9 dicembre forconi: Noioso, astuto e bocconiano: chi è Giancarlo Giorgetti, il Gianni Letta della Lega

martedì 1 maggio 2018

Noioso, astuto e bocconiano: chi è Giancarlo Giorgetti, il Gianni Letta della Lega

Pacato, mai polemico, con tanti amici importanti: ritratto dell’uomo di compromesso del Carroccio che sta in Parlamento da vent’anni ed è sopravvissuto al declino di Bossi

L'ospitata da Bruno Vespa a Porta a Porta. Di prima mattina su Raitre ad Agorà. Il faccia a faccia con Giovanni Minoli per La7. Una lunga intervista in solitaria nella seconda serata di Rai Due. Da un mese la faccia di Giancarlo Giorgetti, il numero due della Lega, rimbalza da un talk show all’altro come mai prima d’ora. E poi ci sono i giornali: anche qui dichiarazioni a raffica e interviste. Una faticaccia per lui, tipo schivo, riflessivo. Uno che non ha mai smesso di giocare da portiere anche dopo aver abbandonato scarpette e guantoni tra i cimeli di gioventù. Nel senso che il vice di Matteo Salvini sta sempre sulla difensiva, para le domande dell’interlocutore di turno e non si lascia mai sfuggire una sillaba di troppo. Niente polemiche. Mai una provocazione. Insomma, l’esatto contrario del leader leghista, di cui Giorgetti una volta disse di apprezzare soprattutto «la genuina sfrontatezza». Due parole buttate lì, giusto per marcare la distanza caratteriale da Salvini e dal suo modo di fare politica.

Non è più tempo di comizi, adesso. Ora che la Lega ha fatto il pieno di voti, e punta al governo, i toni forti da campagna elettorale lasciano spazio alla manovre di corridoio. Basta slogan, si naviga a vista alla ricerca di un compromesso. Ecco Giorgetti, allora. La faccia pacata e dialogante del partito che fu di Umberto Bossi. Tanto pacato e dialogante che a Roma, nei palazzi del potere, c’è chi lo vede addirittura a Palazzo Chigi, frutto di una mediazione tra Cinque Stelle e leghisti che taglierebbe fuori i due capipartito, Di Maio e Salvini. «Ma figurarsi, non mi conosce nessuno», si è schermito il diretto interessato in una recente intervista. Una risposta quasi scontata, in linea con l’immagine di se stesso che il numero due della Lega cerca da sempre di accreditare. Quella del politico che studia e lavora dietro le quinte. Uno serio e preparato che però, quando parla in pubblico, rischia di sembrare noioso per via di quell’argomentare piatto, senza fronzoli.

Il peso di una candidatura non si misura solo sulla bilancia della popolarità. Da più di vent’anni in Parlamento, eletto per la prima volta alla Camera nel 1996, Giorgetti, diploma da perito aziendale, laurea alla Bocconi, commercialista e revisore dei conti è diventato il pontiere della Lega verso i poteri dell’economia e della finanza. La biografia ufficiale racconta delle sue umili origini: nato nel 1966 in un paesino sul lago di Varese (Cazzago Brabbia, 800 abitanti), padre pescatore e madre operaia. Nessun salotto buono, quindi. Ma l’ascesa del giovane leghista, in parallelo con i primi passi nella partito di Bossi, è stata favorita da parentele altolocate. Non tanto quella, da più parti citata, con il cugino banchiere Massimo Ponzellini, peraltro caduto in disgrazia nel 2011, con tanto di condanna penale, dopo l’ascesa alla presidenza della Popolare di Milano. In famiglia c’è un altro Ponzellini, di nome Gianluca, che vanta rapporti di altissimo livello, in un sistema di porte girevoli che porta direttamente ai piani più elevati dell’establishment italiano: banche, grandi imprese di Stato, grandi famiglie del capitalismo nazionale.

Gianluca Ponzellini, varesino, 71 anni, commercialista di grande esperienza, in quasi mezzo secolo di carriera ha collezionato incarichi, molto spesso come membro del collegio sindacale, in grandi gruppi come Telecom Italia, Intesa SanPaolo, Alitalia, Benetton. Il suo percorso professionale corre parallelo a quello del collega e socio Angelo Provasoli, un altro peso massimo, forte di uno sterminato curriculum accademico e professionale. Rettore dell’Università Bocconi tra il 2004 e il 2008, Provasoli, per citare solo gli incarichi più recenti, è stato presidente del collegio sindacale della Cassa depositi e prestiti, dell’Enel e di Expo, presidente di Rcs-Corriere della Sera, consigliere di Telecom Italia.

Fresco di laurea in economia e commercio, Giorgetti è andato a farsi le ossa alla Metodo, società di consulenza e revisione dei conti fondata da Provasoli e Ponzellini quasi 40 anni fa. Per il giovane bocconiano quel primo lavoro nelle stanze dei suoi maestri è stata un’occasione d’oro per vedere da vicino come funziona il mondo degli affari e per collezionare contatti che potevano tornare utili in futuro.

Siamo nei primi anni Novanta e in quella fase storica la Lega cresce grazie al fiuto politico del leader Bossi, sull’onda della retorica del federalismo e di Roma ladrona. Il partito nordista fatica però a reclutare dirigenti esperti in economia e Giorgetti, che era già stato sindaco del suo paese natale, non fa molta fatica a farsi notare dall’Umberto, il padre fondatore del movimento che abita a una quindicina di chilometri da Cazzago Brabbia. E così nel 1996, quando non ha ancora compiuto trent’anni, il bocconiano della Lega diventa deputato. Nel 2000 il suo nome compare già tra i 15 dirigenti scelti da Bossi per la cosiddetta segreteria federale, con il ruolo di responsabile del settore economia. A meno di un ventennio di distanza Giorgetti è l’unico ancora in pista in quel gruppo di fedelissimi del senatur.

Nel frattempo, dentro la Lega è successo di tutto. Tra cambi di linea politica, regolamenti di conti interni e inchieste giudiziarie, ai piani alti del partito è andato in scena un ribaltone dopo l’altro. Tramontata la stella di Bossi, per via della salute malferma e delle condanne in tribunale, nel 2012 è salito al vertice Roberto Maroni, che davanti ai militanti brandiva una ramazza per fare piazza pulita dei dirigenti inetti e corrotti. Alla fine è stato Salvini a chiudere la partita, cavalcando la ribellione sovranista e la paura per la presunta invasione dei migranti.

Nell’arco di vent’anni sono cambiati facce e slogan, perfino il marchio del partito, che ha abbandonato ogni riferimento al Nord. Giorgetti invece è rimasto Giorgetti. Ha coltivato con grande abilità la sua immagine di politico alla mano, dai gusti semplici, lontano dalla ribalta mediatica. È ancora, per esempio, un grande tifoso del Varese calcio, nonostante i guai societari che ne hanno provocato a più riprese il fallimento. E mentre deputati e senatori di ogni schieramento amano farsi vedere in tribuna d’onore per le partite dei grandi club, lui, il leghista di lotta e di governo, è stato segnalato in qualche campo di provincia per tifare in trasferta la sua squadra del cuore precipitata nel campionato di Eccellenza, tra i dilettanti.

Con il passare degli anni, Giorgetti ha saputo mettere a frutto nel migliore dei modi la sua fama di sgobbone. È stato capace di trasformare i fulmini delle tempeste interne della Lega in energia per continuare la sua personale scalata al potere. Del resto non è un caso se già nel 2009, come si legge nei dispacci diplomatici segreti rivelati da WikiLeaks, il consolato americano a Milano pronosticava un futuro da leader per il deputato varesotto, descritto come “sharp” e “well respected”, cioè scaltro e molto stimato.

Da presidente della commissione Bilancio della Camera (2001-2006 e 2008-20013) e poi come ufficiale di collegamento con i poteri forti della finanza, l’ex fedelissimo di Bossi ha messo mano a tutti i dossier più delicati di politica economica, compresa la manovra correttiva dei conti pubblici che nella convulsa estate del 2011 finì nel mirino dell’Unione Europea e della Bce. Di lì a poco il governo Berlusconi, con Giulio Tremonti ministro dell’Economia, arrivò a fine corsa aprendo la stagione dei tagli con il marchio di Mario Monti.

Giusto il tempo di una sosta ai box e nel 2013 Giorgetti viene chiamato dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano nel gruppo ristretto di dieci saggi, tutti accademici e politici di lungo corso, incaricati di elaborare un piano di riforme istituzionali ed economiche. Nel frattempo la Lega, chiusa la breve parentesi di Maroni, dal 2014 diventa il partito di Salvini. Un partito contro: contro l’euro, contro Bruxelles, contro la Bce, contro i poteri forti della finanza. È una battaglia a suon di slogan e il nuovo leader si affida a generali come Claudio Borghi e Armando Siri, propagandisti in servizio permanente effettivo contro la moneta unica e il fisco oppressore. A prima vista il clima sembra congeniale a Giorgetti come la savana a un orso bianco. E invece no. La politica è fatta di compromessi. L’hanno imparato perfino i Cinque Stelle duri e puri. E Salvini, in vista dell’assalto finale al governo del Paese, non può fare a meno dell’esperienza e della capacità manovriera del leghista varesotto, nel frattempo promosso vicesegretario del partito.

È stato Giorgetti, giovedì 5 aprile, ad accompagnare al Quirinale il capo della Lega per il primo giro di consultazioni per il nuovo governo. Due settimane prima, il 21 marzo, la coppia era stata ricevuta all’ambasciata americana a Roma. Il Le Pen de noantri con il Gianni Letta lumbard.  

Fonte: qui

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