9 dicembre forconi: IL PIANO B DEL PRESIDE DELLA FACOLTA' DI ECONOMIA DI TOR VERGATA CHE POTREBBE ESSERE IL NUOVO MINISTRO DEL TESORO: NEL 2016 SI DICEVA D’ACCORDO CON SAVONA E PARLAVA DI “COMPETIZIONE TRUCCATA IN EUROPA CHE FAVORISCE LA GERMANIA”

venerdì 1 giugno 2018

IL PIANO B DEL PRESIDE DELLA FACOLTA' DI ECONOMIA DI TOR VERGATA CHE POTREBBE ESSERE IL NUOVO MINISTRO DEL TESORO: NEL 2016 SI DICEVA D’ACCORDO CON SAVONA E PARLAVA DI “COMPETIZIONE TRUCCATA IN EUROPA CHE FAVORISCE LA GERMANIA”

PERCHÉ DI MAIO E SALVINI DEVONO CONCENTRARSI SULLA POLITICA INDUSTRIALE. L’OPINIONE DI TRIA
Giovanni Tria per http://formiche.net/ (14 maggio 2018)

GIOVANNI TRIAGIOVANNI TRIA
Un programma di governo sul quale costruire un’alleanza politica in grado di ottenere la fiducia parlamentare è qualcosa di diverso da un programma elettorale, ma non di molto.

Si indicano le direzioni di marcia, i provvedimenti chiave, le priorità. Così sembra essere il programma economico, di cui si conoscono ancora solo le indiscrezioni al momento di scrivere, contenuto nel “contratto alla tedesca” che il Movimento Cinquestelle e la Lega si apprestano a sottoscrivere per formare un governo.

Un giudizio preliminare si dovrebbe quindi limitare a valutarne la coerenza strategica più che la cosiddetta compatibilità con i mezzi di bilancio a disposizione. Non perché essi non siano limitati, ma per due motivi fondamentali.

Il primo è che il costo delle riforme, o più modestamente dei provvedimenti annunciati, dipende dalla loro specifica configurazione una volta che l’annuncio si dovrà tradurre in norme.

Con tutto il rispetto per le competenze riunite intorno al tavolo politico delle trattative, poi le norme attuative dei propositi si dovranno scrivere con le competenze istituzionali in grado di misurare effetti di bilancio e coerenze legislative di sistema.

E in genere la realtà delle cifre ridimensiona spesso la visione. Il secondo è che fino ad oggi non è emerso un accordo chiaro su quali siano i paletti di bilancio che si vorranno rispettare. In altri termini, se le compatibilità di bilancio del programma dipenderanno da un improbabile mutamento delle regole europee (abbiamo già avuto un governo che è partito con il proposito di battere i pugni sul tavolo a Bruxelles) o se queste regole saranno forzate.

SALVINI DI MAIOSALVINI DI MAIO
Se andiamo quindi alla coerenza strategica, la prima questione sollevata dalla maggioranza dei commentatori è il contrasto potenziale tra l’obiettivo del reddito di cittadinanza e quello della flat tax, i due provvedimenti simbolo dei partiti che si accingono a firmare il contratto di governo.

Essi rispondono, si dice, a due visioni diverse del modo in cui si dovrebbe uscire dalla crisi di bassa crescita dell’Italia. In realtà anche qui è il particolare e specifico mix dei due che determinerà il risultato.

Non sappiamo ancora cosa sarà questo reddito di cittadinanza e, quindi, le risorse richieste e l’ampiezza del pubblico dei beneficiari. Esso sembra oscillare tra una indennità di disoccupazione un poco rafforzata, (e tale da avvicinarla a sistemi già presenti in altri paesi europei, come ad esempio in Francia, certamente più generosa dell’Italia con chi perde il lavoro) e magari estesa a chi è in cerca di primo impiego, e un provvedimento, improbabile, tale da configurare una società in cui una parte della popolazione produce e l’altra consuma.

paola savona villa borghesePAOLA SAVONA VILLA BORGHESE
Poiché l’oscillazione di cui parliamo è solo nel dibattito politico-filosofico, mentre la realtà, se il governo si farà, ci offrirà una versione prossima alla prima ipotizzata, non si vede un contrasto pregiudiziale con una politica orientata alla crescita e alla sfida della globalizzazione. D’altra parte, ristrutturazioni e innovazione tecnologica richiedono transizioni da sostenere sul piano sociale.

Più interessante è l’obiettivo della flat tax, che coincide con l’obiettivo di riduzione della pressione fiscale come condizione di una politica di crescita, soprattutto se si vede questo obiettivo non tanto come un modo per aumentare il reddito spendibile di famiglie e imprese, e quindi sostenere la domanda interna, ma come un modo per aumentare il rendimento dei fattori produttivi, lavoro e capitale, e quindi anche degli investimenti.

Naturalmente, conterà anche in questo caso la sua declinazione specifica per valutarne la sostenibilità. Si parla di partire con una doppia aliquota. La questione è tecnicamente complessa ma ciò che conta è avviare il processo di semplificazione del sistema e la sua sostenibilità dipende non tanto dall’aliquota unica o le due aliquote, ma dal livello delle aliquote.

La scommessa, secondo i sostenitori della riforma, è che essa porti ad effetti benefici sulla crescita e quindi generi quel gettito fiscale aggiuntivo che dovrebbe compensare, almeno in parte, anche il costo iniziale della riduzione delle aliquote.

Sarebbe preferibile, tuttavia, contare meno sulle scommesse e far partire la riforma con un livello di aliquota, o di aliquote, che consenta in via transitoria di minimizzare la perdita di gettito, per poi ridurle una volta assicurati gli effetti sulla crescita. Inoltre, non si vede perché non si debba far scattare le clausole di salvaguardia di aumento dell’IVA per finanziare parte consistente dell’operazione.

Vi è la “vulgata”, molto sostenuta anche a livello istituzionale, che serva subito un governo per impedire che queste clausole di aumento dell’IVA vengano attivate, perché ciò sarebbe recessivo.

La tesi non mi sembra sostenibile a meno che si pensi di impedire l’aumento delle aliquote IVA creando altro deficit. Poiché non è questa, credo, l’intenzione di chi sostiene questa “vulgata”, impedire l’aumento dell’Iva recuperando risorse da un’altra parte, con tagli di spesa o aumenti di altre tasse, non muta di certo il presunto effetto recessivo.

Al contrario, come ho sostenuto da oltre un decennio e non da solo, ritengo che in Italia si debba riequilibrare il peso relativo delle imposte dirette e di quelle indirette spostando gettito dalle prime alle seconde.

Si tratta di una scelta di policy sostenuta da molto tempo anche dalle raccomandazioni europee e dell’Ocse perché favorevole alla crescita e non si capisce perché non si possa approfittare dell’introduzione di un sistema di flat tax per attuare un’operazione vantaggiosa nel suo complesso.

Per tornare ad altri punti del programma, vi è l’intenzione della “correzione” della riforma Fornero. Allo stato attuale, una stima del costo mi sembra ancora velleitaria se non si chiarisce il meccanismo, anche perché l’abitudine di denunciarne l’impatto cumulandone il costo per un lungo periodo di tempo non contribuisce alla chiarezza in termini di impatto che è importante quanto il lungo periodo.

GIOVANNI TRIAGIOVANNI TRIA
Più preoccupante il fatto che non sia affatto chiaro quale sarebbe l’indirizzo del governo di coalizione che si sta formando sui temi di politica industriale (vedi l’imbarazzante caso Ilva) e sul sistema di controlli giudiziari e para-giudiziari che assieme al codice degli appalti stanno paralizzando ogni velleità di attivazione degli investimenti pubblici, pur da tutti auspicati. Si tratta di temi altrettanto cruciali, se non di più, rispetto a quelli più commentati.


VI SPIEGO LA COMPETIZIONE TRUCCATA IN EUROPA CHE FAVORISCE LA GERMANIA
Giovanni Tria per http://formiche.net/

Il 27 dicembre, Giorgio La Malfa e Paolo Savona hanno pubblicato sul Corriere della Sera un articolo di commento a una intervista di Fubini all’economista tedesco Clemens Fuest (Corriere della Sera del 16 dicembre) che sosteneva l’ineluttabilità dell’uscita dell’Italia dall’euro.

La Malfa e Savona sostanzialmente rispondono che il governo italiano dovrebbe reagire sostenendo che è la Germania che dovrebbe uscire dall’euro perché il suo surplus della bilancia commerciale non è compatibile con il regime di cambi fissi che vige nell’eurozona, o perlomeno accettare un passaggio ad un regime di cambi fissi aggiustabili.

Quel che mi ha colpito è che un’analisi economica seria, non si tratta di una battuta di politici anti-euro, ma di due eminenti economisti con i quali peraltro concordo in pieno, non abbia ricevuto fino a oggi commenti rilevanti, in accordo o in disaccordo, (ma qualcosa mi può certamente essere sfuggito) sulla stampa.

Tuttavia, ho ascoltato, e letto perplesso in vari blog, molti commenti critici di amici che sembrano non aver colto l’essenza del problema, o almeno che continuano a sfuggirlo.

La reazione tipica che ho ascoltato è quella di chi sostiene che la svalutazione è una droga che non permette di recuperare vera competitività attraverso innovazione e aumento di produttività, e che è quindi dannosa.

Non si può tornare, sostengono questi critici, al periodo in cui l’Italia si manteneva competitiva con continue svalutazioni e con alta inflazione, perché da quel periodo nascono le debolezze italiane.

Non mi interessa entrare in una discussione di storia economica, ma ritengo che vi sia una incomprensione di fondo del problema, il cui superamento richiede purtroppo almeno alcuni elementi di base di economia.

Una svalutazione può certo essere manovrata per “imbrogliare i nemici” tramite politiche monetarie ad hoc, ma il tasso di cambio è essenzialmente un prezzo e come tale può determinarsi sul mercato o distorto, come qualsiasi altro prezzo, impedendo al mercato di funzionare.
Ma come ogni altro prezzo è un mezzo di riequilibrio se determinato almeno in parte dal mercato. Se un paese come la Germania mantiene per anni un surplus tra il 6 e l’8 per cento del Pil senza che la sua valuta si apprezzi rispetto a quella di paesi in deficit significa che questo strumento di riequilibrio economico di mercato è stato eliminato, e non che si è eliminata una policy sbagliata.

Sostanzialmente questa è la situazione all’interno dell’eurozona. Non si discute quindi di ripescare una possibile politica furbesca dei paesi in deficit, ma del fatto che questo mezzo di riequilibrio di mercato oggi non c’è.

Ma se questo “prezzo” non è in funzione, per un intervento di policy, perché tale è la decisione della moneta unica, dovrebbe potersi usare qualche altro strumento di riequilibrio non di mercato, ad esempio la politica fiscale. Ma anche questa ci è attualmente interdetta, anch’essa è vista in ogni circostanza come droga, e i contribuenti tedeschi non accettano una solidarietà fiscale.

A mio avviso, non si tratta di dividersi tra liberisti e keynesiani, tra fautori delle virtù del mercato e fautori dell’intervento dello stato. Il nodo è che il libero mercato qui non c’entra niente.

Se con cambi fissi si rinuncia ad un meccanismo di riequilibrio allora devono esserci altri meccanismi in un sistema coerente, i mercati non funzionano a metà. E non c’entrano neppure le maggiori o minori virtù italiche rispetto a quelle germaniche.

Se saremo meno bravi saremo più poveri, ma la competizione non può essere truccata, il mercato non può essere distorto solo per la parte che conviene ad alcuni paesi e invocato per il resto.

Peraltro, dal 2008 ci dicono che la risposta dovrebbe essere la deflazione interna, ma è evidente che questa c’è stata ma non ha funzionato, anche perché promuovere la deflazione in paesi con alto debito, e non parliamo solo dell’Italia, è un evidente suicidio.

Forse è ora di abbandonare molti tabù che hanno impedito, come rilevano La Malfa e Savona, almeno di analizzare i problemi e prepararsi a soluzioni alternative. Fonte: qui

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