Parte la guerra commerciale. Parte quello che da tutti era temuta e che si sperava non diventasse mai realtà: la politica dei dazi doganali.
Si, perché i dazi sarebbero l’ascensore che velocizza tutto il percorso che vi ho spiegato prima, nel post precedente, ovvero il detonatore che innesta alla frenata economica e poi alla recessione. Un passo che porterebbe ad una bestia tanto temuta quanto difficile da gestire, ovvero la STAGFLAZIONE. Immaginatevi le conseguenze sui mercati che non potranno continuare ad ignorare la realtà.
Il FMI ha fatto delle stime che io prendo per buone. Una tariffa del 10% sul commercio di beni USA, comporterebbe un aumento dell’inflazione di circa lo 0,7%. Quindi inflazione in aumento ma non per crescita commerciale, visto che le previsioni sono quantomeno di una frenata degli utili del 2.5%, con effetti quindi sui relativi multipli azionari e sui corsi delle azioni stesse.
Gli effetti sul mercato dell’equity dovrebbe aggirarsi su un 20%. Una percentuale quantomai teorica perché calcolata con le logiche del “fair value”. Ma con la finanza passiva così presente, come possiamo pensare che ci limiteremo a tali numeri?
E il risparmiatore? Si rivedrebbe riportato indietro di diversi anni, con perdite da recuperare chissà quando (visto che siamo a fine ciclo).
Il grafico che ci propone Pictet AM ci illustra quali sono i paesi che dovrebbero subire un maggiore impatto di una guerra commerciale (e quindi con un economia più sensibile in negativo ai dazi). Come vedete ci sono paesi come Taiwan che si troverebbero in forte difficoltà. Con aziende quotate anche a Wall Street
Ma qui abbiamo ragionato sui singoli dazi USA. Ovvio che gli altri governi non staranno, immobili, a subire in silenzio. Morale: rischia di essere la guerra dei poveri. O meglio, dei nuovi poveri, visto che il protezionismo potrà solo peggiorare, e di molto, la situazione macroeconomica globale.
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