9 dicembre forconi: marzo 2016

giovedì 31 marzo 2016

MENTRE I CONTRATTI DEI POLIZIOTTI SONO BLOCCATI DA 6 ANNI, LA PORTAVOCE DI ALFANO SI PRENDE 150.000 EURO L'ANNO

Ballerini, cantanti e calciatori potranno andare in pensione prima dei minatori, di chi maneggia l’amianto o di chi presta servizio la notte.

Proseguono, anche nel 2016, gli effetti paradossali della legge Fornero. Nel provvedimento presentato alla fine del 2011 con le lacrime agli occhi, l’ex ministro del Lavoro aveva individuato una serie di categorie a cui garantire, fino al 2022 uno speciale regime di armonizzazione tra le vecchie e le nuove norme.
Si tratta di lavoratori che non rientrano nelle tradizionali attività usuranti, ma che, per la specificità del lavoro svolto, subiscono, secondo il legislatore, gli effetti di un fattore temporale.
Si tratta di alcuni tipologie di lavoratori delle spettacolo, degli sportivi professionisti, dei marittimi e del personale viaggiante addetto ai pubblici servizi di trasporto. Per coloro, in ottemperanza della Fornero, il Dpr 157/2013 ha stabilito regole speciali per l’accesso alla quiescenza. Fino al 31 dicembre 2013 questi lavoratori potevano andare in pensione a 60 anni (55 per le donne). Dal 2014 il requisito è stato fissato, con alcune deroghe, in 5 anni prima dell’età pensionabile del regime generale obbligatorio.
Anche le eccezioni alla Fornero hanno subito, nel corso degli ultimi anni, alcuni innalzamenti dell’asticella dovuti alla progressione prevista per tutti i comuni mortali, compresa quella dovuta all’innalzamento dell’aspettativa di vita stabilito dall’Istat. Ma il risultato è che nel 2016 i marittimi addetti al pilotaggio hanno diritto alla pensione di vecchiaia a 61 anni e 7 mesi (60 anni e 7 mesi le donne), i marittimi adibiti al servizio di macchina a 57 anni e 7 mesi, gli autoferrotranvieri a 61 anni e 7 mesi (60 anni e 7 mesi le donne), il gruppo ballo a 46 anni e 7 mesi, gli sportivi professionisti a 53 anni e 7 mesi (50 anni e 7 mesi le donne), il gruppo cantanti, artisti lirici ed orchestrali a 61 anni e 7 mesi (58 anni e 7 mesi le donne), il gruppo attori, conduttori e maestri d’orchestra a 64 anni e 7 mesi (61 anni e 7 mesi le donne).
Questi ultimi due gruppi in assenza di anzianità contributiva al 31 dicembre 1995 saranno soggetti alle regole generali.
Lasciando da parte l’impietoso confronto con gli altri lavoratori, che nel 2016 possono andare in pensione solo se hanno raggiunto i 66 anni e 7 mesi (65 anni e 7 mesi le donne del privato) di età, il paragone clamoroso riguarda chi svolge attività fisicamente e usuranti.
Malgrado la presenza, anche per questi lavoratori, di un regime speciale, in alcuni casi gli «armonizzati» continuano a godere di una corsia preferenziale.
Chi effettua un lavoro faticoso e pesante potrà andare a riposo a 61 anni e 7 mesi, ma solo se è dipendente, Gli autunomi dovranno aspettare fino a 62 anni e 7 mesi.
Per chi svolge un’attività notturna esistono diverse fascia.
Chi colleziona durante l’anno più di 78 giorni di turni di notte avrà il diritto di lasciare a 61 anni e 7 mesi.
Chi ha fatto un po’ meno notti, da 72 a 77 giorni l’anno, dovrà aspettare 62 anni e 7 mesi (63 e 7 mesi gli autonomi).
Per chi ha lavorato durante la notte «solo» da 64 a 71 giorni l’asticella si alza a 63 anni e 7 mesi (64 anni e 7 mesi per gli autonomi).
La beffa più grande è poi per i macchinisti delle ferrovie. I loro «colleghi» di tram e autobus vanno tranquillamente a riposo a 61 anni. Per avere lo stesso trattamento chi guida un locomotore (misteriosamente escluso dagli armonizzati) dovrà dimostrare, certificazioni alla mano, di aver viaggiato di notte almeno 78 giorni l’anno. (S.IAC.)
Fonte: qui

martedì 29 marzo 2016

Per l’ Unione Europea il segnale è evidente

Bruxelles-militarizzataGli ultimi attacchi a Bruxelles sono la prova evidente che quelli di Parigi non sono stati una mera fatalità, ma i primi di quella che sembrerebbe essere una lunga serie di attacchi terroristici simili.

Questi attacchi non sono in realtà nulla di nuovo, questo è esattamente ciò che la Russia ha dovuto sopportare negli anni ’90, dalla stessa gente e per le stesse ragioni.
Ma se, alla fine, la Russia è riuscita a battere sia la ribellione che il terrorismo wahabita ceceno, sembra che all’Europa manchino tutte le risorse necessarie per giungere alla vittoria.
Ancora peggio, i capi di Stato europei non riescono ad andare oltre le loro attuali politiche russofobiche, autoescludendosi in questo modo da tutto l’aiuto che la Russia potrebbe offrire.
Ci sono delle ragioni obbiettive per cui è stata scelta Bruxelles: naturalmente perché è la capitale dell’Unione Europea, ma anche perché è un bersaglio “morbido”, molto più facile da colpire, per esempio, del Quartier Generale Supremo delle Potenze Alleate in Europa (SHAPE) nella città belga di Mons, o del Quartier Generale della NATO ad Haren, presso Brussels. Ma questa non è la ragione “veramente vera” per cui è stata colpita Brussels. La triste verità è che l’Europa ha fatto di tutto per esporsi a questo tipo di attacco.
In primo luogo, quando queste stesse persone (i fanatici wahabiti) avevano usato gli stessi metodi (gli attacchi terroristici) contro il maggior stato confinante con l’Europa (la Russia), le élites europee avevano dato il loro completo sostegno ai terroristi, non solo politicamente (presentandoli come combattenti per la libertà), ma anche direttamente (M16 e CIA erano direttamente e pesantemente coinvolte nelle guerre cecene).

In quegli anni la Russia era molto simile all’Unione Europea di oggi, governata da un élite completamente corrotta e assolutamente venduta all’Impero Anglo-Sionista, i servizi di sicurezza russi erano stati quasi completamente smantellati, la gente normale non aveva assolutamente idea di quello che stava succedendo e l’economia era in sfacelo. La Russia era, allora, un bersaglio facile, proprio come lo è oggi l’Europa.

Secondo, l’Europa ha coltivato con amore un’oscena amicizia con i tre maggiori sponsor planetari del terrorismo: Turchia, Arabia Saudita ed Israele.

Andare a letto con certa gente può solo portare a dei risultati disastrosi. Ed ora, dopo che Erdogan aveva previsto esattamente gli attacchi terroristici di Bruxelles, gli Europei continuano a non farsi le domande giuste (hanno invece preferito credere all’affermazione che Erdogan avrebbe messo in guardia gli Europei).

Terzo, sono ormai decenni che l’ Unione Europea ha una politica assolutamente suicida sull’immigrazione o, potrei anche dire, nessuna politica, a meno che voi non consideriate una politica il “facciamoli entrare tutti”.

Tutti i servizi di intelligence europea sanno da decenni che gli immigrati sono un grosso rischio, sia per quanto riguarda la piccola delinquenza (spaccio di droga), che per il terrorismo.
Tutti ne erano al corrente, ma la correttezza politica ha impedito a tutti di dirlo apertamente, salvo essere essere accusati di razzismo.
Lasciate che faccia un esempio: tutti quanti, nella polizia e nell’intelligence svizzera sapevano da anni che i terroristi albanesi dell’UCK avevano in Svizzera soldi e quartier generale, ne aveva parlato anche qualche giornale. Allo stesso modo, tutti in Svizzera sanno anche che la mafia albanese controlla il mercato delle droghe pesanti. Ciononostante, le autorità svizzere non hanno fatto assolutamente nulla per fermare tutto questo. Lo stesso tipo di diniego si verifica in Francia con gli immigrati del Maghreb (GIA) e in Germania con i Turchi (Lupi grigi) e i Curdi (PKK). Invece di prendere le misure necessarie a proteggere la gente comune, i politici hanno scelto di nascondere il problema, denigrare chi osa parlarne, mentre i servizi di sicurezza sono costretti a venire a miti consigli con i gruppi terroristici (e alle volte anche ad usarli).
Quarto, le forze di polizia e di sicurezza europee sono per la maggior parte a corto di personale, sottopagate, scarsamente addestrate, oberate di lavoro e dalle pastoie burocratiche, di solito disorganizzate e scoordinate fra loro.
Hanno anche un disperato bisogno di traduttori e di interpreti, e molto spesso non hanno le basi legali per investigare, tenere sotto controllo ed infiltrare le comunità degli immigrati. In molte nazioni hanno anche un equipaggiamento di base insufficiente, e quello a loro disposizione è vecchio e sorpassato. Di nuovo, il parallelo con la Russia degli anni ’90 è impressionante.

Bruxelles Stazione ferroviaria
Bruxelles Stazione ferroviaria

Quinto, invece di concentrarsi sul pericolo vero e attuale, costituito dall’infiltrazione di terroristi travestiti da migranti, l’Europa ha focalizzato tutte le sue risorse nel contrastare la (assolutamente immaginaria) “minaccia russa”, sprecando soldi in centri comando, comunicazione, depositi logistici pre-posizionati e, naturalmente, in numerose manovre ed esercitazioni volte ad “intimidire l’orso russo”. Ancora peggio, gli Europei hanno, almeno fino ad ora, rifiutato più volte, in maniera categorica, di collaborare con i Russi sui problemi della sicurezza, terrorismo compreso.
Sesto, le autorità di governo dell’Unione Europea hanno sistematicamente bollato come “razzisti” tutti quelli che avevano osato mettere in guardia sui pericoli del terrorismo connesso all’immigrazione, mentre, contemporaneamente, introducevano una serie di misure completamente inutili ma molto offensive nei confronti dei Mussulmani, come vietare alle studentesse di portare il velo o scatenare il panico sul numero delle macellerie halal di Parigi.

Non fa perciò meraviglia che un tale miscuglio di stupidità ed arroganza abbia alla fine portato ad attacchi come quelli di Parigi o Bruxelles.

Ma l’aspetto peggiore di tutta questa storia è che non ci sono indicazioni di sorta sul fatto che i governanti europei abbiano imparato qualcosa, o che stiano riconsiderando le loro politiche suicide.

Fino ad ora, abbiamo visto piangere Federica Mogherini e la Torre Eiffel di Parigi illuminata con i colori della bandiera belga. Ma ancora non c’è una decisione politica, o anche un piano generico, su come affrontare l’attuale minaccia terroristica.

Ma quello che l’Europa ha è un piano in 5 punti su come trattare con la Russia, un piano adottato all’unanimità da tutti i 28 stati membri.
Questo piano, che va sotto il nome di “principi guida” è così arrogante e allucinatorio, che merita di essere riportato nella sua interezza.
Il primo di questi principi guida è la completa realizzazione degli accordi di Minsk come elemento chiave di ogni cambiamento significativo nelle nostre relazioni. A proposito, questa è una settimana importante, in questa settimana, due anni fa, c’è stata l’illegale annessione della Crimea e noi ribadiamo la nostra comune e salda posizione per il non-riconoscimento dell’annessione della Crimea.
Il secondo principio è il rafforzamento delle relazioni con i nostri partners orientali ed altri stati vicini, specialmente nell’Asia centrale e ci sono state discussioni molto istruttive su come muoversi in questa direzione.
Terzo, il rafforzamento della resistenza interna dell’Unione Europea, in modo particolare nel campo della sicurezza energetica, minacce ibride e comunicazione strategica, ma non solo.
Il quarto principio, su cui tutti siamo d’accordo, è la necessità di interrelazioni selettive con la Russia sulle questioni di politica estera, questo è evidente quando si parla di Iran, processo di pace in Medio Oriente o Siria, e anche di Corea del Nord, immigrazione, antiterrorismo o cambiamenti climatici, ma anche in tutte le altre aree dove è evidente l’interesse dell’Unione Europea.
Il quinto principio guida è quello di sostenere sempre di più la società civile russa, impegnarsi e fare investimenti nei contatti personali, negli scambi e nelle politiche ad essa correlate, con un particolare occhio di riguardo alla gioventù russa ed europea perché consideriamo lo sviluppo delle nostre nazioni come qualcosa in cui è necessario investire.
Tradotto in linguaggio semplice, questo significa che l’Unione Europea è determinata a:
1. Continuare a punire Mosca per la non osservanza degli accordi Minsk-2 da parte di Kiev.
2. Continuare nel tentativo di circondare la Russia con regimi ostili in Europa e nell’Asia Centrale.
3. Continuare ad accusare la Russia di essere una minaccia per l’Europa.
4. Sperare che la Russia si “interfacci selettivamente” con l’UE nei campi dove è vantaggioso per l’Unione Europea.
5. Continuare a finanziare la 5° colonna all’interno della Russia.
Secondo le parole della Mogherini, per adottare questi principi “non è occorsa una discussione difficile”. A differenza delle questioni sull’immigrazione o sul terrorismo, sulla Russia sembra che gli europei siano tutti d’accordo. Questo è disgustoso, per non dire altro.
Nel frattempo, i deputati della Duma russa hanno osservato un minuto di silenzio, in omaggio alle vittime dell’ultimo attacco, mentre numerosi Russi, compreso il Primo Ministro Lavrov, hanno portato fiori all’ambasciata belga di Mosca. Naturalmente hanno fatto la cosa giusta, ma dentro di loro, molti Russi sanno anche che quando i loro compatrioti venivano uccisi a centinaia dai terroristi wahabiti, nessun europarlamentare aveva mai osservato un minuto di silenzio e nessun predecessore della Sig.ra Mogherini aveva mai versato qualche lacrima. Come si è visto in maniera così oscena dopo gli omicidi alla redazione di Charlie Hebdo, in Europa alcune vite valgono più di certe altre. Anche qui, nulla di nuovo.
Si sa bene come i banditi scelgano, come proprie vittime, individui che non conoscono l’ambiente che li circonda, facilmente impressionabili alla sottomissione, disposti a venire a patti con ogni tipo di nemico e di solito incapaci di ogni forma di resistenza. Quelli dell' Isis, come tutti i terroristi, hanno esattamente questo tipo di mentalità e, nell’Europa, hanno trovato la vittima perfetta.

L’ Unione Europea è intellettualmente, finanziariamente, politicamente, socialmente e moralmente fallita.

La società europea è incapace di riformarsi, la sua classe dirigente non è in grado di pensare ad una qualsiasi strategia per la sicurezza nazionale, e l’Europa rimarrà un facile bersaglio per futuri attacchi terroristici.
Personalmente, non vedo comunque nessun futuro per l’Europa almeno fino a quando i suoi popoli non avranno estromesso dal potere l’attuale élite venduta, completamente asservita agli Anglo-Sionisti, sostituendola con dei veri patrioti, capaci di difendere gli interessi delle popolazioni europee.
E’ ironico che lo slogan ucraino “Україна – це Європа!” (l’Ucraina è Europa!) sia stato in realtà rovesciato, e, invece ad essere l’Ucraina a diventare come l’Europa, è stata quest’ultima a diventare come l’Ucraina: debole corrotta, incapace di formulare una politica che non sia quella di totale asservimento allo Zio Sam, assolutamente confusa sulle sue reali capacità e un perfetto terreno di coltura per tutti i terroristi.
E’ difficile da credere, ma molte nazioni europee si stanno lentamente trasformando in quelli che di solito vengono chiamati Stati falliti.
Ecco una definizione di questo concetto: “Uno stato fallito è un corpo politico deterioratosi al punto tale che le strutture fondamentali e i servizi di uno Stato sovrano non funzionano più nel modo corretto. Allo stesso modo, quando una nazione si indebolisce e i suoi standard di vita diminuiscono, c’è la possibilità di un collasso della struttura di governo”.
L’Europa non è ancora proprio a questo punto, ma i segnali ci sono tutti e le cose peggioreranno ancora molto, prima che possano migliorare nuovamente.
The Saker
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Pubblicato su Thesaker.is il 26 marzo 2016
Tradotto in italiano da Mario per Sakeritalia.it

domenica 27 marzo 2016

Quando è troppo, è troppo! La Casa di Saud deve finire nella pattumiera della storia

Quando è troppo è troppo La Casa di Saud deve finire nella pattumiera della storia
Oggi faremo a pezzi l'affermazione assurda secondo cui l'Arabia Saudita è nostra alleata, e che la sicurezza dei cittadini di Lincoln NE, Spokane WA e Springfield MA non ha nulla a che fare con le macchinazioni politiche e religiose di Riyadh e con i suoi conflitti con l'Iran e il resto del mondo sciita.
E questo non è nemmeno uno sviluppo recente. Infatti per più di quattro decenni la politica mediorientale di Washington è stata sbagliata, controproducente e distruttiva.
La crisi provocata lo scorso fine settimana dal principe saudita, figlio del re ed erede al trono, ha solo chiarificato ciò che è sempre stato sotto gli occhi di tutti.
Cioè, la politica di Washington in Medio Oriente si basa sul presupposto che la risposta a prezzi elevati del petrolio e alla sicurezza energetica, possa essere data dalla Quinta Flotta nel Golfo Persico.

E che un'alleanza con una delle tirannie più corrotte, dispotiche, avare e arretrate del mondo moderno, sia il perno della stabilità regionale e della sicurezza nazionale.

Niente potrebbe essere più lontano dalla verità. La Casa di Saud è un flagello per l'umanità e sarebbe dovuta scomparire decenni fa, invece è stata coccolata da Washington e ha goduto di un massiccio trasferimento di armi e sostegno politico.
Malgrado ciò, la risposta a prezzi alti del petrolio è proprio prezzi alti del petrolio. Potrebbe esserci qualcosa di più evidente al giorno d'oggi, in cui il petrolio greggio si aggira intorno ai $35 al barile nonostante le guerre nel Golfo Persico?
Ecco il punto. Il pianeta è stato dotato di un tesoro enorme sotto forma d'idrocarburi sepolti; ed è inondato quotidianamente con altri tipi d'energia grazie al solare e all'eolico.
L'unico problema è il prezzo, la forma e la pendenza della curva dell'offerta, e la velocità con cui il progresso tecnologico e l'ingegno umano spingono verso il basso il costo reale dell'estrazione e della conversione.
Oltre a ciò le forze elastiche del libero mercato hanno silenziosamente, costantemente e notevolmente migliorato l'efficienza energetica dell'economia degli Stati Uniti.
Come mostrato nel grafico qui sotto, il consumo d'energia per dollaro di PIL è solo circa il 40% rispetto al livello di quando i politici di Washington si fecero prendere dall'isteria durante la crisi petrolifera del 1973.
Spinto dalle curve della domanda e dell'offerta nel corso degli ultimi quattro decenni, il prezzo in dollari costanti del petrolio non è andato da nessuna parte. La minaccia di prezzi alti del petrolio era solo un gigantesco mito.
La linea rossa nel grafico qui sotto mostra il prezzo del petrolio greggio secondo il potere d'acquisto del dollaro a marzo 2015. Ai $35 al barile di oggi, è solo marginalmente superiore rispetto a quello nel 1971, prima che Nixon chiudesse la finestra dell'oro e inaugurasse quattro decenni d'inflazione monetaria alimentata dalle banche centrali.
La verità è che la lunga era della cosiddetta crisi petrolifera non è mai esistita. È stata solo una comoda invenzione di Washington utilizzata per giustificare la regolamentazione statalista, le sovvenzioni all'energia a livello nazionale e le politiche interventiste all'estero.
Alla fine degli anni '70, come membro dell'House Energy Committee, ho sostenuto che la soluzione a prezzi alti del petrolio fosse il libero mercato; e che se i politici avessero veramente voluto attutire il colpo economico di breve termine inferto da un'interruzione della fornitura dal Golfo Persico, la risposta non sarebbe dovuta essere portaerei, controlli dei prezzi e sussidi all'energia alternativa, bensì l'apertura delle saline in Texas e Louisiana affinché venissero usate come riserva strategica di petrolio (SPRO).
Durante l'era Reagan abbiamo ceduto alle pressioni bipartisan riguardo controlli dei prezzi e controlli sull'allocazione delle risorse, e abbiamo iniziato a riempire lo SPRO. Trentacinque anni dopo abbiamo uno SPRO traboccante petrolio e un'economia nazionale e mondiale che è zeppa d'energia a basso costo, perché il meccanismo dei prezzi ha fatto il suo lavoro.
In realtà, l'OPEC è morto stecchito e tale verità è ormai venuta fuori. Vale a dire, non c'è mai stato un vero e proprio cartello petrolifero. Era solo la Casa di Saud che faceva il tira e molla con Washington, e la sua campagna petrolifera aveva lo stesso obiettivo di qualsiasi altra grande azienda in tal campo.

Cioè, investire e produrre a prezzi che sono calcolati per massimizzare il valore attuale delle proprie riserve sotterranee. E ciò comprende una produzione di 10 milioni di barili al giorno, anche se il prezzo reale del petrolio è ricaduto ai livelli di 50 anni fa.

Ciò significa anche che la politica estera filo-saudita di Washington è una reliquia dell'ignoranza economica che Henry Kissinger e i suoi successori al Dipartimento di Stato hanno portato avanti decennio dopo decennio.
Se avessero capito come funziona il meccanismo dei prezzi dell'energia e la logica dietro allo SPRO, la Quinta Flotta non sarebbe mai stata schierata nel Golfo Persico.

Non ci sarebbe neanche stato alcun intervento di Washington nel battibecco tra Saddam Hussein e l'emiro del Kuwait riguardo la perforazione direzionale nel giacimento petrolifero di Rumaila.

Né ci sarebbe stato alcun esercito a calpestare le terre sacre dell'Arabia; né ci sarebbe stata la successiva trasformazione dei mujahidin sunniti fanatici di Bin-Laden, che la CIA aveva addestrato e armato in Afghanistan, nei terroristi di al-Qaeda.
Inutile dire che non ci sarebbe stata neanche la massiccia compagna militare degli Stati Uniti che ha distrutto la tenue co-esistenza tra sunniti e sciiti sotto la laicità baathista di Saddam Hussein. Né i guerrafondai neocon sarebbero mai diventati una forza dominante a Washington, fomentando la follia suprema di cambi di regime in Libia, Siria, Yemen e altrove.

In breve, le eruzioni episodiche di terrorismo jihadista in Europa e anche in America, non si sarebbero verificate se non ci fosse stata la politica stolta della Quinta Flotta per gestire le risorse energetiche.

Tuttavia vi è una conseguenza ancor più deleteria scaturita dall'Errore di Kissinger. Vale a dire, ha permesso alla Casa di Saud, e alla macchina politica di Bibi Netanyahu, di mistificare i conflitti settari e tribali eruttati in Medio Oriente.

Il fatto è che non esiste una cosa come un terrorismo islamico generico. I circa 1.3 miliardi di musulmani sunniti nel mondo, non sono minimamente interessati al jihaddismo.
Allo stesso modo, i 200 milioni di fedeli di confessione sciita non sono terroristi in senso religioso o ideologico. Ci sono circa 60 milioni di sciiti in India e Pakistan e le loro lotte sono radicate negli antagonismi tra indù-India, non nei confronti dell'Occidente e degli Stati Uniti.
Allo stesso modo, gli 80 milioni di sciiti in Iran, Iraq meridionale, sud del Libano e nelle comunità alawite in Siria, hanno ospitato tattiche terroristiche sporadiche. Ma sono avvenute in risposta agli sforzi di potenze esterne che volevano occupare le terre sciite.
Questo è certamente il caso con l'occupazione ventennale israeliana del sud del Libano, la quale ha dato origine alle forze di difesa di Hezbollah. Vale la stessa cosa per le rivolte sciite a Baghdad e nel sud dell'Iraq, le quali hanno dato origine alle diverse milizie che si sono opposte anche all'occupazione americana.
Inoltre dopo il 1979 l'Iran non ha più invaso nessuno, nemmeno le comunità sciite a nord dello Yemen, le quali ora vengono bombardate dai piloti sauditi a bordo di aerei da guerra e droni forniti dagli Stati Uniti.
In breve, non c'è mai stato un attacco ideologico o religioso sciita nei confronti dell'Occidente. L'anti-americanismo della teocrazia iraniana è semplicemente una forma di patriottismo sorto a causa del sostegno di Washington nei confronti del regime brutale della Shah — e che è stato rafforzato durante gli anni '80 quando l'Iraq invase l'Iran.
Al contrario, il vero terrorismo jihadista nel mondo contemporaneo è nato quasi esclusivamente dal fondamentalismo barbaro del ramo sunnita/wahhabita dell'Islam, la cui patria è l'Arabia Saudita.

Ma questa forma di fanatismo religioso oscurantista/medievale sopravvive solo perché il regime saudita lo impone con la spada nel suo ordinamento giuridico; inonda il suo clero con i guadagni del petrolio; ed esporta centinaia di milioni di jihadisti in Siria, Iraq, Libia, Turchia, Iran, Egitto e in molti altri punti caldi del Medio Oriente.

Inoltre la Casa di Saud è anche fonte d'ispirazione e benefattore finanziario dello Stato Islamico. Se negli ultimi cinque anni non avesse sganciato miliardi in armi e aiuti ai ribelli siriani, oggi non ci sarebbe la guerra civile in Siria, né l'ISIS avrebbe potuto occupare le città e i villaggi dell'alto Eufrate dove ha stabilito il suo califfato assetato di sangue.

Quindi la recente esecuzione di un religioso sciita saudita, che non ha mai posseduto un'arma e ha sempre incitato una protesta pacifica tra le comunità sciite oppresse dall'egemonia saudita, è veramente l'ultima goccia. Si trattava di una provocazione bella e buona da parte di un regime riprovevole, il quale ha corrotto così tanto il Partito della Guerra che è addirittura riuscito ad avere un imbonitore di Washington a capo dell'assurda Commissione delle Nazioni Unite per i Diritti Umani!
Nel corso degli ultimi decenni, Washington ha dato più di $100 miliardi in armi alla Casa di Saud.

 

Di conseguenza, vi è un modo semplice per pulire la lavagna in Medio Oriente e mettere un'eventuale fine al jihadismo wahhabita.

Vale a dire, tagliare la vendita di armi all'Arabia Sudita.

Al semplice annuncio di una cosa del genere, diverse migliaia di principi sauditi e le loro famiglie prenderebbero i loro 747 e fuggirebbero in Svizzera, Londra, New York e in altre zone a luci rosse dell'Occidente.

Dopo l'abdicazione dalla Casa di Saud, i chierici wahhabiti non sopravviverebbero a lungo, e l'Iran e i suoi alleati sciiti, compresa la Russia, ci metterebbero poco a sconfiggere il califfato dell'ISIS.

E qualunque governo emergerebbe nella penisola arabica, una cosa è certa: i proventi della produzione del petrolio avrebbero buone possibilità di finire nelle tasche dei 30 milioni di cittadini della nazione, piuttosto che in quelle di poche migliaia di principi.
In realtà ciò è accaduto in Iran, quando i mullah — per quanto arretrati e religiosamente rigidi che potrebbero essere — rovesciarono il tiranno megalomane che sedeva sul Trono del Pavone.
È tempo che anche la Casa di Saud finisca nella pattumiera della storia.
[*] traduzione di Francesco Simoncellihttp://francescosimoncelli.blogspot.it/

giovedì 24 marzo 2016

Robert Kennedy jr : Perché gli arabi non ci vogliono in Siria

isis-giornalistaDal sito Politico.eu, vale davvero la pena di riportare la traduzione integrale del lungo e dissacrante articolo (di cui abbiamo già parlato quiin cui Robert Kennedy jr riassume agli americani ipnotizzati (e agli alleati europei) il “disgustoso” contesto storico, a partire dalla seconda guerra mondiale, in cui si inserisce la terribile guerra siriana dei nostri giorni e la creazione dell’Isis da parte della Cia, a protezione del cartello del petrolio.  

di Robert F. Kennedy, JR, 23 febbraio 2016, aggiornato al 1° marzo 2016

In parte perché mio padre è stato assassinato da un arabo, ho fatto uno sforzo per comprendere l’impatto della politica degli Stati Uniti in Medio Oriente e in particolare i fattori che motivano a volte le sanguinarie risposte  del mondo islamico contro il nostro paese. Concentrando l’attenzione sull’ascesa dello Stato islamico e andando alla ricerca delle cause originarie della barbarie che ha portato via così tante vite innocenti a Parigi e San Bernardino, sarebbe meglio andare al di là delle spiegazioni di comodo sulla religione e l’ideologia.

Dovremmo invece esaminare le logiche più complesse della storia e del petrolio – e renderci conto che spesso esse chiamano in causa le responsabilità del nostro paese.

Il disgustoso record americano di interventi violenti in Siria – poco conosciuto dal popolo americano ma ben noto ai siriani – ha seminato un terreno fertile per il jihadismo islamico violento che ora complica una qualsiasi risposta efficace del nostro governo per affrontare la sfida dell’ISIL.  Finché l’opinione pubblica e i politici americani non si rendono consapevoli di questo passato, ulteriori interventi rischiano solo di aggravare la crisi. Questa settimana il Segretario di Stato John Kerry ha annunciato un cessate il fuoco “provvisorio” in Siria. Ma dal momento che il potere di influenza e il prestigio degli Stati Uniti in Siria sono al minimo – e il cessate il fuoco non include combattenti importanti come lo Stato islamico e al Nusra – nel migliore dei casi è destinato ad essere una tregua piuttosto precaria. Allo stesso modo, l’intensificazione da parte del presidente Obama dell’intervento militare in Libia – attacchi aerei degli Stati Uniti la scorsa settimana hanno preso di mira un campo di addestramento Stato islamico – è probabile che rafforzi, piuttosto che indebolire, gli esponenti più radicali.
Come ha riportato in prima pagina il New York Times l’8 dicembre 2015, i leader politici dello stato islamico e i pianificatori strategici stanno lavorando per provocare un intervento militare americano. Essi sanno per esperienza che questo provocherà un grande afflusso di combattenti volontari nelle loro fila, soffocando le voci moderate e unificando tutto il mondo islamico contro l’America.

Per capire questa dinamica, dobbiamo guardare la storia dal punto di vista dei siriani e in particolare le cause del conflitto in corso. Molto prima che la nostra occupazione dell’Iraq nel 2003 innescasse la rivolta sunnita che si è ormai trasformata in Stato Islamico, la CIA aveva nutrito lo jihadismo violento come un’arma da guerra fredda e caricato così di elementi tossici le relazioni U.S./Siria.

Questo non è avvenuto senza polemiche interne.

Nel mese di luglio 1957, a seguito di un fallito colpo di stato della CIA in Siria, mio zio, il senatore John F. Kennedy, infiammò la Casa Bianca di Eisenhower, i leader di entrambi i partiti politici ed i nostri alleati europei con un discorso che è stato una pietra miliare, in cui sosteneva il diritto di auto-governo del mondo arabo e la fine delle ingerenze imperialiste degli Stati Uniti nei paesi arabi.

Nel corso della mia vita, e in particolare durante i miei frequenti viaggi in Medio Oriente, innumerevoli arabi mi hanno ricordato con entusiasmo quel discorso come la più chiara affermazione dell’idealismo che essi si aspettavano dagli USA.

Il discorso di Kennedy era un invito a riconnettere l’America con quegli alti valori che il nostro paese aveva sostenuto nella Carta atlantica; l’impegno formale a che tutte le ex colonie europee dopo la seconda guerra mondiale avessero il diritto all’auto-determinazione.

Nel 1941 Franklin D. Roosevelt aveva spinto con forza Winston Churchill e gli altri leader alleati a firmare la Carta Atlantica come condizione preliminare per il sostegno americano nella guerra contro il fascismo europeo.

Ma grazie in gran parte a Allen Dulles e alla CIA, i cui intrighi di politica estera erano spesso in contrasto diretto con le politiche dichiarate della nostra nazione, il percorso ideale delineato nella Carta Atlantica è rimasto una strada che non è stata intrapresa.

Nel 1957 mio nonno, l’ambasciatore Joseph P. Kennedy, fece parte di un comitato segreto incaricato di investigare le azioni clandestine della CIA in Medio Oriente.

Il cosiddetto “Rapporto Bruce-Lovett“, del quale è stato uno dei firmatari, descriveva le trame della CIA per colpi di stato in Giordania, Siria, Iran, Iraq ed Egitto, tutti fatti di conoscenza comune sulla piazza araba, ma praticamente sconosciuti al popolo americano, che credeva, prendendole per buone, alle smentite del suo governo. Il rapporto incolpava la CIA  del dilagante antiamericanismo che allora stava misteriosamente prendendo piede “in numerosi paesi del mondo di oggi.

Il Rapporto Bruce-Lovett sottolineava che tali interventi erano contrari ai valori americani e avevano compromesso la leadership internazionale degli Stati Uniti e la sua autorità morale senza che il popolo americano ne fosse a conoscenza.

Il rapporto diceva anche che la CIA non ha mai considerato il modo in cui avrebbe trattato tali interventi se qualche governo straniero li avesse progettati nel nostro paese.

Questa è la storia sanguinosa di cui interventisti moderni come George W. Bush, Ted Cruz e Marco Rubio omettono di parlare quando recitano la loro retorica narcisistica sul fatto che i nazionalisti del Medio Oriente “ci odiano per le nostre libertà.

Per la maggior parte di loro non è così; invece ci odiano per il modo in cui abbiamo tradito tali libertà – i nostri stessi ideali – all’interno dei loro confini.

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Perché gli americani capiscano realmente cosa sta succedendo, è importante rivedere alcuni dettagli di questa storia sordida, e poco ricordata. Nel corso degli anni ’50, il Presidente Eisenhower e i fratelli Dulles – il direttore della CIA Allen Dulles e il Segretario di Stato John Foster Dulles – respinsero le proposte sovietiche di un trattato per un Medio Oriente come zona neutrale nella guerra fredda e per lasciare agli arabi il governo del mondo arabo. Invece, essi misero in piedi una guerra clandestina contro il nazionalismo arabo – che Allen Dulles equiparava al comunismo – in particolare quando l’autogoverno arabo minacciò le concessioni petrolifere. In segreto inviarono massicci aiuti militari americani ai tiranni in Arabia Saudita, Giordania, Iraq e Libano, favorendo dei fantocci con ideologie conservatrici jihadiste che essi consideravano come un affidabile antidoto al marxismo sovietico. In un incontro alla Casa Bianca tra il direttore strategico della CIA, Frank Wisner, e John Foster Dulles, nel settembre del 1957, secondo un memo registrato dal suo segretario personale, il generale Andrew J. Goodpaster, Eisenhower consigliò così l’agenzia: “Dobbiamo fare tutto il possibile per sottolineare l’aspetto della ‘guerra santa’”.
La CIA ha iniziato la sua ingerenza attiva in Siria nel 1949 – appena un anno dopo la creazione dell’Agenzia. I patrioti siriani avevano dichiarato guerra ai nazisti, espulso i loro governatori coloniali francesi di Vichy e realizzato una fragile democrazia laica basata sul modello americano. Ma nel marzo 1949, il presidente democraticamente eletto della Siria, Shukri al-Quwatli, esitò ad approvare la pipeline Trans-araba, un progetto americano destinato a collegare i campi petroliferi dell’Arabia Saudita ai porti del Libano attraverso la Siria. Nel suo libro, Legacy of Ashes, lo storico della CIA Tim Weiner racconta che come rappresaglia per il mancato entusiasmo sull’oleodotto americano da parte di Al-Quwatli, la CIA organizzò un colpo di stato che sostituì al-Quwatli con un dittatore scelto dalla CIA, un truffatore pregiudicato di nome Husni al-za’im. Al-za’im ebbe appena il tempo di sciogliere il parlamento e approvare l’oleodotto americano prima che i suoi connazionali lo destituissero, dopo quattro mesi e mezzo di regime.
A seguito di numerosi contro-colpi di stato nei paesi destabilizzati, il popolo siriano cercò di nuovo di istituire la democrazia nel 1955, ri-eleggendo al-Quwatli e il suo partito nazionale. Al-Quwatli era ancora neutrale nella guerra fredda, ma, dopo la batosta del coinvolgimento americano nella sua cacciata, ora tendeva verso il campo sovietico. Questo atteggiamento portò il direttore della CIA Dulles a dichiarare che “la Siria è matura per un colpo di stato” e inviare a Damasco i suoi due maghi in colpi di stato, Kim Roosevelt e Rocky Stone.
Due anni prima, Roosevelt e Stone avevano orchestrato un colpo di stato in Iran contro il presidente democraticamente eletto Mohammed Mosaddegh, dopo che Mosaddegh aveva cercato di rinegoziare i termini dei contratti dell’Iran, sbilanciati a favore del gigante petrolifero britannico Anglo-Iranian Oil Company (ora BP). Mosaddegh era il primo leader eletto nella storia iraniana da 4000 anni e un campione popolare della democrazia in tutto il mondo in via di sviluppo. Mosaddegh espulse tutti i diplomatici britannici dopo aver scoperto un tentativo di colpo di stato da parte di ufficiali dei servizi segreti U.K. che lavoravano in combutta con BP.  Mosaddegh, tuttavia, fece l’errore fatale di resistere alle suppliche dei suoi consiglieri di espellere anche la CIA, che essi giustamente sospettavano essere complice del complotto britannico. Mosaddegh idealizzava gli Stati Uniti come un modello per la nuova democrazia in Iran e li considerava incapaci di tali perfidie. Nonostante le trame di Dulles, il presidente Harry Truman aveva proibito alla CIA di unirsi attivamente ai britannici per rovesciare Mosaddegh. Quando Eisenhower entrò in carica nel gennaio del 1953, immediatamente scatenò Dulles.  Dopo aver spodestato Mosaddegh con l’ “Operazione Ajax,” Stone e Roosevelt installarono al potere lo Shah Reza Pahlavi, che favorì le compagnie petrolifere degli Stati Uniti, ma durante i suoi due decenni di regno esercitò una tale ferocia verso il suo popolo, sponsorizzata dalla CIA, che alla fine ha  innescato la rivoluzione islamica del 1979, il tormento della nostra politica estera per 35 anni.
Secondo Safe for Democracy: Le guerre segrete della CIA, di John Prados, dopo il “successo” della sua Operazione Ajaxn in Iran, Stone arrivò a Damasco nel mese di aprile 1957 con 3 milioni di $ per armare e incitare i militanti islamici e corrompere gli ufficiali dell’esercito siriano e i politici siriani allo scopo di rovesciare il regime laico democraticamente eletto di al-Quwatli. Lavorando con i Fratelli Musulmani e milioni di dollari, Rocky Stone tramò per assassinare il capo della intelligence siriana, il generale dello stato maggiore e il leader del partito comunista, e progettare “cospirazioni nazionali e varie provocazioni armate” in Iraq, Libano e Giordania, che avrebbero potuto essere imputate ai baathisti siriani. Tim Weiner descrive in Legacy of Ashes come il piano della CIA fosse di destabilizzare il governo siriano e creare un pretesto per un’invasione da parte di Iraq e Giordania, i cui governi erano già sotto il controllo della CIA.  Kim Roosevelt prevedeva che il nuovo governo fantoccio della CIA avrebbe “messo in atto in primo luogo  misure repressive ed esercitato il potere in modo arbitrario“, secondo documenti declassificati della CIA riportati sul quotidiano The Guardian.
Ma tutti quei soldi della CIA non riuscirono a corrompere gli ufficiali militari siriani. I soldati riportarono i tentativi di corruzione della CIA al regime baathista. In risposta, l’esercito siriano invase l’ambasciata americana, prendendo prigioniero Stone. Dopo un duro interrogatorio, Stone fece una confessione sul suo ruolo nel colpo di stato iraniano e sul tentativo della CIA, poi abortito, di rovesciare il governo legittimo della Siria, e la confessione fu trasmessa alla televisione. I siriani espulsero Stone e due membri dello staff dell’ambasciata degli Stati Uniti – la prima volta che un diplomatico americano del Dipartimento di Stato è stato espulso da un paese arabo. La Casa Bianca Eisenhower respinse la confessione di Stone come una “montatura” e una “calunnia”, e la negazione fu presa per buona da tutta la stampa americana, guidata dal New York Times, e fu creduta dal popolo americano, che condivideva la visione idealistica del suo governo di Mosaddegh. La Siria fece dimettere tutti i politici simpatizzanti degli Stati Uniti e condannò a morte per tradimento tutti gli ufficiali militari legati al colpo di stato. Per ritorsione, gli Stati Uniti spostarono la Sesta Flotta nel Mediterraneo, minacciando la guerra e spingendo la Turchia ad invadere la Siria.  I turchi ammassarono 50.000 soldati ai confini della Siria e fecero marcia indietro solo di fronte all’opposizione unita della Lega araba, i cui leader erano furiosi per l’intervento degli Stati Uniti.   Anche dopo la sua espulsione, la CIA proseguì con i suoi sforzi segreti per rovesciare il governo ba’athista democraticamente eletto della Siria. Secondo Matthew Jones in “The ‘Preferred Plan’: The Anglo-American Working Group Report on Covert Action in Syria, 1957, la CIA formulò dei piani con il servizio segreto britannico MI6 per formare un “Comitato di liberazione della Siria” e armò i Fratelli Musulmani per assassinare tre funzionari del governo siriano che avevano contribuito a rendere pubblico “il complotto americano” . Le trame della CIA hanno ancor più allontanato la Siria dagli Stati Uniti, spingendola verso una alleanza duratura con la Russia e l’Egitto.
Dopo il secondo tentativo di colpo di stato in Siria, rivolte anti-americane scossero il Medio Oriente dal Libano all’Algeria. Tra le ripercussioni, vi fu il colpo di stato del 14 luglio 1958, guidato dalla nuova ondata di ufficiali dell’esercito anti-americani che rovesciarono il monarca filoamericano iracheno, Nuri al-Said. I golpisti pubblicarono documenti governativi segreti, che dimostravano come Nuri al-Said fosse un fantoccio ben pagato della CIA. In risposta al tradimento americano, il nuovo governo iracheno invitò diplomatici e consiglieri economici sovietici in Iraq e voltò le spalle all’Occidente.
Essendo stato allontanato dall’Iraq e dalla Siria, Kim Roosevelt fuggì in Medio Oriente per lavorare come dirigente per l’industria petrolifera, che aveva servito così bene durante la sua carriera di servizio pubblico alla CIA. Secondo Weiner il sostituto a capo della CIA nominato da Roosevelt, James Critchfield, mise in piedi un attentato fallito contro il nuovo presidente iracheno usando un fazzoletto avvelenato. Cinque anni dopo, la CIA finalmente riuscì a deporre il presidente iracheno e installare al potere in Iraq il partito Baat. Uno degli illustri leader della squadra ba’athista della CIA era un giovane assassino carismatico di nome Saddam Hussein.  Secondo A Brutal Friendship: The West and the Arab Elite, di Said Aburish , giornalista e scrittore, il segretario del partito Ba’ath, Ali Saleh Sa’adi, che si era insediato al fianco di Saddam Hussein, dirà più tardi: “Siamo arrivati al potere su un treno della CIA“. Aburish racconta che la CIA diede a Saddam ed ai suoi amici una lista di persone da assassinare che “dovevano essere eliminate immediatamente al fine di assicurare il successo.  Tim Weiner scrive che Critchfield ha poi riconosciuto che la CIA aveva, in sostanza, “creato Saddam Hussein.
Durante gli anni di Reagan, la CIA rifornì Hussein di miliardi di dollari per la formazione, il supporto alle forze speciali, armi e intelligence di combattimento, sapendo bene che egli usava armi chimiche e biologiche e gas nervino – tra cui l’antrace ottenuta dal governo degli Stati Uniti – nella sua guerra contro l’Iran. Reagan e il suo direttore della CIA, Bill Casey, consideravano Saddam come un potenziale amico per l’industria petrolifera statunitense e una barriera robusta contro la diffusione della rivoluzione islamica iraniana. Il loro emissario, Donald Rumsfeld, in un viaggio a Baghdad nel 1983 regalò a Saddam degli speroni d’oro da cowboy e un menu di armi biologiche/chimiche e convenzionali. Allo stesso tempo, la CIA stava illegalmente rifornendo il nemico di Saddam, l’Iran, con migliaia di missili anti-carro e anti-aerei per combattere in Iraq, un crimine reso famosa dallo scandalo Iran-Contra. Jihadisti dai entrambe le parti in seguito hanno riconvertito contro il popolo americano molte di queste armi in dotazione dalla CIA.
Anche mentre l’America prepara l’ennesimo intervento violento in Medio Oriente, la maggior parte degli americani non è consapevole dei molti modi in cui il “contraccolpo” dei precedenti errori della CIA ha contribuito a creare la crisi attuale. Le ripercussioni di decenni di inganni della CIA continuano oggi a risuonare in tutto il Medio Oriente, nelle capitali nazionali, dalle moschee alle scuole coraniche, sul paesaggio distrutto della democrazia e dell’Islam moderato che la CIA ha aiutato a cancellare.
Una sfilata di dittatori iraniani e siriani, tra cui Bashar al-Assad e suo padre, hanno invocato la storia dei colpi di stato sanguinosi della CIA come pretesto per il loro regime autoritario, per le tattiche repressive e la necessità di una forte alleanza con la Russia. Queste storie sono quindi ben note al popolo di Siria e Iran, che naturalmente interpretano l’ipotesi di un intervento degli Stati Uniti nel contesto di quella storia.
Mentre la stampa americana compiacente ripete a pappagallo la narrazione secondo la quale il nostro sostegno militare all’insurrezione siriana è puramente umanitario, molti arabi vedono la crisi come un’altra guerra per procura sui gasdotti e la geopolitica. Prima di attizzare l’incendio, sarebbe saggio da parte nostra prendere in considerazione i numerosi fatti a sostegno di quel punto di vista.

A loro avviso, la nostra guerra contro Bashar Assad non è cominciata con le pacifiche proteste civili della primavera araba nel 2011. Invece è iniziata nel 2000, quando il Qatar propose di costruire 1.500 km di gasdotto per la cifra di 10 miliardi, attraverso Arabia Saudita, Giordania, Siria e Turchia. Il Qatar divide con l’Iran il giacimento di gas di South Pars / North Dome, il giacimento di gas naturale più ricco del mondo. L’embargo del commercio internazionale fino a poco tempo fa vietava all’Iran di vendere gas dall’estero. Nel frattempo, il gas del Qatar può raggiungere i mercati europei solo se viene liquefatto e spedito via mare, un percorso che limita il volume e aumenta sensibilmente i costi. La conduttura proposta avrebbe connesso il Qatar direttamente ai mercati europei dell’energia tramite terminali di distribuzione in Turchia, che intascherebbe ricche tasse di transito. Il gasdotto Qatar / Turchia darebbe ai regni sunniti del Golfo Persico una decisiva posizione dominante sui mercati del gas naturale mondiali e rafforzerebbe il Qatar, il più stretto alleato degli Stati Uniti nel mondo arabo. Il Qatar ospita due enormi basi militari americane ed è la sede in Medio Oriente del Comando Centrale degli Stati Uniti.

L’UE, che ottiene il 30 per cento del suo gas dalla Russia, era ugualmente molto interessata al gasdotto, che avrebbe dato ai suoi stati membri energia a basso costo e un allentamento della soffocante influenza economica e politica di Vladimir Putin. La Turchia, il secondo più grande cliente del gas della Russia, era particolarmente ansiosa di porre fine alla sua dipendenza dal suo antico rivale e di posizionarsi come l’hub del redditizio transito dei combustibili asiatici verso i mercati dell’UE. La conduttura del Qatar avrebbe beneficiato la monarchia conservatrice sunnita dell’Arabia Saudita dandole un punto di appoggio nella Siria sciita. L’obiettivo geopolitico dei sauditi è quello di contenere il potere economico e politico del principale rivale, l’Iran, uno stato sciita, e stretto alleato di Bashar Assad. La monarchia saudita ha visto il cambio di gestione sciita sponsorizzato dagli USA in Iraq (e, più recentemente, la cessazione dell’embargo commerciale dell’Iran) come una retrocessione per il suo status di potenza regionale ed era già impegnata in una guerra per procura contro Teheran in Yemen, evidenziata dal genocidio saudita contro la tribù Houthi sostenuta dall’Iran.
Naturalmente, i russi, che vendono il 70 per cento delle loro esportazioni di gas all’Europa, vedevano il gasdotto Qatar / Turchia come una minaccia esistenziale. Da punto di vista di Putin, il gasdotto del Qatar è un complotto della NATO per cambiare lo status quo, privare la Russia del suo unico punto d’appoggio in Medio Oriente, strangolare l’economia russa e porre fine all’influenza russa nel mercato europeo dell’energia. Nel 2009, Assad ha annunciato che si sarebbe rifiutato di firmare l’accordo che consentiva al gasdotto di attraversare la Siria, “per proteggere gli interessi del nostro alleato russo.
Assad ha fatto infuriare ulteriormente i monarchi sunniti del Golfo, sostenendo un “gasdotto islamico” approvato dalla Russia che parte dal giacimento di gas dell’Iran, attraversa la Siria e giunge sino ai porti del Libano. Il gasdotto islamico renderebbe l’Iran sciita, non il Qatar sunnita , il principale fornitore del mercato europeo dell’energia e aumenterebbe notevolmente l’influenza di Teheran in Medio Oriente e nel mondo. Israele è comprensibilmente determinato a far deragliare la pipeline islamica, che arricchirebbe l’Iran e la Siria e, presumibilmente, rafforzerebbe le loro derivazioni, Hezbollah e Hamas.
Report e documenti segreti delle agenzie di intelligence di Stati Uniti, Arabia e Israele indicano che quando Assad ha rifiutato i gasdotti del Qatar, gli strateghi militari e di intelligence  sono rapidamente giunti alla conclusione condivisa che fomentare una rivolta sunnita in Siria per rovesciare il non collaborativo Bashar Assad fosse un percorso fattibile per raggiungere l’obiettivo comune di completare il gasdotto Qatar/Turchia.
Nel 2009, secondo WikiLeaks, subito dopo che Bashar Assad respinse la pipeline del Qatar, la CIA iniziò a finanziare gruppi di opposizione in Siria. E’ importante notare che questo è successo ben prima della rivolta (indotta) della Primavera araba contro Assad.
La famiglia di Bashar Assad è alawita, una setta musulmana ampiamente percepita come allineata con il campo sciita.
Il giornalista Seymour Hersh mi ha detto in un’intervista: “Bashar Assad non avrebbe mai dovuto diventare presidente. Suo padre lo riportò a casa dall’università di medicina a Londra quando il fratello maggiore, l’erede designato, rimase ucciso in un incidente d’auto.
Prima dell’inizio della guerra, secondo Hersh, Assad si stava muovendo per liberalizzare il paese. “Avevano internet e giornali e sportelli bancomat e Assad voleva andare in direzione dell’occidente. Dopo il 9/11, mandò migliaia di preziosi file alla CIA sui radicali jihadisti, che egli considerava un nemico comune.”  Il regime di Assad era volutamente laico e la Siria era straordinariamente variegata. Il governo siriano e i militari, per esempio, erano all’80 per cento sunniti. Assad ha mantenuto la pace tra i suoi popoli diversi grazie a un forte esercito disciplinato e fedele alla famiglia Assad, alla sicura fedeltà di un corpo di ufficiali a livello nazionale stimato e ben pagato, un apparato di intelligence freddamente efficiente e un uso della brutalità che, prima della guerra, era piuttosto moderato rispetto a quello di altri leader del Medio Oriente, tra cui i nostri alleati attuali. Secondo Hersh, “Di certo non decapitava persone ogni mercoledì, come fanno i sauditi alla Mecca“.
Un altro veterano del giornalismo, Bob Parry,  condivide la stessa valutazione. Nessuno nella regione ha le mani pulite, ma nei regni delle torture, uccisioni di massa, [soppresse] libertà civili e sostegno al terrorismo, Assad è molto meglio dei sauditi.
Nessuno credeva che il regime fosse vulnerabile a quell’anarchia che aveva lacerato Egitto, Libia, Yemen e Tunisia.  Nella  primavera del 2011 a Damasco c’erano delle piccole manifestazioni pacifiche contro la repressione da parte del regime di Assad.  Erano principalmente gli effetti della primavera araba che si erano diffusi viralmente nella Lega degli Stati Arabi l’estate precedente. Tuttavia, i documenti di WikiLeaks indicano che la CIA era già sul terreno in Siria.
Ma i regni sunniti con un enorme ammontare di petrodollari in gioco volevano un coinvolgimento molto più profondo dell’America. Il 4 settembre 2013, il Segretario di Stato John Kerry ha detto in una audizione al Congresso che i regni sunniti si erano offerti di pagare il conto per un’invasione statunitense della Siria per spodestare Bashar Assad. “In effetti, alcuni di loro hanno detto che se gli Stati Uniti erano pronti ad andare a compiere l’opera, nel modo in cui avevamo fatto in precedenza da altre parti [Iraq], essi ne avrebbero pagato il costo.” Kerry ha detto di questa offerta alla Rep. Ileana Ros-Lehtinen. (R-Fla.): “Per quanto riguarda l’offerta dei paesi arabi di sostenere i costi di [un’invasione americana] per rovesciare Assad, la risposta è assolutamente sì, l’hanno fatta. L’offerta è sul tavolo.
Nonostante le pressioni dei repubblicani, Barack Obama ha esitato a mandare dei giovani americani a morire come mercenari per un conglomerato di imprese della pipeline.
Obama ha saggiamente ignorato le richieste repubblicane di mandare truppe di terra in Siria o far arrivare maggiori finanziamenti agli “insorti moderati”. Ma alla fine del 2011, la pressione repubblicana e i nostri alleati sunniti avevano spinto il governo americano nella mischia.
Nel 2011, gli Stati Uniti si sono uniti a Francia, Qatar, Arabia Saudita, Turchia e Regno Unito per formare la Coalizione degli Amici della Siria, che ha chiesto formalmente la rimozione di Assad. La CIA ha fornito 6 milioni di $ a Barada, un canale televisivo britannico, per la produzione di appelli alla cacciata di Assad. Documenti dei servizi segreti sauditi, pubblicati da Wikileaks, mostrano che nel 2012 la Turchia, il Qatar e l’Arabia Saudita stavano armando, formando e finanziando combattenti radicali sunniti jihadisti provenienti da Siria, Iraq e altrove, per rovesciare il regime di Assad alleato degli sciiti. Il Qatar, che aveva da guadagnarci più di tutti, ha investito  3 miliardi di $  per costruire l’insurrezione e ha invitato il Pentagono ad addestrare gli insorti presso le basi statunitensi in Qatar.  Secondo un articolo di aprile 2014 di Seymour Hersh, gli addestramenti della CIA erano finanziati da Turchia, Arabia Saudita e Qatar.

L’idea di fomentare una guerra civile tra sunniti e sciiti per indebolire i regimi siriano e iraniano al fine di mantenere il controllo delle forniture petrolchimiche della regione non era un concetto nuovo nel lessico del Pentagono.

Il rapporto Rand del 2008, che inchioda il Pentagono, conteneva un progetto preciso di quello che stava per accadere. Il rapporto osserva che il controllo dei depositi di gas e di petrolio del Golfo Persico rimarrà, per gli Stati Uniti, “una priorità strategica” che “interagisce fortemente con quella di perseguire la guerra duratura. Rand raccomanda l’utilizzo di “azioni segrete, operazioni di informazione, guerra non convenzionale” per imporre una strategia del “divide et impera“. “Gli Stati Uniti e i suoi alleati locali potrebbero utilizzare i jihadisti nazionalisti per lanciare una campagna per procura” e “i leader degli Stati Uniti potrebbero anche scegliere di sfruttare al meglio il progetto di conflitto tra sciiti e sunniti, prendendo le parti dei regimi sunniti conservatori contro i movimenti sciiti nel mondo musulmano … possibilmente sostenendo i governi sunniti autoritari contro un Iran continuamente ostile.

Come previsto, la reazione eccessiva di Assad alla crisi di marca straniera – sganciare bombe sulle roccaforti sunnite uccidendo i civili – ha polarizzato la divisione sciiti / sunniti della Siria e ha permesso ai politici degli Stati Uniti di vendere agli americani l’idea che la lotta che veniva condotta era una guerra umanitaria.
Quando i soldati sunniti dell’esercito siriano hanno cominciato le defezioni nel 2013, la coalizione occidentale ha armato il Free Syrian Army per destabilizzare ulteriormente la Siria. Il ritratto fatto dalla stampa del Free Syrian Army come di battaglioni compatti di moderati siriani era del tutto delirante. Le unità disciolte sono state riaggregate in centinaia di milizie indipendenti, la maggior parte delle quali erano comandate da, o alleate con, i militanti jihadisti, i combattenti più impegnati ed efficaci. Da allora, gli eserciti sunniti di Al Qaeda in Iraq stanno attraversando il confine dall’Iraq alla Siria e unendo le forze con gli squadroni di disertori del Free Syrian Army, molti dei quali addestrati e armati dagli Stati Uniti.
Nonostante il prevalente ritratto fatto dai media di una rivolta araba moderata contro il tiranno Assad, i pianificatori di intelligence degli Stati Uniti sapevano fin dall’inizio che i sostenitori dei gasdotti per loro conto erano jihadisti radicali che probabilmente intendono ritagliarsi un nuovo califfato islamico dalle regioni sunnite di Siria e Iraq. Due anni prima che i tagliagole dell’ISIL facessero il loro debutto sulla scena mondiale, uno studio di sette pagine del 12 Agosto 2012 dell’Intelligence Agency statunitense della Difesa, ottenuto dal gruppo di destra Judicial Watch, avvertiva che grazie al sostegno continuo per jihadisti sunniti radicali da parte di Stati Uniti/Coalizione sunnita “i Salafiti, i Fratelli musulmani e AQI (ora ISIS), sono le principali forze motrici della rivolta in Siria.

Utilizzando i finanziamenti degli Stati Uniti e degli stato del Golfo, questi gruppi avevano trasformato le proteste pacifiche contro Bashar Assad in “una direzione chiaramente settaria (sciiti contro sunniti)“.

Il documento osserva che il conflitto era diventato una guerra civile settaria sunnita sostenuta da “poteri politici e religiosi“. Il rapporto descrive il conflitto siriano come una guerra globale per il controllo delle risorse della regione con” l’Occidente, i paesi del Golfo e la Turchia a sostegno dell’opposizione [di Assad], mentre la Russia, la Cina e l’Iran sostengono il regime“. Gli autori del Pentagono del rapporto di sette pagine sembrano approvare l’avvento previsto del califfato ISIS: “Se la situazione si sbroglia, vi è la possibilità di stabilire un principato salafita dichiarato o non dichiarato nella parte orientale della Siria (Hasaka e Der Zor) e questo è esattamente ciò che vogliono i poteri che sostengono l’opposizione al fine di isolare il regime siriano“. Il rapporto del Pentagono avverte che questo nuovo principato potrebbe muoversi attraverso il confine iracheno verso Mosul e Ramadi e dichiarare un stato islamico mediante la sua unione con le altre organizzazioni terroristiche in Iraq e in Siria.”

Naturalmente, questo è esattamente quanto è successo. Non a caso, le regioni della Siria occupate dallo Stato Islamico comprendono esattamente l’itinerario previsto del gasdotto del Qatar.

Ma poi, nel 2014, i nostri procuratori sunniti hanno provocato orrore nel popolo americano tagliando numerose teste e guidando un milione di rifugiati verso l’Europa. “Strategie basate sull’idea che il nemico del mio nemico sia il mio amico possono portare a una sorta di cecità, dice Tim Clemente, che ha presieduto la Joint Terrorism Task Force dell’FBI dal 2004 al 2008 e servito da collegamento in Iraq tra l’FBI, la polizia di Stato irachena e l’esercito americano. “Abbiamo fatto lo stesso errore di quando abbiamo formato i mujaheddin in Afghanistan. Nel momento in cui i russi hanno lasciato la zona, i nostri presunti amici hanno iniziato a distruggere le antichità, schiavizzare le donne, mutilare e sparare contro di noi “, mi ha detto Clemente in un’intervista.
Quando “Jihadi John” dello Stato Islamico ha cominciato a uccidere prigionieri in TV, la Casa Bianca ha cambiato la sua posizione, preoccupandosi meno di deporre Assad e di più della stabilità della regione.
L’amministrazione Obama ha cominciato a prendere le distanze dall’insurrezione che avevamo finanziato. La Casa Bianca ha puntato il dito contro i nostri alleati. Il 3 ottobre 2014, il vice presidente Joe Biden ha detto agli studenti al Forum di John F. Kennedy Jr. presso l’Istituto di Politica ad Harvard che “i nostri alleati nella regione erano il nostro problema più grande in Siria.” Ha spiegato che la Turchia, l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti erano “così determinati ad abbattere Assad” che avevano lanciato una “guerra per procura tra sunniti e sciiti” convogliando “centinaia di milioni di dollari e decine di migliaia di tonnellate di armi verso tutti coloro che sarebbero stati disposti a combattere contro Assad. Tranne che le persone che sono state finanziate erano al-Nusra, e al-Qaeda “- i due gruppi che si sono fusi nel 2014 per formare lo Stato islamico. Biden sembrava irritato del fatto che non ci si poteva fidare che i nostri “amici” fidati seguissero l’agenda americana.

In tutto il Medio Oriente, i leader arabi accusano gli Stati Uniti di aver creato lo Stato islamico.

Alla maggior parte degli americani, tali accuse sembrano folli.

Tuttavia, per molti arabi, la prova del coinvolgimento degli Stati Uniti è così schiacciante che ne concludono che il nostro ruolo nel promuovere lo Stato Islamico deve essere stato intenzionale.

In effetti, molti dei combattenti dello Stato Islamico e i loro comandanti sono i successori dell’ideologia e dell’organizzazione jihadista che la CIA ha sostenuto per più di 30 anni dalla Siria all’Egitto, in Afghanistan e in Iraq.

Prima dell’invasione americana, nell’Iraq di Saddam Hussein Al Qaeda non esisteva.

Il presidente George W. Bush ha distrutto il governo laico di Saddam, e il suo viceré, Paul Bremer, in un atto monumentale di cattiva gestione, di fatto ha creato l’esercito sunnita, ora chiamato Stato Islamico. Bremer ha portato gli sciiti al potere e ha messo fuori legge il Baath Party di Saddam, licenziando circa 700.000 funzionari di governo e di partito in maggioranza sunniti, dai ministri agli insegnanti. Ha poi sciolto l’esercito di 380.000 uomini, che era per l’80 per cento sunnita. Le azioni di Bremer hanno spogliato del loro rango un milione di sunniti iracheni, portando via loro le proprietà, la ricchezza e il potere; lasciando sul terreno una sottoclasse disperata di sunniti arrabbiati, istruiti, capaci, addestrati e armati fino ai denti, con poco da perdere. L’insurrezione sunnita in Iraq ha preso il nome di Al Qaeda. A partire dal 2011, i nostri alleati hanno finanziato l’invasione di combattenti di AQI  in Siria. Ad aprile 2013, dopo essere entrata in Siria, AQI ha cambiato il suo nome in ISIL.  Secondo Dexter Filkins del New Yorker, “l’ISIS è gestita da un consiglio di ex generali iracheni. …Molti sono membri del partito laico Baath di Saddam Hussein, che si sono convertiti all’Islam radicale nelle prigioni americane“.

I 500 milioni di $ in aiuti militari degli Stati Uniti che Obama ha inviato in Siria quasi certamente sono finiti a beneficiare questi jihadisti militanti.

Tim Clemente, l’ex presidente della task force congiunta del FBI, mi ha detto che la differenza tra i conflitti in Iraq e in Siria sono i milioni di giovani uomini che fuggono dal campo di battaglia verso l’Europa, piuttosto che restare a combattere per le loro comunità.

La spiegazione ovvia è che i moderati fuggono una guerra che non è la loro guerra.

Essi vogliono semplicemente evitare di rimanere schiacciati tra l’incudine della tirannia di Assad sostenuta dai russi e il martello sunnita jihadista che noi abbiamo tenuto in mano, brandendolo come l’arma di una battaglia globale sugli oleodotti concorrenti.

Non si può incolpare il popolo siriano di non aver abbracciato un progetto per la loro nazione ideato da Washington o da Mosca. Le superpotenze non hanno lasciato spazio a un futuro ideale per cui i moderati siriani potrebbero decidere di lottare. E nessuno vuole morire per una pipeline.
* * *

Qual è la risposta?

Se il nostro obiettivo è la pace a lungo termine in Medio Oriente, l’autogoverno da parte delle nazioni arabe e la sicurezza nazionale a casa nostra, dobbiamo considerare qualsiasi nuovo intervento nella regione con un occhio alla storia e un intenso desiderio di imparare la lezione. Solo quando noi americani comprenderemo il contesto storico e politico di questo conflitto potremo applicare l’opportuno controllo sulle decisioni dei nostri leader.

Utilizzando lo stesso immaginario e lo stesso linguaggio che ha sostenuto la nostra guerra del 2003 contro Saddam Hussein, i nostri leader politici hanno portato gli americani a credere che il nostro intervento in Siria sia una guerra idealista contro la tirannia, il terrorismo e il fanatismo religioso. Tendiamo a liquidare come mero cinismo le opinioni di quegli arabi che vedono la crisi attuale come una replica delle stesse vecchie trame sui gasdotti e la geopolitica. Ma, se vogliamo avere una politica estera efficace, dobbiamo riconoscere che il conflitto siriano è una guerra per il controllo delle risorse, non diversa dalla miriade di guerre clandestine e non dichiarate per il petrolio che abbiamo combattuto in Medio Oriente per 65 anni.

E solo quando vedremo questo conflitto come una guerra per procura su una pipeline, gli eventi diventeranno comprensibili.

E’ l’unico paradigma che spiega perché il GOP a Capitol Hill e l’amministrazione Obama sono ancora fissati su un cambiamento di regime, piuttosto che sulla stabilità della regione, perché l’amministrazione Obama non può trovare moderati siriani disposti a combattere la guerra, perché l’ISIL ha fatto saltare in aria un aereo passeggeri russo, il motivo per cui appena i sauditi hanno eseguito la condanna a morte di un potente religioso sciita la loro ambasciata a Teheran è stata messa a fuoco, perché la Russia sta bombardando i combattenti non-ISIL e perché la Turchia è andata fuori dal suo spazio per abbattere un jet russo.

Il milione di profughi che ora invadono l’Europa sono profughi di una guerra per il petrolio e di una CIA incompetente.

Clemente paragona l’ISIL al FARC della Colombia – un cartello della droga con un’ideologia rivoluzionaria per ispirare i suoi militanti. “Dobbiamo pensare all’ISIS come a un cartello del petrolio“, ha detto Clemente.

Alla fine, il denaro è la logica di governo. L’ideologia religiosa è uno strumento che ispira i suoi soldati motivandoli a dare la vita per un cartello del petrolio“.

Una volta che spogliamo questo conflitto della sua patina umanitaria e riconosciamo il conflitto siriano come una guerra per il petrolio, la nostra strategia di politica estera diventa chiara. Come i siriani in fuga per l’Europa, nessun americano vuole mandare i suoi figli a morire per una pipeline.

Invece, la nostra prima priorità dovrebbe essere quella che nessuno ha mai menzionato – dobbiamo cacciare i nostri signori del petrolio del Medio Oriente, un obiettivo sempre più fattibile come gli Stati Uniti diventano più indipendenti in campo energetico. Quindi, dobbiamo ridurre drasticamente il nostro profilo militare in Medio Oriente e lasciare che gli arabi gestiscano l’Arabia. Altro che aiuti umanitari e garantire la sicurezza dei confini di Israele, gli Stati Uniti non ha alcun ruolo legittimo in questo conflitto. Mentre i fatti dimostrano che abbiamo giocato un ruolo nella creazione della crisi, la storia dimostra che abbiamo poco potere per risolverla.

Osservando la storia, si rimane senza fiato di fronte all’evidenza sorprendente con cui praticamente ogni intervento violento in Medio Oriente dalla seconda guerra mondiale in poi del nostro Paese si è risolto in un miserabile fallimento, con contraccolpi terribilmente costosi. Un rapporto del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti del 1997 ha rilevato che i dati mostrano una forte correlazione tra il coinvolgimento degli Stati Uniti all’estero e un aumento degli attacchi terroristici contro gli Stati Uniti“. Diciamolo chiaro; ciò che noi chiamiamo la “guerra al terrore” è in realtà solo un’altra guerra del petrolio.

Da quando il petroliere Dick Cheney ha dichiarato la “Guerra Duratura” nel 2001, abbiamo sprecato 6 trilioni di $ su tre guerre all’estero e nella costruzione di una sicurezza nazionale basata sullo stato di guerra.

Gli unici vincitori sono stati gli appaltatori dell’esercito e le compagnie petrolifere, che hanno intascato degli storici profitti, le agenzie di intelligence che sono cresciute in modo esponenziale in potere e influenza a scapito delle nostre libertà, e i jihadisti che invariabilmente hanno usato i nostri interventi come il più efficace strumento di reclutamento.

Noi abbiamo compromesso i nostri valori, massacrato la nostra gioventù, ucciso centinaia di migliaia di persone innocenti, sovvertito il nostro idealismo e sperperato i nostri tesori nazionali in avventure all’estero inutili e costose. In questo processo, abbiamo aiutato i nostri peggiori nemici e trasformato l’America, una volta faro di libertà nel mondo, in uno stato di sorveglianza sulla sicurezza nazionale e un paria morale internazionale.

I padri fondatori dell’America avevano messo in guardia gli americani contro eserciti permanenti, coinvolgimenti stranieri e, nelle parole di John Quincy Adams, sull’ “andare all’estero in cerca di mostri da distruggere“.

Quegli uomini saggi avevano capito che l’imperialismo all’estero è incompatibile con la democrazia e i diritti civili all’interno del paese.

La Carta Atlantica ribadiva l’ideale originale americano per cui ogni nazione dovrebbe avere il diritto all’autodeterminazione.

Nel corso degli ultimi sette decenni, i fratelli Dulles, la banda Cheney, i neoconservatori e i loro simili hanno dirottato tale principio fondamentale dell’idealismo americano e implementato il nostro apparato militare e di intelligence per servire gli interessi mercantili delle grandi imprese e, in particolare, delle compagnie petrolifere e degli appaltatori dell’esercito, che hanno letteralmente fatto una strage di questi conflitti.

E’ tempo che gli americani facciano sì che l’America volti le spalle a questo nuovo imperialismo e si riporti sul percorso dell’idealismo e della democrazia.

Dovremmmo lasciare che gli arabi governino l’Arabia e impegnare le nostre energie nel grande sforzo di costruzione della nostra nazione.

Dobbiamo iniziare questo processo, non invadendo la Siria, ma ponendo fine alla rovinosa dipendenza dal petrolio che ha distorto la politica estera degli Stati Uniti per mezzo secolo.

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Robert F. Kennedy, Jr. è il presidente di Waterkeeper Alliance. Il suo libro più recente è Thimerosal: Let The Science Speak.
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