Doveva essere il week end delle opposizioni alla riscossa, con la nomina dei nuovi capi di Forza Italia e una robusta discussione sul segretario del Pd, e si immaginava che sarebbe stato anche il punto di ripartenza della destra e della sinistra dopo un ko che dura dal voto del 4 marzo. I risultati sono piuttosto deludenti, non solo sotto il profilo delle scelte alquanto timide in materia organizzativa – né in area FI né in area Pd c’è un appuntamento, una data, un evento a cui appendere la nuova fase, solo molta confusione – ma anche in termini di linea politica.
Sia la sinistra (e in specie quella renziana) sia la destra temono palesemente di entrare in conflitto con quello che dovrebbe essere il loro naturale competitor/avversario, Matteo Salvini. È lui che ha sottratto voti a entrambi, lui che ha preso le periferie al Pd e il ceto medio alla destra, eppure entrambi gli schieramenti politici preferiscono additare come nemico il Movimento Cinque Stelle, con motivazioni simmetriche e opposte: per Matteo Renzi i grillini «sono la vecchia destra», per il neo vice-presidente di FI Antonio Tajani «sono la nuova sinistra».
L’anomalia pentastellata, insomma, resta al momento il principale obiettivo polemico del vecchio bipolarismo, esattamente come in campagna elettorale, e si capisce da qui che entrambe le opposizioni tirano avanti per pura inerzia, con scarsa voglia (e forse scarso coraggio) di aggiornare la linea, e col pensiero inespresso di poter mandare indietro l’orologio della storia e tornare ai tempi in cui moderati e progressisti si contendevano l’elettorato senza terzi incomodi.
Entrambe le opposizioni tirano avanti per pura inerzia, con scarsa voglia (e forse scarso coraggio) di aggiornare la linea, e col pensiero inespresso di poter tornare ai tempi in cui moderati e progressisti si contendevano l’elettorato
Entrambi i vecchi poli puntano apertamente allo sgretolamento della maggioranza, a una rottura fra Salvini e Di Maio che chiuda l’esperimento gialloverde e riporti sui binari della “normalità” lo scenario politico italiano, magari recuperando in nome dell’emergenza nazionale la seducente idea della Grande Coalizione che consentirebbe ai perdenti delle Politiche di tornare in sella. Forse è pure un calcolo fondato. Ma in questa palude di attendismo e scarsa iniziativa, le energie di tutti e due – Forza Italia e Pd – rischiano di consumarsi ulteriormente e il test ormai alle porte delle Europee potrebbe rivelarsi un evento tombale.
Per la sinistra la situazione è ovviamente peggiore, perchè la sconfitta nazionale si accompagna a una debacle sui territori (dove invece Forza Italia tiene) che potrebbe allargarsi ancora. Nel 2019 si voterà in Emilia Romagna, Piemonte, Sardegna, Abruzzo e Calabria, e il rinvio di sei mesi del congresso democratico – mesi che si consumeranno intorno all’interrogativo: Renzi si ricandida? – sembra oggettivamente «un errore fatale», come lo ha definito Roberto Giachetti, e non in senso metaforico: qualcosa che può uccidere.
Le elezioni amministrative sono state la tomba di tutti i grandi partiti italiani. La Dc di Mino Martinazzoli si sciolse dopo la terrificante tornata delle Comunali del 1993. La stessa tornata – sulla carta del tutto secondaria – provocò il collasso definitivo del Psi di Ottaviano Del Turco. Insomma, i precedenti non sono consolatori.
Non si vede all’orizzonte una politica alternativa a quella del governo gialloverde, né in materia economica, né sul tema caldo delle migrazioni, né sui rapporti conflittuali col resto dell’Europa che ormai sono pane quotidiano
E tuttavia dallo choc del 4 marzo sembra che nessuno si sia ancora ripreso, e che l’ambizione di tornare a far politica resti secondaria rispetto alle questioni interne, al riassetto delle gerarchie, alla difesa del fortino che le classi dirigenti si sono con tanta fatica costruite.
Non si vede all’orizzonte una politica alternativa a quella del governo gialloverde, né in materia economica, né sul tema caldo delle migrazioni, né sui rapporti conflittuali col resto dell’Europa che ormai sono pane quotidiano.
E siccome questo governo – come le dichiarazioni contrapposte di Tajani e Renzi chiariscono bene – riassume in sé molto della destra e molto della sinistra, c’è pure il caso che l’Italia veda quel che non ha mai visto: una maggioranza che porta all’interno del suo recinto, con la forza di una calamita, le ragioni e i torti dei riformisti e dei conservatori, dei liberal e dei moderati, degli identitari e dei cosmopoliti, dell’impresa e dei raider, del Nord e del Sud, lasciando fuori dal suo steccato solo limatura.
9 Luglio 2018
Da: Linkiesta
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