LA DIRETTA CONCORRENTE PER UN POSTO IN CASSAZIONE SPARA A ZERO CONTRO L’EX PRESIDENTE DELL’ANM ED ULTIMO RIMASTO DEL POOL DI MANI PULITE
Giuseppe Salvaggiulo per la Stampa
Rita Sanlorenzo, ex segretaria di Magistratura Democratica, è candidata alle elezioni del Csm per Area, gruppo dei magistrati progressisti, nel collegio della Cassazione contro Piercamillo Davigo, leader della corrente Autonomia e Indipendenza, nata nel 2015. Un seggio per due, nel duello più interessante di una partita elettorale che divide i magistrati lungo nuove e profonde linee di frattura.
Qual è la posta in gioco?
«È vitale richiamare tutti a un' etica della responsabilità nelle scelte, battere la disaffezione di molti magistrati verso il Csm, evitare che si riduca a mero organo amministrativo, senza rapporti con il Paese».
Csm e Associazione magistrati sono sotto attacco. Si delinea anche nella magistratura una lotta anti establishment?
«E' una strana battaglia con punte di ipocrisia: il protagonista, Davigo, del sistema ha sempre fatto parte a pieno titolo. S' è accorto dell' insopportabile peso delle correnti nel Csm solo dopo aver concluso la sua presidenza dell' Associazione magistrati. Una strumentalizzazione elettorale».
Ha letto il libro sul caso Robledo-Bruti Liberati?
«Sì, è un libro del tutto unilaterale sul caso specifico e grossolano sul tema generale».
In che senso?
«Per denunciare un' infezione, peraltro tracciata superficialmente con molte omissioni, spara una bomba sull' intero sistema di autogoverno dipingendolo come irrimediabilmente opaco e corrotto. Una tesi di parte diventa il grimaldello per screditare l' intero sistema, colpendo anche la Procura di Milano. Non so se ci si rende conto della pericolosità delle conseguenze».
Vede un disegno unico?
«Non so se ci sia un disegno. Certo Davigo lo cavalca con un certo cinismo».
Che cosa pensa della sua discesa in campo?
«Davigo è un signor magistrato a due anni dalla pensione. Ma la sua storia non lo legittima ad accreditarsi come alfiere unico della moralità: nel sistema ha sempre operato attivamente, condividendone pregi e difetti. Altro che homo novus».
E come giudica la convergenza, se non altro temporale, tra exploit elettorale grillino e discesa in campo di Davigo?
«Non voglio insinuare che ci sia un' intelligenza operativa, ma certo si cavalca il momento storico. Del resto era inevitabile che certe pulsioni che si agitano nella società contaminassero anche la magistratura».
Quali pulsioni?
«Davigo non arriva certo dalla luna. Ha una fisionomia ideologica precisa, fondata su una formazione di destra, che non lo abbandona certo nell' ultima versione che offre all' esterno».
Che cosa intende per destra, oggi, riferita a un magistrato?
«Una destra che cavalca l' illusione securitaria con slogan semplicistici che vogliono solo più reati, pene più alte, più carcere. Priva di ogni cultura delle garanzie, la cui assenza produce frasi agghiaccianti e rivelatrici come quella secondo cui "di fronte a un imputato dichiarato innocente bisogna chiedersi se non sia un colpevole che l' ha fatta franca"».
Rivelatrici di cosa?
«Si tratta di un' ideologia permeata di pulsioni vagamente autoritarie, fondate sulla rivendicazione di un ruolo della magistratura non come corpo dello Stato al servizio della legalità, ma come tutore esclusivo della moralità pubblica. Una magistratura che si autocolloca su un piedistallo (ignorando la questione morale che all' interno la agita) da cui esprime giudizi che vanno ben oltre le aule di giustizia».
Che ne pensa della proposta di estendere l' uso dell' agente provocatore nelle indagini?
«Criminogena e incompatibile con lo stato di diritto. La magistratura deve reprimere reati, non provocarli».
Davigo è popolare, voi sembrate arroccati al vecchio regime.
«Nessuno è esente da colpe, nemmeno quelli della stessa appartenenza di Davigo. Ma nessuno può ergersi a censore delle condotte altrui con una permanente esibizione di popolarità. Se fossi Davigo non godrei così visibilmente per intervistatori compiacenti e platee osannanti. Su questa sovraesposizione mediatica converrebbe riflettere».
Invoca la par condicio?
«Segnalo che a tanta disponibilità televisiva non ne corrisponde una nelle sedi proprie e con i colleghi, per confronti a cui sinora s' è sottratto. Quanto alla sovraesposizione personale, non è sempre stata positiva per la magistratura. Vellica il consenso personale a scapito della fiducia nell' istituzione».
Come cambierà la magistratura in un contesto politico così fluido e sfrangiato?
«Noi entravamo in magistratura a 25 anni, ora si vince il concorso a 32. Abbiamo delegato compiti gravosi ai giovani colleghi senza capire le loro richieste. Ci sono molte più donne ma manca un' organizzazione del lavoro adeguata alle esigenze di maternità. Ed è evaporato l' impegno associativo che per la mia generazione era l' altra faccia della professione. Capisco che le sirene moraleggianti squillino fragorose. Ma l' attacco indiscriminato al Csm e alle vituperate correnti produrrà una magistratura più corporativa e settaria, non più libera e autorevole».
Fonte: qui
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