IL MINISTRO TRIA SPERA DI NON DOVER AGGIUSTARE I CONTI PUBBLICI SECONDO LE REGOLE UE, LA CORTE DEI CONTI EUROPEA RANDELLA LA COMMISSIONE, CHE IN QUESTI ANNI SI È MOSTRATA TROPPO GENEROSA NEI CONFRONTI DELL'ITALIA

Marco Bresolin per “la Stampa”

GIOVANNI TRIAGIOVANNI TRIA
Le stime di crescita dell' economia italiana sono peggiori del previsto, le più basse di tutta Europa. Ma il ministro dell' Economia, Giovanni Tria, cerca di vedere il lato positivo, spiegando che un quadro negativo può essere un' ottima giustificazione per evitare di aggiustare i conti pubblici secondo le regole Ue. Proposta respinta subito al mittente nello spazio di una mezza giornata dal commissario Pierre Moscovici: «Gli aggiustamenti strutturali sono indipendenti dalla crescita».
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Oggi i due avranno un faccia a faccia per cercare di sciogliere i nodi, ma Tria non intende arretrare di un millimetro. Secondo le stime fatte dalla Commissione europea, nel 2018 l'Italia rischia uno sforamento pari allo 0,3% del Pil. Per rimettere i conti a posto potrebbe dunque essere necessaria una manovra correttiva da 5,2 miliardi di euro, ma dal governo arriva un secco no. «Confido che non sarà affatto necessaria», dice il premier Conte, assicurando però che «non siamo una banda di scapestrati».

Più netto il titolare di via XX Settembre: «Nel 2018 nulla cambia». Con il rischio che, nella prossima primavera, la Commissione europea si trovi costretta a certificare il non rispetto degli obiettivi. E ad aprire una procedura.

PIERRE MOSCOVICIPIERRE MOSCOVICI
Ma il ragionamento di Tria poggia proprio su quello che al momento sembra il fattore di maggior vulnerabilità dell' Italia: la lenta crescita. Ieri le previsioni estive della Commissione hanno rivisto al ribasso i dati del nostro Pil, che quest'anno dovrebbe segnare soltanto un +1,3% (anziché l' 1,5% stimato in primavera) per rallentare ulteriormente all' 1,1% nel 2019.

Tria usa questa maglia nera come uno scudo, sostenendo che in una fase di scarsa crescita non è possibile chiedere uno sforzo strutturale eccessivo a un Paese. «In un momento di rallentamento dell' economia - ha detto ieri arrivando alla riunione dell' Eurogruppo - non si possono fare aggiustamenti troppo forti che rischiano di essere pro-ciclici».

DOMBROVSKISDOMBROVSKIS
Per il 2019 l'Ue ha richiesto all'Italia di migliorare il deficit strutturale (quello calcolato al netto del ciclo economico e delle misure una tantum) dello 0,6%. Il che vorrebbe dire una manovra da circa 10,5 miliardi di euro.

Tria ieri ha incontrato il vicepresidente della Commissione, Valdis Dombrovskis, e ha assicurato che «sicuramente non ci sarà un peggioramento strutturale». Ma poi, parlando con i giornalisti, ha detto che l' Italia resterà «almeno stabile». Il che potrebbe voler dire nessuna riduzione del saldo strutturale, con una conseguente deviazione significativa dagli obiettivi fissati dai vincoli del Patto di Stabilità.

Per Bruxelles, però, il ragionamento non regge. E lo stop di Moscovici arriva proprio nel giorno in cui la Corte dei Conti Ue lancia un avvertimento alla Commissione, che in questi anni si è mostrata troppo generosa nei confronti dell' Italia. La critica punta il dito sull' uso «eccessivo dei suoi poteri discrezionali che l' ha portata a concedere troppa flessibilità» ai Paesi ad alto debito(ancora con queste minchiate ... andatevi a fare i conti sugli interessi sul debito pubblico pagati dall'Italia negli ultimi 30 anni). Una strategia che «determina ritardi di diversi anni nel conseguimento dell' obiettivo» del pareggio di bilancio in termini strutturali.

13 Luglio 2018

Fonte: qui

Disastro crescita: l’Italia è sempre più ultima in Europa, ma non frega niente a nessuno

Le previsioni economiche per il 2018 e per il 2019 indicano che non solo saremo (al solito) ultimi per crescita del Pil, ma che la distanza dagli altri continuerà ad ampliarsi: eppure in Italia si parla tutto fuorché di questo. Benvenuti in un Paese che muore di inconsapevolezza

Ultimi. Anzi, più che ultimi, con un distacco dalla penultima che aumenta di anno in anno. Ultimi quando tutti crescono e ultimi quando tutti decrescono. Sono i dati del quadro previsionale della Commissione Europea e certificano, nonostante i dati positivi degli ultimi anni, che la nostra economia viaggia davvero a un ritmo diverso da tutte le altre, come se fossimo una macchina col motore in avaria, o con una ruota in meno.


I dati, dicevamo, raccontano che nel 2018 chiuderemo con una crescita dell’1,5%, contro una media della zona Euro del 2,3% e una media dell’Unione Europea del 2,5%. Andrà ancora peggio nel 2019, dove i Paesi con l’Euro cresceranno del 2%, quelli dell’Europa a 27 del 2,2% e noi ci fermeremo all’1,2%. Peggio di noi nessuno. Sotto il 2% - parliamo delle previsioni 2019 - solo il Belgio e la Francia, comunque un buon mezzo punto avanti. Gli altri PIGS che viaggiano dal 2% del Portogallo al 4,1% dell’Irlanda, passando per il 2,4% della Spagna e il 2,3% della Grecia.


Colpa dell’Euro? Difficile, visto che quelli che ce l'hanno esattamente come noi, crescono molto più di noi. Dell’austerità? Nemmeno, visto che chi l’ha “subita” - non solo i Paesi mediterranei, ma anche quelli del nord come Germania e Finlandia che se la sono auto-imposta, viaggiano molto meglio di noi. Del mercantilismo tedesco e del suo surplus commerciale? Difficile sostenerlo, visto che i tedeschi crescono sotto la media europea, e che se c’è una cosa che cresce alla grande è proprio il nostro export.


L’esasperazione sociale, il rancore, la rabbia e la paura arrivano tutte da qua. Da un’economia malata, che non riesce a crescere di almeno due punti l’anno dall’inizio del millennio. Da un sistema Paese che preferisce tenersi tutti i suoi sprechi e tutte le sue inefficienze, anziché curarla. Da una cultura dell’alibi che produce capri espiatori in batteria - l’Euro, la finanza, i tedeschi, i migranti - pur di non mettere in discussione alcunché


No, cari. I dati raccontano proprio questo: che non c’è mezzo alibi a disposizione, a questo giro. Se siamo ultimi in Europa è per problemi nostri. È perché abbiamo un debito pubblico stellare(dovuto principalmente agli astronomici interessi pagati per 30 anni sul debito stesso), ad esempio, checché ne dicano i piazzisti del modello giapponese, quelli secondo cui dovremmo indebitarci come se non ci fosse un domani. Un debito che non ci consente di fare nessuna politica espansiva efficace, senza pagarne gli effetti. È perché abbiamo speso un sacco di soldi per caricarci sulle spalle fardelli insostenibili. O perché non siamo attraenti per gli investitori, esteri e italiani, a causa dell’incertezza del diritto, di tasse troppo alte, di una burocrazia settecentesca, della criminalità organizzata. O ancora, perché siamo ostili all’innovazione, al punto da spingere i giovani ad andarsene, dopo averli formati, purché non si azzardino a toccare nulla, a non cambiare nulla.


Anche, è a causa di scelte politiche sbagliate. Lo possiamo dire o no, che questi dati certifichino il fallimento di tutte le politiche per la crescita degli ultimi sette anni almeno, dalla fine della crisi dello spread a oggi? Che pur con tutte le migliori intenzioni gli ottanta euro non hanno rilanciato i consumi, il jobs act non ha rilanciato gli investimenti privati e l’occupazione, e industria 4.0 non ha fatto crescere produttività e salari, non abbastanza, perlomeno, per accorciare le distanze col resto del continente, che invece si sono ampliate? Se non abbiamo l’onestà di ammetterlo, come potremo provare anche solo a ragionare di strumenti e strade nuove?


Di fronte, non abbiamo niente di divertente, peraltro. Il 35% degli investitori interpellati da un sondaggio Bank of America e Merrill Lynch - più di uno su tre - hanno dichiarato che nell’ultimo mese avrebbero deciso di ridurre la loro esposizione in Italia. Peggio di noi, solo il Regno Unito, a causa della Brexit, giusto a ricordarci come finiremmo nel caso di uscita dall’Euro, altro spauracchio che evidentemente agita i sonni di chi vuole mettere del grano in Italia.


La cosa più buffa di tutte, però, è di tutto questo in Italia non si parla più. Del resto, non conviene a nessuno. Non a chi ci ha governato sinora, piazzista di retoriche sul Paese ripartito che non si sono rivelate tali. Non a chi governa, che di tutto si sta occupando fuorché di crescita e che anzi, per mano del suo ministro allo sviluppo economico, licenzia decreti dignità in cui si dice candidamente che farà diminuire i posti di lavoro - robetta: 8000 in dieci anni, ma non si era comunque mai visto - e che decide di ridiscutere un accordo firmato di rilancio e bonifica dell’Ilva di Taranto, uno dei più grandi investimenti esteri in Italia degli ultimi anni, in una terra maledetta e senza alternative.


Segnatevelo: l’esasperazione sociale, il rancore, la rabbia e la paura arrivano tutte da qua. Da un’economia malata, che non riesce a crescere di almeno due punti l’anno dall’inizio del millennio. Da un sistema Paese che preferisce tenersi tutti i suoi sprechi e tutte le sue inefficienze, anziché curarla. Da una cultura dell’alibi che produce capri espiatori in batteria - l’Euro, la finanza, i tedeschi, i migranti - pur di non mettere in discussione alcunché. Del resto, tra trent’anni, in Italia non ci vivranno né gli anziani, né i giovani. Perché occuparsene, no?


Fonte: qui

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