La nube causata dall’incidente alla centrale giapponese ha attraversato l’Oceano Pacifico, ma le tracce trovate sono modeste. Restano, invece, irrisolti i problemi connessi alla produzione di energia attraverso la fissione
Un’eredità a lento rilascio. Ma c’è un problema: è radioattiva. È quello che è successo, secondo gli scienziati, quando nel 2011 un enorme terremoto al largo delle coste del Giappone ha causato lo schianto di uno tsunami sulla centrale nucleare di Fukushima, scatenando una delle peggiori crisi nucleari del mondo. E da dove l’inferno è venuto – l’oceano – è poi tornato ma con l’aggiunta della radioattività liberata dall’impianto. Con un duplice effetto. Conseguenze ridotte sulla popolazione a fronte di un’elevata contaminazione del pesce, a tal punto da indurre il governo a limitarne fortemente la vendita.
Mentre il terremoto e lo tsunami del 2011 hanno ucciso circa 16.000 persone in Giappone e più di 160.000 sono fuggite dall'area interessata dall’incidente, nessuno sembra sia deceduto a causa delle radiazioni. Il motivo è semplice: la maggior parte della radioattività è stata risucchiata dal mare. E proprio per questo motivo un gruppo di fisici nucleari francesi ha ora trovato l’impronta di Fukushima nel vino della California settentrionale. In un nuovo studio, i ricercatori hanno testato tre tiplogie - rosé, cabernet e sauvignon - dal 2009 in poi riscontrando un aumento dei livelli di particelle radioattive dopo il disastro in Giappone.
L’isotopo in questione - cesio 137 - può causare un rischio elevato di cancro, ma il livello di materiale radioattivo di Fukushima assorbito da alimenti e bevandein altri paesi è abbastanza basso per costituire un problema concreto per la salute, secondo l'Organizzazione mondiale della sanità. E anche nel caso del vino californiano non si profilano rilevanti rischi per la salute. Durante l’attraversamento dell’Oceano Pacifico la nube ha perso buona parte del suo carico radioattivo mentre si dirigeva verso la California.
Se la lezione che si può trarre è, come sempre, quella di bere con moderazione, resta aperto un paradosso sulle centrali nucleari. Spostarsi dal carbone al gas naturale è senza dubbio un passo verso la decarbonizzazione: la combustione del gas naturale produce circa la metà del biossido di carbonio rispetto al pericoloso carbone. Ne è stato bruciato così tanto nel mondo da diventare la principale fonte di emissioni radioattive nell'ambiente. Invece, se si considerano tutte le fasi di vita di una centrale dall’installazione alla dismissione, l’energia prodotta tramite fissione genera elettricità rilasciando il 4-5% delle emissioni di carbonio - l'elemento principe che causa il riscaldamento globale - rispetto ad una centrale elettrica a gas.
Nonostante ciò, restano ancora irrisolti tre limiti strutturali legati alla produzione dell’energia nucleare: il rischio di incidenti, lo smaltimento delle scorie e l’estrazione dell’uranio. Che alla fine, secondo numerosi esperti, fanno pendere la bilancia dall’altra parte, a sfavore della fissione. Senza, tuttavia, dimenticare che le rinnovabili sono in grado di coprire, al momento, soltanto una minima parte del fabbisogno energetico globale.
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