Shinzo Abe (Lapresse)
C’è allarme per lo spread in Italia. Anzi, diciamo che è tornato dopo la fiammata di maggio. Ovviamente, le vulgate sono differenti, come le narrazioni. Per l’opposizione è il chiaro segnale della sfiducia dei mercati verso questo Governo e, in particolare, la sua ricetta economica. Per l’esecutivo, invece, si tratta della solita manovra dei poteri forti, i quali utilizzano il differenziale di rendimento fra Btp e Bund come arma di pressione politica. Insomma, siamo alle solite. E, come al solito, manca la prospettiva. Perché se si vuole capire davvero come stanno le cose sotto il pelo dell’acqua dei mercati, se si vuole capire cosa garantisce la falsa calma che regna sugli indici, se si vuole trovare una ragione - ancorché irrazionale - ai dati formali da record dell’economia Usa, bisogna andare alla radice. Del problema, ovviamente.
E la radice del problema, così come il canarino nella miniera di ciò che ci attende, risiede lontano, in Giappone. Il quale, ultimamente, ha suscitato l’interesse dei media unicamente per l’ondata di caldo fuori dal normale che ha portato al decesso di decine di persone. Certo, la stampa specializzata giovedì scorso ha brevemente parlato degli “scossoni” sui rendimenti sovrani giapponesi, ma lo ha fatto quasi unicamente per spiegare il ritorno in area 3% dello yield del Treasury statunitense a 10 anni, così da non intaccare la narrativa dell’America che insegna al mondo come si cresce. La situazione, invece, è un po’ diversa. Ma vediamo di mettere la questione in prospettiva.
Il Giappone ha un debito totale di circa 10 triliardi di dollari e una ratio debito/Pil del 224%, la peggiore al mondo, seguita da quella greca con il suo 180% post-salvataggio. Ma c’è di più. E di peggio. Tokyo lo scorso anno ha speso il 24,1% delle sue revenue totali (circa 23,5 triliardi di yen) soltanto per il servizio di quel debito, sia a livello di capitale che di interessi e quella percentuale è destinata a salire ulteriormente, quest’anno. Ma attenzione: il Giappone non è una Repubblica delle banane, non è una nazione in via di sviluppo. È la terza economia del mondo e, come vi anticipavo nella prima parte di questo articolo pubblicata sabato, il secondo mercato azionario del pianeta. Il tutto, contestualizzato in uno scenario in cui si spende un quarto delle revenue totali per gestire il servizio del debito e in cui la Banca centrale è impegnata nella più cialtronesca e parossistica operazione di monetizzazione di quel debito mai posta in essere nella storia moderna, impegnata com’è a comprare qualsiasi cosa con denaro stampato ad hoc. E qui non parliamo di intervento distorsivo, come nel caso della Bce: qui parliamo di acquirente di prima e ultima istanza, di soggetto unico del mercato, di Leviatano statalista.
La Bank of Japan ha stampato circa il corrispettivo in yen di 9,5 triliardi di dollari fondamentalmente per comprare tutto il debito governativo presente sul mercato. E quando ha finito i bond disponibili, è passata ai titoli azionari attraverso gli Etf. Morale? Oggi la Bank of Japan è tra i primi 10 azionisti di circa il 40% delle aziende giapponesi quotate, attraverso il suo cosiddetto programma di stimolo e anti-deflazione, il mitologico Abenomics: l’Unione Sovietica attraverso altri mezzi, formalmente liberali e liberisti. Ma, perché quando si arriva a queste aberrazioni c’è sempre un “ma”, la Bank of Japan ha compiuto due errori fondamentali, entrambi in grado di scoperchiare il vaso di Pandora della credibilità e della fiducia (di comodo e interessata) dei mercati.
Primo, ha rinviato di un anno (dal marzo di quest’anno a quello del 2019) il raggiungimento dell’obiettivo di inflazione al 2% per il quale quella macchina da guerra keynesiana è stata formalmente posta in essere. Di fatto, ammettendo il proprio fallimento, visto il controvalore di acquisti già compiuti e il livello di distorsione del mercato raggiunto (praticamente, il decennale giapponese non ha volume di trading, con alcuni giorni di contrattazioni che passano senza che venga scambiato un singolo contratto). Ma si sa, viviamo nell’epoca del bad news is good news, quindi se le cose vanno male, significa che tutto va bene perché questo consentirà alle Banche centrali di continuare la festa della stamperia.
Secondo, l’aggravamento ulteriore dello stato di disperazione della Bank of Japan è stato confermato dalla scelta di scendere ancora più in basso a livello di abissi dell’azzardo, quando ha deciso di dare vita alla cosiddetta politica di controllo della curva dei rendimenti, ovvero niente più che la promessa al mercato di acquistare quanti bond necessari, affinché i rendimenti restassero artificialmente compressi sotto una certa soglia: nella fattispecie, la Banca centrale operava attivamente con gli acquisti affinché il governo non dovesse mai pagare più dello 0,1% di interesse sul debito emesso. E qual è il problema, a parte la cancellazione formale e sostanziale di qualsiasi concetto di price discovery e premio di rischio? Ce lo mostrano plasticamente questi due grafici, relativi a quanto accaduto poche settimane fa.
Nonostante la promessa ufficiale della Bank of Japan di continuare a operare per mantenere tassi e rendimenti fissi e ultra-bassi, qualche screanzato ha deciso di vendere il debito giapponese che deteneva. E trattandosi di un mercato di fatto monodirezionale e oligarchico a livello di acquisti e volumi, quei movimenti ancorché limitati e ridotti, hanno mandato tremori. E attenzione, parliamo di tremori mettendo in prospettiva la cosa e facendo riferimento a un mercato sano, libero, concorrenziale e attivo: nell’Urss obbligazionaria del Giappone, quei cerchi nell’acqua si sono tramutati e sono stati percepiti come allarmi tsunami. In sole due settimane, infatti, il rendimento del titolo benchmark, il bond a 10 anni, è salito dallo 0,03% a - udite udite - lo 0,11%, il massimo da 18 mesi. Panico a Tokyo!
Vi rendete conto, qualcuno si è permesso di compiere l’oltraggio di scaricare dal proprio portafoglio carta che fa riferimento alla ratio debito/Pil più grande del mondo, in un Paese in piena crisi demografica ormai cronica e, oltretutto, che non paga praticamente nulla per essere detenuta! Che scandalo! Ma chi si credono di essere questi mitologici “mercati”, questi investitori che pensano di dettare leggi ai governi! Il problema, poi, è storico, ontologico per il debito giapponese. Perché siamo di fronte a un vero e proprio cambio di paradigma.
Tokyo ha lottato per oltre un decennio contro la deflazione e in quel contesto di dinamiche particolari del potere d’acquisto, può anche avere senso il detenere un bond che paga quasi zero, perché di fatto non intacca il valore del tuo capitale. Ma visto che la Bank of Japan ha dato vita a un programma che ha come fine statutario lo stimolo - di fatto, artificiale - dell’inflazione (a oggi siamo attorno all’1% su base annua) succede che qualche screanzato si stanchi di perdere soldi in maniera automatica, detenendo bond nipponici e vada altrove alla ricerca del mitico rendimento, moderno Klondike nel mondo fatato delle Banche centrali onnivore e pianificatrici del mercato. Insomma, la Bank of Japan paga l’effetto collaterale delle proprie azioni, portate al parossismo dalla disperazione. Quindi, la gente (la poca che detiene bond giapponesi, essendo praticamente tutti in pancia proprio alla Bank of Japan) scarica il debito e i rendimenti salgono.
E quei grafici ci dicono il livello di follia collettiva con cui abbiamo a che fare e con cui dovremo fare i conti per decenni, ormai, visti i danni distorsivi già compiuti: al netto di quella percentuale folle di entrate fiscali che si destina al mero servizio del debito e di un’economia che certo non si espande a ritmi cinesi, il governo di Tokyo non si può permettere nemmeno il minimo movimento al rialzo degli yields, pena mandare fuori controllo i conti pubblici e il Budget. Bene, come mostrano i grafici, la scorsa settima a la Bank of Japan è intervenuta direttamente sul mercato, rendendo nota e visibile la propria mano, per quattro volte per tamponare la tragedia sostanziatasi in rendimenti sul decennale saliti dallo 0,03% allo 0,11%! Insomma, dopo quanto speso e il livello di distorsione imposto ai mercati prima obbligazionario e poi azionario, la Bank of Japan è dovuta intervenire chiaramente e per l’ennesima volta, dicendo agli investitori che comprerà qualsiasi cosa, compresa l’aria e le nuvole, pur di mantenere fermo quel maledetto tasso di interesse, quell’obiettivo di contenimento della curva obbligazionaria.
Signori, questa si chiama disperazione finanziaria. E, soprattutto, inizio della fine. Perché, essendo realisti, a oggi non esiste un reale rischio di sell-off su quel debito, visto che una cosa è andare a vedere il bluff in una mano di poker, un’altra è caricarci come scommessa tutto quello che si ha. La Bank of Japan, infatti, farà di tutto (ha già parlato più di una volta di helicopter money, la fase terminale e senza ritorno delle politiche espansive) per millantare stabilità, ma così facendo, non solo distruggerà la sua residua credibilità, bensì imporrà un ordine nuovo al mercato: ovvero, comandano solo le Banche centrali. Le quali, però, dovranno d’ora in poi agire strutturalmente, sistemicamente e senza intervalli di sosta: ovvero, i programmi espansivi non saranno temporalmente limitati ed emergenziali, ma la norma. Pena, il crollo dello schema Ponzi globale.
Il problema è: se il Giappone può ancora permettersi questa follia, visti i mezzi praticamente infiniti di cui gode ancora per ora la Bank of Japan, cosa succederà quando la situazione andrà davvero fuori controllo? Ovvero, quando il mercato vedrà delusa la sua certezza silenziosa e implicita, riguardo un impegno temporalmente e monetariamente infinito delle Banche centrale mondiali? Come reagiranno gli investitori? E non i pochi che hanno in pancia il debito tutto statale giapponese, ma tutti gli investitori in debito sovrano, compresi quelli che hanno in portafoglio miliardi di controvalore in Btp, tipo le banche commerciali francesi e i fondi (anche e sempre più pensionistici), per capirci?
Signori, comunque vada, sarà un disastro cui difficilmente si potrà porre rimedio in maniera ordinata. Ma mi raccomando, voi seguite i consigli di chi ci vede lungo: il problema è la deflazione teutonica imposta dall’austerity e dal rigore. A volte mi chiedo se ci sono o ci fanno. E spero, vivamente, sia vera la seconda ipotesi. Altrimenti, è davvero grave.
(2- fine)
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