IL COGNATO DI GIANFRANCO FINI È ANDATO DALLA POLIZIA EMIRATINA PER LAMENTARSI DEI GIORNALISTI DI LA7 CHE LO STAVANO IMPORTUNANDO. UNA VOLTA IN UFFICIO, PERO’, GLI AGENTI HANNO SCOPERTO CHE LE AUTORITA’ ITALIANE AVEVANO SPICCATO (DA MESI!) UN MANDATO DI CATTURA INTERNAZIONALE CONTRO DI LUI IN SEGUITO ALL'ORDINANZA DI CUSTODIA CAUTELARE IN CARCERE CON L'ACCUSA DI RICICLAGGIO. E DUNQUE SONO STATI COSTRETTI A FERMARLO
TULLIANI TORNERA’ IN ITALIA? FORSE. PERCHE’ IL TRATTATO DI ESTRADIZIONE NON C’E’…
1 - FINE CORSA, TULLIANI ARRESTATO A DUBAI
Massimo Malpica per “il Giornale”
Giancarlo Tulliani, i giornalisti e la polizia. Il triangolo stavolta per il cognato di Gianfranco Fini è finito male, e l' ex inquilino della casa di Montecarlo, inseguito da marzo da un mandato di cattura internazionale, è stato arrestato negli Emirati Arabi Uniti. L' ultimo capitolo della vicenda, raccontato dai suoi legali Titta e Nicola Madia, è stato scritto giovedì, quando il fratello di Elisabetta Tulliani si è presentato in aeroporto a Dubai, dove vive, per accompagnare la fidanzata che tornava a Roma.
Lì l' uomo, sentendosi braccato da una troupe del nuovo programma di Massimo Giletti su La7, s' è presentato alla polizia, lamentandosi dei cronisti che lo infastidivano. Gli agenti emiratini, di fronte alla richiesta di Tulliani di sporgere denuncia, lo hanno accompagnato in ufficio, e una volta lì hanno scoperto dal computer che le autorità italiane avevano spiccato mesi fa un mandato di cattura internazionale per l'uomo, in seguito all' ordinanza di custodia cautelare in carcere con l'accusa di riciclaggio emessa dal gip romano D' Alessandro.
Così Tulliani - essendosi in pratica costituito a sua insaputa - è stato arrestato, e si trova da giovedì in attesa dell' estradizione, assistito da un avvocato locale: stamattina alle 9 è in programma l'udienza di convalida del fermo. «Ora si avvieranno le procedure di estradizione - racconta Titta Madia - e si vedrà cosa decideranno le autorità di Dubai: se ci sarà un diniego all' estradizione Tulliani tornerà libero». Una nemesi, comunque.
Perché all' inizio della vicenda, nel luglio del 2010, quando l'allora inviato del Giornale Gian Marco Chiocci andò a bussare alla sua porta, al civico 14 di boulevard Princesse Charlotte, Montecarlo, dando inizio all'inchiesta sulla casa del Principato ereditata da An e poi svenduta al cognato di Fini, Tulliani pensò di «respingere» l'assalto allertando la polizia monegasca, che cacciò il cronista oltreconfine. Fu come chiudere la stalla quando ormai i buoi erano scappati.
Stavolta lo «scappato» era lui, latitante sul golfo Persico: rivolgersi alla polizia di Dubai, che nei sette mesi precedenti non si era dannata l'anima per trovarlo nonostante il suo indirizzo di casa non fosse un mistero per nessuno, non è certo stato un colpo di genio. Il rampollo dei Tullianos è nei guai con la giustizia per i suoi rapporti d' affari, che la procura di Roma considera opachi, con il re delle slot Francesco Corallo, che ha tra l'altro bonificato la famiglia d' adozione dell' ex presidente della Camera Fini con dazioni di denaro utilizzate anche per acquistare e ristrutturare l' appartamento di Montecarlo.
Sempre Corallo avrebbe organizzato per conto di Giancarlo Tulliani l'architettura di società offshore con base a Saint Lucia (Printemps e Timara ltd in particolare). Grazie a queste per mesi il cognato aveva schermato il proprio nome come reale proprietario della casa, salvando Fini che aveva promesso di dimettersi nel caso in cui fosse stato dimostrato che la casa, donata ad An dalla contessa Colleoni e svenduta alle società offshore, fosse finita a Giancarlo.
Ma Fini non si dimise nemmeno quando le autorità di Saint Lucia confermarono che Tulliani era il «beneficial owner» di Timara e Printemps. E proprio nell'ordinanza d' arresto per Tulliani, Fini viene indicato come personaggio centrale nell'intreccio di interessi tra Corallo e la sua holding del gioco e la famiglia Tulliani.
L'ex terza carica dello Stato, per la procura che lo vuole alla sbarra per riciclaggio, era al centro dei giochi, considerati il suo ruolo istituzionale e gli interessi del gruppo di Corallo per i bandi per il gioco legale: «I Tulliani - si legge nell' ordinanza - erano, quindi, consapevoli che il denaro movimentato era stato da loro acquisito, all' origine, in ragione di un' illecita interrelazione dell' impresa con un influente membro del governo a loro legato, ossia Fini, e che era stato di poi movimentato attraverso una serie ininterrotta di riciclaggi».
2 - MA IL TRATTATO PER L' ESTRADIZIONE NON C'È
Stefano Zurlo per “il Giornale”
Un pasticcio. Il trattato di estradizione è a un passo dalla ratifica, ma il traguardo resta un miraggio. E l'imbarazzo cresce perché gli Emirati la loro parte l' hanno svolta e hanno concluso l' iter. L' Italia invece è alle prese con lo scivolosissimo tema della pena di morte. «Di fatto - taglia corto il sottosegretario alla giustizia Cosimo Ferri - nella prima formulazione dell'accordo non era stata considerata la delicatissima questione». Eppure sembrava fatta.
A settembre 2015 il ministro Andrea Orlando vola ad Abu Dhabi e firma il pre accordo. I latitanti italiani, tutti alla luce del sole, cominciano a tremare. Ma le procedure s'incagliano. «Nei mesi successivi - spiega al Giornale il deputato Pd Davide Mattiello che sul punto ha presentato più di un' interrogazione - l'Italia ha recepito una direttiva della Ue che impone il massimo rigore sulla pena di morte. Questo vuol dire che l'Italia, qualora debba estradare una persona che laggiù rischia la pena capitale, può pretendere in forma scritta la commutazione in una pena detentiva».
Risultato: da più di un anno si aspettano novità che però non arrivano. Arriva invece, a complicare la situazione, l' arresto di Giancarlo Tulliani. «Attendiamo con pazienza la correzione del trattato - prosegue Mattiello - poi il testo dovrebbe tornare in consiglio dei ministri e lì dovrebbe essere vestito nella forma del disegno di legge da mandare alle Camere per la ratifica».
Semplice sulla carta, complicato nella realtà. «Abbiamo riavviato i negoziati tenendo conto delle indicazioni dell'Europa - replica Ferri - gli accordi si fanno in due». Per ora, la pattuglia dei fuggitivi può dormire sonni relativamente tranquilli. «I latitanti sono almeno 12», sottolinea Mattiello. Fra loro il più noto è Amedeo Matacena, ex parlamentare di Forza Italia, condannato in via definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa.
Nell'elenco spicca poi il nome di Raffaele Imperiale, narcotrafficante di spessore legato alla camorra che, secondo le investigazioni della Guardia di finanza, vive nel lusso più sfrenato, a lungo ha occupato una suite nel costosissimo hotel Burj Al Arab, ed è arrivato a spendere fino a 400mila euro al mese.
Attenzione: l'assenza di un trattato non vuol dire che comunque gli emirati non possano rimandare in Italia i criminali scappati dal nostro Paese. In effetti anche Matacena fu fermato nel 2013 e rimase in cella 40 giorni prima di riacquistare la libertà. «Non so come andrà a finire con Tulliani - ragiona Mattiello - ma noto un parallelismo fra le due vicende. Pure Matacena fu bloccato all' aeroporto e credo che le autorità di quel Paese abbiano lanciato tutte e due le volte un messaggio assai chiaro: va bene stare rintanati negli sfarzosi grattacieli, ma i latitanti non devono esagerare». E invece in un modo o nell' altro, Tulliani come Matacena non ha rispettato le regole minime di prudenza. L'aeroporto è terra di frontiera, di controlli, di polizia. «Se ti avventuri in quel contesto - conclude Mattiello - allora tutto può accadere». Si attende la prossima puntata.
Fonte: qui
1 - FINE CORSA, TULLIANI ARRESTATO A DUBAI
Massimo Malpica per “il Giornale”
Giancarlo Tulliani, i giornalisti e la polizia. Il triangolo stavolta per il cognato di Gianfranco Fini è finito male, e l' ex inquilino della casa di Montecarlo, inseguito da marzo da un mandato di cattura internazionale, è stato arrestato negli Emirati Arabi Uniti. L' ultimo capitolo della vicenda, raccontato dai suoi legali Titta e Nicola Madia, è stato scritto giovedì, quando il fratello di Elisabetta Tulliani si è presentato in aeroporto a Dubai, dove vive, per accompagnare la fidanzata che tornava a Roma.
Lì l' uomo, sentendosi braccato da una troupe del nuovo programma di Massimo Giletti su La7, s' è presentato alla polizia, lamentandosi dei cronisti che lo infastidivano. Gli agenti emiratini, di fronte alla richiesta di Tulliani di sporgere denuncia, lo hanno accompagnato in ufficio, e una volta lì hanno scoperto dal computer che le autorità italiane avevano spiccato mesi fa un mandato di cattura internazionale per l'uomo, in seguito all' ordinanza di custodia cautelare in carcere con l'accusa di riciclaggio emessa dal gip romano D' Alessandro.
Così Tulliani - essendosi in pratica costituito a sua insaputa - è stato arrestato, e si trova da giovedì in attesa dell' estradizione, assistito da un avvocato locale: stamattina alle 9 è in programma l'udienza di convalida del fermo. «Ora si avvieranno le procedure di estradizione - racconta Titta Madia - e si vedrà cosa decideranno le autorità di Dubai: se ci sarà un diniego all' estradizione Tulliani tornerà libero». Una nemesi, comunque.
Perché all' inizio della vicenda, nel luglio del 2010, quando l'allora inviato del Giornale Gian Marco Chiocci andò a bussare alla sua porta, al civico 14 di boulevard Princesse Charlotte, Montecarlo, dando inizio all'inchiesta sulla casa del Principato ereditata da An e poi svenduta al cognato di Fini, Tulliani pensò di «respingere» l'assalto allertando la polizia monegasca, che cacciò il cronista oltreconfine. Fu come chiudere la stalla quando ormai i buoi erano scappati.
Stavolta lo «scappato» era lui, latitante sul golfo Persico: rivolgersi alla polizia di Dubai, che nei sette mesi precedenti non si era dannata l'anima per trovarlo nonostante il suo indirizzo di casa non fosse un mistero per nessuno, non è certo stato un colpo di genio. Il rampollo dei Tullianos è nei guai con la giustizia per i suoi rapporti d' affari, che la procura di Roma considera opachi, con il re delle slot Francesco Corallo, che ha tra l'altro bonificato la famiglia d' adozione dell' ex presidente della Camera Fini con dazioni di denaro utilizzate anche per acquistare e ristrutturare l' appartamento di Montecarlo.
Sempre Corallo avrebbe organizzato per conto di Giancarlo Tulliani l'architettura di società offshore con base a Saint Lucia (Printemps e Timara ltd in particolare). Grazie a queste per mesi il cognato aveva schermato il proprio nome come reale proprietario della casa, salvando Fini che aveva promesso di dimettersi nel caso in cui fosse stato dimostrato che la casa, donata ad An dalla contessa Colleoni e svenduta alle società offshore, fosse finita a Giancarlo.
Ma Fini non si dimise nemmeno quando le autorità di Saint Lucia confermarono che Tulliani era il «beneficial owner» di Timara e Printemps. E proprio nell'ordinanza d' arresto per Tulliani, Fini viene indicato come personaggio centrale nell'intreccio di interessi tra Corallo e la sua holding del gioco e la famiglia Tulliani.
L'ex terza carica dello Stato, per la procura che lo vuole alla sbarra per riciclaggio, era al centro dei giochi, considerati il suo ruolo istituzionale e gli interessi del gruppo di Corallo per i bandi per il gioco legale: «I Tulliani - si legge nell' ordinanza - erano, quindi, consapevoli che il denaro movimentato era stato da loro acquisito, all' origine, in ragione di un' illecita interrelazione dell' impresa con un influente membro del governo a loro legato, ossia Fini, e che era stato di poi movimentato attraverso una serie ininterrotta di riciclaggi».
2 - MA IL TRATTATO PER L' ESTRADIZIONE NON C'È
Stefano Zurlo per “il Giornale”
Un pasticcio. Il trattato di estradizione è a un passo dalla ratifica, ma il traguardo resta un miraggio. E l'imbarazzo cresce perché gli Emirati la loro parte l' hanno svolta e hanno concluso l' iter. L' Italia invece è alle prese con lo scivolosissimo tema della pena di morte. «Di fatto - taglia corto il sottosegretario alla giustizia Cosimo Ferri - nella prima formulazione dell'accordo non era stata considerata la delicatissima questione». Eppure sembrava fatta.
A settembre 2015 il ministro Andrea Orlando vola ad Abu Dhabi e firma il pre accordo. I latitanti italiani, tutti alla luce del sole, cominciano a tremare. Ma le procedure s'incagliano. «Nei mesi successivi - spiega al Giornale il deputato Pd Davide Mattiello che sul punto ha presentato più di un' interrogazione - l'Italia ha recepito una direttiva della Ue che impone il massimo rigore sulla pena di morte. Questo vuol dire che l'Italia, qualora debba estradare una persona che laggiù rischia la pena capitale, può pretendere in forma scritta la commutazione in una pena detentiva».
Risultato: da più di un anno si aspettano novità che però non arrivano. Arriva invece, a complicare la situazione, l' arresto di Giancarlo Tulliani. «Attendiamo con pazienza la correzione del trattato - prosegue Mattiello - poi il testo dovrebbe tornare in consiglio dei ministri e lì dovrebbe essere vestito nella forma del disegno di legge da mandare alle Camere per la ratifica».
Semplice sulla carta, complicato nella realtà. «Abbiamo riavviato i negoziati tenendo conto delle indicazioni dell'Europa - replica Ferri - gli accordi si fanno in due». Per ora, la pattuglia dei fuggitivi può dormire sonni relativamente tranquilli. «I latitanti sono almeno 12», sottolinea Mattiello. Fra loro il più noto è Amedeo Matacena, ex parlamentare di Forza Italia, condannato in via definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa.
Nell'elenco spicca poi il nome di Raffaele Imperiale, narcotrafficante di spessore legato alla camorra che, secondo le investigazioni della Guardia di finanza, vive nel lusso più sfrenato, a lungo ha occupato una suite nel costosissimo hotel Burj Al Arab, ed è arrivato a spendere fino a 400mila euro al mese.
Attenzione: l'assenza di un trattato non vuol dire che comunque gli emirati non possano rimandare in Italia i criminali scappati dal nostro Paese. In effetti anche Matacena fu fermato nel 2013 e rimase in cella 40 giorni prima di riacquistare la libertà. «Non so come andrà a finire con Tulliani - ragiona Mattiello - ma noto un parallelismo fra le due vicende. Pure Matacena fu bloccato all' aeroporto e credo che le autorità di quel Paese abbiano lanciato tutte e due le volte un messaggio assai chiaro: va bene stare rintanati negli sfarzosi grattacieli, ma i latitanti non devono esagerare». E invece in un modo o nell' altro, Tulliani come Matacena non ha rispettato le regole minime di prudenza. L'aeroporto è terra di frontiera, di controlli, di polizia. «Se ti avventuri in quel contesto - conclude Mattiello - allora tutto può accadere». Si attende la prossima puntata.
Fonte: qui
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