PARLA CRAIG UNGER, L’AUTORE DI “HOUSE OF TRUMP, HOUSE OF PUTIN”
I RAPPORTI DI STONE E MANAFORT CON PUTIN E QUEL VIAGGIO A SAN PIETROBURGO CON IVANA NEL 1987…
La Trump Tower non è solo il luogo del discusso incontro organizzato da Donald junior con i russi durante le presidenziali del 2016: il grattacielo sulla 5th Avenue è stato per trent' anni protagonista degli opachi legami del presidente americano con Mosca.
È quello che racconta Craig Unger in House of Trump, House of Putin (in uscita in Italia per la Nave di Teseo il 6 settembre prossimo), in cui il famoso giornalista investigativo americano scava indietro nel tempo fino a prima della caduta dell' Unione sovietica per dimostrare come Trump sia da decenni una «risorsa» per i russi.
«Penso che sia stato compromesso già negli anni Ottanta», racconta al Corriere Unger dalla sua casa di Tribeca. Nel 1984 un affiliato della mafia sovietica acquista cinque appartamenti per sei milioni di dollari nella Trump Tower in quella che - spiega l' autore - è solo la prima di una serie di operazioni di riciclaggio di denaro attraverso i casinò e le proprietà immobiliari del futuro presidente.
LA COPERTINA DEL DAILY NEWS SU TRUMP E PUTIN
Ma cosa ha a che vedere questo con l' ascesa politica di Trump? «La mafia russa - ragiona Unger - è un attore statale». O più precisamente «un altro ramo del Kgb», come dice Oleg Kalugin, una delle fonti principali del libro, ex capo del controspionaggio di Mosca e a un certo punto superiore di Putin quando il futuro presidente russo lavorava nei servizi.
È legandosi a loro che Trump si sarebbe scoperto alle manovre dell' intelligence nemica. Ma non di solo riciclaggio si tratta. Nel libro Unger si dilunga su un incontro di Trump con l' ambasciatore russo alle Nazioni Unite Yuri Dubinin e sua figlia Natalia Dubinina. È il 1986, i due vengono ricevuti nella Trump Tower, si dicono impressionati dall' edificio e chiedono al magnate di costruirne uno simile a Mosca.
TRUMP PUTIN HELSINKI
L' anno dopo Trump e la prima moglie Ivana partono per la Russia. «Secondo Kalugin - dice Unger - durante quel viaggio organizzato dalla Intourist, la principale agenzia turistica sovietica, è molto probabile che il Kgb abbia riempito le suite di Trump di cimici e telecamere per sorprenderlo in attività compromettenti».
DONALD E IVANA TRUMP NEL 1987 VISITANO SAN PIETROBURGO
Nel frattempo, è il 1988, «The Donald», che secondo il giornalista era «una delle strade esplorate dai russi per infiltrare la politica americana» annusa per la prima volta l' ipotesi di correre per la presidenza quando va in New Hampshire, uno dei primi Stati a votare nelle primarie. A due mesi dal ritorno dalla Russia, Trump si era messo in contatto con lo stratega politico Roger Stone, la cui firma di lobbying era famosa per aiutare i dittatori.
«Lui e Manafort - ricorda Unger - si facevano chiamare la lobby dei torturatori». Paul Manafort (ex capo della campagna di Trump, ora in attesa del verdetto nel processo per evasione fiscale e truffa scaturito dalle indagini di Mueller), avrebbe poi rappresentato Yanukovich «facendo di fatto i servizi di Putin».
Nel libro molto spazio è dedicato a queste ambigue figure che popolano il passato e il presente del presidente: «A introdurre Trump a Stone e Manafort fu Roy Cohn, una forza oscura che lavorava con Reagan, ma anche con la mafia».
VIKTOR YANUKOVICH PUTIN
Secondo Unger fu lui ad impartire a Trump «l' etica del crimine organizzato, quella che vediamo in azione in questi giorni con la revoca delle credenziali di sicurezza a Brennan e altri, per esempio».
DONALD TRUMP PAUL MANAFORT
La domanda che non trova risposta nel libro di Unger è se Trump sia stato e sia consapevole di essere uno strumento nelle mani di Mosca. «Le vendite cash attraverso fonti anonime si sono ripetute almeno 1300 volte, non poteva non saperne niente», dice Unger, che racconta anche di come la mafia russa abbia salvato Trump dal fallimento dopo i flop di Atlantic City. Accuse enormi, in parte anche già note.
ROGER STONE
Eppure l' opinione pubblica sembra distratta. «Il problema è che i social hanno marginalizzato i media professionali, molte persone anche in buona fede finiscono sui siti manovrati da Mosca». Solo l' impeachment, secondo Unger, potrebbe cambiare le cose: «Oggi su questa storia ognuno ascolta la sua bolla.
Quello che spero accada con l' incriminazione è che il Russiagate diventi uno spettacolo, uno psicodramma in diretta tv che porti finalmente a una narrativa condivisa». In caso contrario il rischio, conclude senza giri di parole, «è di scivolare in un regime autoritario».
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