Da www.ansa.it
E' di un morto e quaranta feriti il bilancio dell'incendio avvenuto sul ponte dell'Autostrada sul raccordo di Casalecchio. I soccorsi sono ancora in corso e non si esclude il coinvolgimento di altre persone.
Il violento incendio, seguito da diverse esplosioni, sarebbe stato causato da un incidente stradale in tangenziale, fra un camion che trasportava sostanze infiammabili e alcune auto.
Il rogo si è sviluppato poco prima delle 14 a Borgo Panigale, alla periferia di Bologna. Numerose auto di alcune concessionarie vicine hanno preso fuoco e sono esplose. Il raccordo autostradale di Casalecchio è stato chiuso in entrambe le direzioni.
E' parzialmente crollato il ponte dell'autostrada, del raccordo di Casalecchio A1-A14, che sovrasta la via Emilia a Borgo Panigale. I vigili del fuoco stanno controllando dall'alto il ponte. Sopra al ponte ci sono ancora le fiamme e c'è un elicottero dei vigili del fuoco che sta cercando di domarle.
Il raccordo autostradale di Casalecchio, tra Bologna Casalecchio ed il bivio con la A14 Bologna-Taranto, in entrambe le direzioni, è chiuso a causa dell'incendio provocato dall'incidente successo al km 3.
Chiuso anche il tratto sulla tangenziale di Bologna, tra Bologna Casalecchio e lo svincolo 3 Ramo Verde in entrambe le direzioni. All'interno del tratto chiuso la circolazione è bloccata. Chiusure sono state predisposte anche sulla viabilità cittadina.
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L’ONDA D’URTO LO HA FATTO VOLARE PER 20 METRI. HA USTIONI GRAVI SU TUTTO IL CORPO, È STATO OPERATO D’URGENZA. CE LA FARÀ. CON LUI ALTRI SOCCORRITORI IMPROVVISATI
NON SAPREMO MAI SE È STATO UN MALORE, LA STANCHEZZA, DISTRAZIONE. ANDREA ANZOLIN, 42 ANNI E UNA MOGLIE, È MORTO NELL'ESPLOSIONE, DOPO AVER TAMPONATO IL TIR DAVANTI
INCIDENTE A BOLOGNA, CAMION IN FIAMME: LO SCONTRO, POI IL BOTTO. IL PONTE CROLLATO. «PERSONE USTIONATE, FIAMME FINO ALLE CASE»
Marco Imarisio per il ''Corriere della Sera''
È un sandalo da bambina, taglia numero 29. Non si riesce a separarlo dal bitume sciolto di via Marco Emilio Lepido, che in quel tratto è il nome che prende la via Emilia. Il muro del palazzo che scorre lungo il marciapiede è completamente annerito, le fiamme lo hanno scavato facendo crollare l’intonaco, bruciando gli infissi delle finestre al primo piano.
Tutti hanno visto la palla di fuoco. E infine non resterà che un boato ripreso in ogni sua angolazione, dall’alto le telecamere della A14 appese ai cartelli dello svincolo, ad altezza d’uomo i telefonini dei guidatori in coda. Ma è ciò che resta a dare la misura di questa giornata di macelleria stradale resa diversa dalle altre per via delle immagini, delle testimonianze paradossali, dell’apocalisse che poteva essere e ancora non si capisce come non sia stata.
Forse è solo la buona sorte, forse il caso che per una volta non è stato maligno. Davanti alle serrande rigonfie in un modo grottesco della serramenta «Chiodo fisso» e del bar accanto, deformate dall’onda d’urto che ha spinto quelle lastre di acciaio verso l’interno dei locali per poi lanciarle in direzione opposta, davanti alle barriere insonorizzanti della tangenziale conficcate nei muro di un locale distante almeno ottanta metri in linea d’aria, non viene in mente nient’altro.
Davanti all’ingresso sventrato del ristorante «Il randagio», uno squarcio nella pietra annerito ai bordi, con ancora la traccia dell’impatto della ruota del Tir in fiamme che ha attraversato la sala principale, in quel momento «c’erano tre tavoli occupati per un totale di sette coperti», come dice ancora sotto choc il titolare, non ci sono spiegazioni razionali. Perché nonostante la morte di Andrea Anzolin, che aveva 42 anni e una famiglia che lo aspettava, nonostante un bilancio di 68 feriti gravi, altri quaranta ricoverati in ospedale, una ventina di soccorritori ustionati, questa è la cronaca di un giorno fortunato.
L’INCIDENTE - Il posto è uno dei più trafficati d’Italia, è quella strettoia che una volta uscita dall’autostrada del Sole porta alla A14, che lambisce Bologna ma significa mare Adriatico, riviera romagnola, vacanze. Mancano dieci minuti alle 14. Andrea Marongiu, cameriere in Milano, un ragazzo di vent’anni che con la fidanzata Anna era diretto a Riccione sulla sua Clio ed è stato tra i primi a mettere in rete il video dell’esplosione, ricorda che il notiziario di Infostrada aveva appena usato la formula di rito, «traffico intenso ma scorrevole».
All’improvviso, sulla corsia di destra, all’altezza della terza uscita, Borgo Panigale, si alza una nuvola di fumo, seguita da una breve fiammata. E’ una cisterna carica di gpl che senza nessuna ragione tampona un Tir che aveva rallentato in modo neppure troppo vistoso, gli agenti della Polstrada parlano di decelerazione «normale», e viene a sua volta centrata da un Tir che a sua volta trasportava materiale infiammabile, non se ne conosce ancora la natura.
L’ESPLOSIONE - Passano quattro minuti, duranti i quali le auto si incolonnano. «Ho detto alla mia ragazza che per fortuna la corsia di sinistra era rimasta sgombra, saremmo passati presto. E mentre finivo la frase è esplosa l’autobomba». La raccontano tutti così, con metafore belliche o stragiste, come è inevitabile che sia. «Ho pensato all’attentato di Capaci». «Mi sono ricordato di quando c’era la guerra a Bagdad». La palla di fuoco arde per un quarto d’ora, mentre sotto all’autocisterna si apre una voragine.
A tarda sera se ne capiranno le dimensioni, un cratere lungo una ventina di metri, dai bordi netti, perché l’asfalto è scomparso, fuso dal calore. Il viadotto crolla sulla via Emilia che scorre quattro metri sotto, con la motrice che resta appesa a penzoloni, incredibilmente risparmiata dalla combustione, il muso a un metro dal piazzale sottostante, che è il parcheggio della concessionaria Peugeot «Auto luna», il deposito delle vetture di seconda mano in esposizione. Ne saltano in aria almeno una ventina, mentre altre cinquanta vengono completamente carbonizzate, creando decine di altri incendi.
I DANNI - Nessun audio può rendere la forza di quella prima esplosione. C’è un palazzo di edilizia popolare all’angolo tra la via Emilia e la via Celio che gli abitanti del quartiere chiamano il Colosseo, per via della sua forma particolare. Sono cinque piani che si affacciano su quella sopraelevata. Non c’è una finestra che sia rimasta intatta, neppure al pianterreno, neppure all’ultimo piano, il quinto. Le persiane di legno e acciaio verde sono sparse per un raggio di seicento metri quadrati. I locali della concessionaria sono sventrati, ridotti a una spelonca, del muro che divideva il salone dagli uffici amministrativi non restano che alcuni spuntoni alti al massimo venti centimetri.
Tutto intorno, i segni di una strage per fortuna mancata. C’è il sandalo della bambina, e poco distante una maglietta bruciacchiata. Poco più in là, una sacca con dentro un costume da piscina e un asciugamano, una bicicletta che l’ondata di calore ha piegato in due, i segni di una corsa disperata a cercare riparo da una fiammata che ha incenerito sterpaglie lungo la tangenziale e le aiuole che tentano di imbellire la via Emilia.
LE VITTIME - Non sapremo mai cosa è stato, se un malore, la stanchezza, una disattenzione. Si chiamava Andrea Anzolin, aveva 42 anni e una moglie. Viveva ad Agugliaro, nel vicentino, e lavorava per l’azienda «Loro» di Lonigo, produzione e commercio di carburante. Pare fosse un conducente esperto, veniva da un decennio alla guida dei camion di un’altra ditta di trasporti, a Noventa. C’è un agente della Polizia, si chiama Riccardo Muci, che in quei quattro minuti di tempo sospeso ha capito prima di ogni altro cosa stava succedendo.
E’ sceso dalla sua auto e ha cominciato ad aiutare le persone rimaste ferite sull’autostrada, mentre intanto gridava ai passanti fermi nella via sottostante di allontanarsi, di fuggire, che stava per saltare tutto. L’onda d’urto lo ha fatto volare per venti metri. Ha ustioni gravi su tutto il corpo, è stato operato d’urgenza. Ce la farà. Tra i feriti ci sono molti soccorritori, perché per almeno dieci minuti l’aria è stata attraversata da fiammate, pezzi di auto trasformati in palle di fuoco. Martedì mattina il premier Giuseppe Conte andrà in visita sul luogo del disastro, perché anche se il bilancio finale per fortuna dice poco, tutti hanno visto, e hanno capito. E’ una tragedia. Ma è stato anche un miracolo. Fonte: qui
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