A RISPOSTA DI ZINGARETTI (“MAI DIRE MAI”) E CALENDA CHE ALZA LE BRACCIA
M5S spaccato, Grillo pressa Di Maio "Mi rivolgo al Pd: l' occasione è unica"
Ilario Lombardo per “la Stampa”
Appena sceso dalla macchina che lo riporta dal Quirinale a Palazzo Chigi, Giuseppe Conte rivolge un sorriso ai collaboratori. «Tutto a posto». Aspettavano ansiosi di capire se la storia tra il M5S e il Pd fosse morta sul nascere. «Si va avanti» risponde il premier incaricato, deciso a piantare dei paletti precisi al tavolo della trattativa.
Appena si arriverà alla carne viva delle questioni aperte al di là dei programmi, Conte cercherà una mediazione tra i veti. Si parte sempre da lì: dal ruolo di vicepremier di Luigi Di Maio. Ma per risolvere questo incastro, il premier discuterà anche delle caselle più delicate, che lo interessano in prima persona, dal Tesoro al commissario europeo, al sottosegretario della presidenza (vuole un suo uomo, scottato dal precedente di un leghista) fino ai profili della nuova compagine.
Conte, che oggi sarà in collegamento video con la festa del Fatto in Versilia, la metterà giù così: «Non sarebbe un governo di svolta o di novità, se fosse composto dalle stesse facce, e poche donne».Si rivolge a entrambi. A Nicola Zingaretti, perché si liberi del peso dei capicorrente che sperano in un posto da ministro. E al M5S, che non riesce a fornire nomi che non siano i soliti e dove scarseggiano le quote rosa.
In qualche modo gli viene in aiuto Beppe Grillo, che ancora una volta irrompe con un video del blog. Lo fa nella fase finale della trattativa scomponendo la narrazione dei dem e dei grillini, senza risparmiare critiche alla strategia di Di Maio: «Dovete sedervi a un tavolo e essere euforici perché appartenete a questo momento straordinario di cambiamento. Abbiamo da progettare il mondo, invece ci abbruttiamo, e le scalette e il posto lo do a chi, e i dieci punti, i venti punti, basta! ». Grillo è uno dei registi di questa alleanza e rivolto al Pd, «alla base dei ragazzi del Pd» li esorta: «E' il vostro momento, abbiamo un' occasione unica. Ricompattiamo i pensieri. C' è da riprogettare il mondo, da rivedere i paradigmi della crescita». A stretto giro di tweet la risposta di Nicola Zingaretti: "Caro Beppe, mai dire mai nella vita. Cambiamo tutto e rispettiamoci gli uni con gli altri".
Conte ha un timing preciso in testa, concordato con il presidente della Repubblica Sergio Mattarella: tra oggi e domani ci sarà il vertice decisivo con i leader dei partiti. Nel frattempo il programma condiviso verrà impacchettato e messo in votazione sulla piattaforma Rousseau per martedì. Se ogni cosa filerà liscia mercoledì il premier salirà al Colle con la lista dei ministri. Questa è l' agenda ideale, che non tiene conto degli inciampi ancora possibili. Conte è fiducioso di poter convincere Zingaretti ad accettare Di Maio come vice.
E ne ha parlato anche al capo dello Stato. Con il presidente Mattarella si erano sentiti al telefono nelle ore serali di venerdì, subito dopo l' escalation del capo dei 5 Stelle, quando lo spettro del voto è tornato a materializzarsi nelle sue parole, trascinando lo spread di nuovo all' insù. «Ha esagerato» spiega Conte, pronto a chiedere al grillino di non replicare l' altalena umorale di dichiarazioni che con la Lega hanno minato stabilità del governo e fiducia dei mercati. E la fibrillazione finanziaria è uno dei motivi che lo spingono a voler chiudere entro oggi la partita, per consegnare un po' di ottimismo all' apertura delle borse di domani.
Sono giorni complicati per Di Maio, questo Conte lo comprende. Gli è rimasta incollata addosso l' immagine di un leader in caduta che si aggrappa alle poltrone. Lo ferisce soprattutto il fatto che lo pensino i parlamentari grillini. Ne parla ai vertici del M5S che riunisce, fisicamente o collegati al telefono. Ci sono i capigruppo, Nicola Morra, e Paola Taverna, Davide Casaleggio e Alessandro Di Battista a distanza. Spiega che il suo «non era un ultimatum», ma un modo per «spronare il Pd sul programma».
Difende le sue scelte di responsabilità «nei confronti del Paese in questo momento di difficoltà». Poi certo, l' obiettivo è restare a Chigi. Legge l' irrigidimento di Zingaretti in chiave interna al Pd. Il segretario ha ceduto su tutto: aveva detto no al M5S e no al Conte II, e ora ha puntato Di Maio. «Ma vuole davvero aiutare il Paese o vuole solo la mia testa?».
Con il via libera al grillino, iI Pd - è il ragionamento che si fa - potrebbe pretendere quasi la metà dei ministeri e quasi tutti di peso. Ma Zingaretti e i suoi temono che anche su questo Conte potrebbe far pesare la sua volontà politica di incidere sulla squadra per cancellare l' aspetto notarile tenuto con i gialloverdi. E dato che gran parte dell' autorevolezza se l' è conquistata in campo internazionale, sui conti, vincendo due procedure di infrazione, è su Economia e commissario Ue che si potrebbero incagliare.
Gli piacerebbe inviare una donna a Bruxelles, come chiede la presidente della Commissione Ursula Von der Layen, più di figure alla Paolo Gentiloni. Allo stesso modo non farebbe salti di gioia se l' ex premier andasse agli Esteri. Ma qualcosa, tra le due, dovrà cedere. Conte chiede di rinfrescare i volti. Non si tratta di puntare a dei tecnici, perché le scelte possono essere fatte tra le fila dei partiti, tenendo però conto del codice etico del M5S.Come chiede Di Maio: «Sia chiaro che non accetteremo per i ministeri indagati per fatti gravi e condannati» .
Fonte: qui
LE TRATTATIVE PD-M5S VANNO AVANTI SPEDITE NONOSTANTE L’OPPOSIZIONE DI GIGGETTO (E CASALEGGIO): A MUOVERE I FILI CON IL PD SONO GRILLO, FICO E CONTE, CHE IERI CI È ANDATO GIÙ D’URO CON LA DELEGAZIONE GRILLINA
PREVISTE EPURAZIONI A PALAZZO CHIGI: VIA TUTTI I FEDELISSIMI DI LUIGINO & DAVIDE.
AVVERTITE IL GIGLIO MAGICO, DI RENZI, CHE IL PREMIER SI VUOLE TENERE LA DELEGA AI SERVIZI SEGRETI…
Marco Antonellis per Dagospia
Il Premier incaricato Giuseppe Conte è già pronto al repulisti di Palazzo Chigi: appena tornerà in sella sarà data immediatamente luce verde al cambiamento dei fedelissimi di Di Maio e Casaleggio piazzati nei posti chiave; "aria nuova", il mantra che si recita in queste ore. E Giuseppi non è intenzionato nemmeno a mollare la delega dei servizi segreti, come pure dal Pd, zona giglio magico, gli è stato ripetutamente chiesto.
E chissà cosa avranno pensato ieri i due grillni Patuanelli e D'Uva mentre si beccavano la "strigliata" del solitamente mite Conte. Già, perché quello che stamattina i giornaloni non dicono è che ieri il Premier in pectore ci è andato giù duro con la delegazione grillina. Il motivo? Non ha apprezzato l'ultimatum del giorno prima di Luigi Di Maio. E lo ha fatto sapere a chi di dovere.
Perché il problema è sempre e solo quello, Giggino Di Maio; e non è stato ancora risolto. La riprova è nei messaggi sempre più insistenti di Beppe Grillo, mai così prolifico come negli ultimi tempi e sempre estremamente celere ad intervenire sul suo (ex?) leader politico quando la situazione si incaglia (ieri non a caso il suo post giungeva subito dopo che lo stato maggiore del Movimento aveva ribadito di volere a tutti i costi Di Maio Vicepremier). "E' Grillo che muove i fili con il Pd ed insieme a Fico e Conte punta sulla nascita del nuovo governo anche in chiave futura per un'alleanza stabile con i Dem" spiegano fonti di vertice del Movimento.
E il Quirinale? Si muove felpatamente, come da prassi, e invita a non esagerare con il "negativismo". Dal Colle si predica calma (anche ai media) affinché l'operazione vada a buon fine.
O CONTE O IL VOTO! – PER SERGIO MATTARELLA NON C’È NESSUN PIANO B, MEN CHE MENO UN RITORNO DELLA COALIZIONE GIALLO-VERDE. AL MASSIMO SI FA UN GOVERNO DEL PRESIDENTE PER POI ANDARE ALLE URNE. IL CAPO DELLO STATO IERI L'HA DETTO CHIARAMENTE A CONTE
L'AVVOCATO DEL DIAVOLO STA SPIEGANDO A DI MAIO CHE SE FA IL VICE AVRÀ UN MINISTERO MENO IMPORTANTE, MA LUIGI SI È IMPUNTATO E VUOLE L’UFFICIO A PALAZZO CHIGI…
ALLA FINE, PUR DI NON ANDARE A ELEZIONI PD E M5S TROVERANNO UN ACCORDO SU TUTTO
Marco Conti per “il Messaggero”
Lo spericolato psicodramma messo in piazza da Luigi Di Maio - con tanto di minaccia di voto anticipato se non avrà il ruolo di vicepremier - ha sconcertato e irritato non solo il Pd ma anche Giuseppe Conte, il quale, ha chiesto e ottenuto udienza dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Già negli incontri avuti in precedenza con i partiti, il Capo dello Stato si era guardato bene dall'entrare in discussioni su equilibri e poltrone.
LO STALLO
Sulla stessa falsariga raccontano si sia svolto il colloquio di ieri, anche se per Conte il faccia a faccia con il Capo dello Stato è utile non solo per i suggerimenti ricevuti, ma soprattutto ridare a M5S e Pd il senso dell'urgenza e di un presidente della Repubblica che ha sempre pronta la carta di riserva. Ovvero un governo istituzionale per portare il Paese al voto.
Anche perché, se salta il tentativo di Conte, non ci sono che le urne visto ciò che hanno detto i pariti durante i colloqui al Quirinale. In buona sostanza al Quirinale si resta sulle conclusioni tratte dal Presidente al termine del giro di consultazioni: o un governo Conte o il voto. Una linea che azzera le suggestive speranze di chi ancora pensa - nel M5S come nella Lega - che sia ancora possibile rimettere insieme i cocci di un'alleanza che Matteo Salvini ha curiosamente fatto saltare l'8 agosto.
Sulla questione dei vicepremier, che contrappone M5S e Pd, la sintesi è un vedetevela voi, non mi tirate in mezzo e, soprattutto sbrigatevi che non mette in ombra le prerogative del Capo dello Stato - che nomina i ministri su indicazione del presidente del Consiglio - ma lascia nelle mani del solo Conte la stesura della squadra di governo.
La tentazione di mollare, e rimettere l'incarico nelle mani del Capo dello Stato, Conte l'ha avuta dopo la sortita del leader grillino, ma alla fine hanno prevalso i messaggi di incoraggiamento ricevuti da molti esponenti M5S e i consigli ricevuti dal Capo dello Stato. Al tentativo di Di Maio di riprendersi il boccino del governo, dicendo o si fa come dico io o salta tutto, Conte di fatto reagisce salendo al Colle dove ancora è sul tavolo la carta del governo di garanzia, e quindi le urne. Uno sbocco che sarebbe un disastro per tutti e due i partiti, viste le percentuali del M5S e quelle del Pd, ma soprattutto per la leadership di Di Maio che ieri sera è stato rampognato dallo stesso Beppe Grillo.
Con questo spirito Conte ieri pomeriggio ha avviato il tavolo del programma con i capigruppo del M5S D'Uva e Patuanelli e quelli del Pd Del Rio e Marcucci. Ma se sul programma sembrano esserci meno ostacoli del previsto, il nodo del vicepremier blocca la stesura della lista dei ministri. Dopo il chiarimento che Di Maio ha avuto ieri con lo stato maggiore grillino, è molto probabile che oggi incontri il premier incaricato insieme al segretario del Pd Zingaretti.
L'impuntatura del leader grillino crea problemi non solo al Pd, che resta fermo sulla richiesta di un vicepremier unico e di marca Dem. Conte intende infatti impostare l'esecutivo in maniera snella, senza vice e con un sottosegretario alla presidenza del Consiglio di sua strettissima fiducia e fuori dall'orbita dei partiti.
Il pressing di Di Maio rischia invece di imporre a Conte un cambio di format che, per non ripetere a fotocopia lo schema gialloverde, gli impone i due vicepremier (Di Maio e Franceschini) e un sottosegretario in quota Pd. A tutti gli effetti uno schema a quattro (due M5S e due Pd) che si porterebbe dietro la rinuncia che dovrebbe fare Di Maio ai suoi attuali dicasteri (Sviluppo e Lavoro) in cambio di deleghe meno pesanti (Sud e innovazione).
Anche se l'opzione preferita resta quella di zero vice, anche nel Pd sanno che non potranno impuntarsi qualora Conte dovesse cedere sul vicepremierato a Di Maio, ma lo schema rischia di imbrigliare ancor più Conte.
Malgrado venga spesso citato il manuale Cencelli, in base al quale spartire le poltrone ministeriali, la carica di vicepremier ha un peso molto relativo rispetto a molti altri dicasteri di spesa. Ma per Di Maio il problema sembra essere quello di avere un ufficio a palazzo Chigi dove controllare l'attività di governo. D'altra parte il governo che sta per nascere è molto più complesso e articolato del precedente con Di Maio che non potrà regolare qualunque questione con un messaggino come faceva con Salvini.
Oltre al Pd, c'è la sinistra di Leu - che ieri ha protestato per l'esclusione dal tavolo del programma - e altri partiti e gruppi più piccoli che comunque serviranno a palazzo Madama. E' proprio questa complessità, e soprattutto il timore di avere a che fare con quei volponi del Pd, che atterrisce Di Maio in cerca da giorni di una trincea a palazzo Chigi dietro la quale barricarsi chiamando a sè i gruppi parlamentari. Fonte: qui
Ma per come si è alzato il tono della contesa, la soluzione che accontenterebbe Di Maio e non il Pd, rischia di costare molto al M5S in termini di potere reale e di ministeri.
Marco Conti per “il Messaggero”
Lo spericolato psicodramma messo in piazza da Luigi Di Maio - con tanto di minaccia di voto anticipato se non avrà il ruolo di vicepremier - ha sconcertato e irritato non solo il Pd ma anche Giuseppe Conte, il quale, ha chiesto e ottenuto udienza dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Già negli incontri avuti in precedenza con i partiti, il Capo dello Stato si era guardato bene dall'entrare in discussioni su equilibri e poltrone.
LO STALLO
Sulla stessa falsariga raccontano si sia svolto il colloquio di ieri, anche se per Conte il faccia a faccia con il Capo dello Stato è utile non solo per i suggerimenti ricevuti, ma soprattutto ridare a M5S e Pd il senso dell'urgenza e di un presidente della Repubblica che ha sempre pronta la carta di riserva. Ovvero un governo istituzionale per portare il Paese al voto.
Anche perché, se salta il tentativo di Conte, non ci sono che le urne visto ciò che hanno detto i pariti durante i colloqui al Quirinale. In buona sostanza al Quirinale si resta sulle conclusioni tratte dal Presidente al termine del giro di consultazioni: o un governo Conte o il voto. Una linea che azzera le suggestive speranze di chi ancora pensa - nel M5S come nella Lega - che sia ancora possibile rimettere insieme i cocci di un'alleanza che Matteo Salvini ha curiosamente fatto saltare l'8 agosto.
Sulla questione dei vicepremier, che contrappone M5S e Pd, la sintesi è un vedetevela voi, non mi tirate in mezzo e, soprattutto sbrigatevi che non mette in ombra le prerogative del Capo dello Stato - che nomina i ministri su indicazione del presidente del Consiglio - ma lascia nelle mani del solo Conte la stesura della squadra di governo.
La tentazione di mollare, e rimettere l'incarico nelle mani del Capo dello Stato, Conte l'ha avuta dopo la sortita del leader grillino, ma alla fine hanno prevalso i messaggi di incoraggiamento ricevuti da molti esponenti M5S e i consigli ricevuti dal Capo dello Stato. Al tentativo di Di Maio di riprendersi il boccino del governo, dicendo o si fa come dico io o salta tutto, Conte di fatto reagisce salendo al Colle dove ancora è sul tavolo la carta del governo di garanzia, e quindi le urne. Uno sbocco che sarebbe un disastro per tutti e due i partiti, viste le percentuali del M5S e quelle del Pd, ma soprattutto per la leadership di Di Maio che ieri sera è stato rampognato dallo stesso Beppe Grillo.
Con questo spirito Conte ieri pomeriggio ha avviato il tavolo del programma con i capigruppo del M5S D'Uva e Patuanelli e quelli del Pd Del Rio e Marcucci. Ma se sul programma sembrano esserci meno ostacoli del previsto, il nodo del vicepremier blocca la stesura della lista dei ministri. Dopo il chiarimento che Di Maio ha avuto ieri con lo stato maggiore grillino, è molto probabile che oggi incontri il premier incaricato insieme al segretario del Pd Zingaretti.
L'impuntatura del leader grillino crea problemi non solo al Pd, che resta fermo sulla richiesta di un vicepremier unico e di marca Dem. Conte intende infatti impostare l'esecutivo in maniera snella, senza vice e con un sottosegretario alla presidenza del Consiglio di sua strettissima fiducia e fuori dall'orbita dei partiti.
Il pressing di Di Maio rischia invece di imporre a Conte un cambio di format che, per non ripetere a fotocopia lo schema gialloverde, gli impone i due vicepremier (Di Maio e Franceschini) e un sottosegretario in quota Pd. A tutti gli effetti uno schema a quattro (due M5S e due Pd) che si porterebbe dietro la rinuncia che dovrebbe fare Di Maio ai suoi attuali dicasteri (Sviluppo e Lavoro) in cambio di deleghe meno pesanti (Sud e innovazione).
Anche se l'opzione preferita resta quella di zero vice, anche nel Pd sanno che non potranno impuntarsi qualora Conte dovesse cedere sul vicepremierato a Di Maio, ma lo schema rischia di imbrigliare ancor più Conte.
Malgrado venga spesso citato il manuale Cencelli, in base al quale spartire le poltrone ministeriali, la carica di vicepremier ha un peso molto relativo rispetto a molti altri dicasteri di spesa. Ma per Di Maio il problema sembra essere quello di avere un ufficio a palazzo Chigi dove controllare l'attività di governo. D'altra parte il governo che sta per nascere è molto più complesso e articolato del precedente con Di Maio che non potrà regolare qualunque questione con un messaggino come faceva con Salvini.
Oltre al Pd, c'è la sinistra di Leu - che ieri ha protestato per l'esclusione dal tavolo del programma - e altri partiti e gruppi più piccoli che comunque serviranno a palazzo Madama. E' proprio questa complessità, e soprattutto il timore di avere a che fare con quei volponi del Pd, che atterrisce Di Maio in cerca da giorni di una trincea a palazzo Chigi dietro la quale barricarsi chiamando a sè i gruppi parlamentari. Fonte: qui
Ma per come si è alzato il tono della contesa, la soluzione che accontenterebbe Di Maio e non il Pd, rischia di costare molto al M5S in termini di potere reale e di ministeri.
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