L’OBIETTIVO ERA CAPIRE COME CREARE UN ORDIGNO PIÙ STABILE, MA SULL’ALTARE DELL’ATOMICA NEL GIRO DI UN ANNO SI SACRIFICARONO DUE SCIENZIATI: HARRY DAGHLIAN E LOUIS SLOTIN
LA LORO STORIA È STATA TENUTA SEGRETA…
DAGONEWS
La scienza ha un costo umano. Specialmente quella bellica, e tra questa in particolare quella nucleare. Non tanto, o non solo, per le vittime sul campo di battaglia, ma anche tra le persone che quella tecnologia hanno contribuito a creare. Negli anni ’40 gli Stati Uniti hanno rapidamente sviluppato la bomba atomica, che poi utilizzarono per colpire e distruggere le due città giapponesi di Hiroshima e Nagasaki. Da allora, per più di 40 anni, l’incubo nucleare è stata una minaccia costante in tutto il mondo.
La Guerra fredda si è basata sul mantenimento e la protezione di segreti militari da nascondere al nemico. Tra questi c’è la storia del demon core, il nucleo del demonio, una sfera di plutonio impiegata nelle ricerche per migliorare l’efficacia delle bombe nucleari. La storia del demon core, raccontata di recente da Atlas Obscura, è la storia di un fallimento scientifico, sperimentato sulla pelle – letteralmente – delle persone che stavano lavorando per costruire l’arma perfetta.
Nell’agosto del 1945 gli Stati Uniti decidono di usare la bomba atomica. Lo fanno per sancire definitivamente la fine della Seconda Guerra mondiale. Ma la ricerca nucleare non si fermò con quella devastazione: seppure un ordigno di quella potenza non sarebbe mai più stato utilizzato, gli Stati Uniti continuarono a fare ricerche sulle armi atomiche partendo dal terzo nucleo di plutonio creato durante la guerra, che non era stato utilizzato come arma.
Quelle ricerche furono portate avanti da un gruppo di scienziati, il “Critical assembly group” nei laboratori di Los Alamos e riguardavano appunto il nucleo del demonio. Erano esperimenti pericolosi, il cui obiettivo era quello di rilevare sperimentalmente la massa critica del plutonio. In meno di un anno ci furono due incidenti, a causa della difficile gestione dell’elemento chimico radioattivo. Furono proprio quegli incidenti a originare il soprannome “nucleo del demonio”.
Il demon core era costruito su due piccole semisfere, che si univano per formare una sfera dal diametro di circa 9 centimetri. Gli esperimenti sul nucleo del demonio venivano effettuati nei laboratori di Los Alamos, in New Mexico. Il 21 agosto 1945, quando già il Giappone aveva firmato la resa, il fisico Harry Daghlian stava conducendo delle ricerche sulla riflessione dei neutroni. Era solo, e aveva appena inserito la sfera all’interno di uno scudo costruito da una pila di mattoni riflettenti di carburo di tungsteno. L’aggiunta di ogni mattone portava il nucleo sempre più vicino alla condizione di criticità, quella necessaria per causare l’esplosione.
Daghlian stava per aggiungere l’ultimo mattone, che avrebbe portato il peso totale dello scudo a 236 chili, quando si accorse che con quell’aggiunta il nucleo sarebbe passato allo stadio di supercriticità. Se n’era accorto appena in tempo, ma il mattone gli cadde e dal nucleo uscì un fascio di neutroni. Dahglian evitò il peggio, disassemblò lo scudo che aveva costruito, ma 25 giorni dopo morì per le radiazioni ricevute. A fare la guardia al laboratorio c’era un soldato, Robert J. Hemmerly, che non aveva preso parte all’esperimento ma comunque fu colpito da un fascio di neutroni e raggi gamma, che gli provocarono una leucemia mieloide acuta, con cui ha poi convissuto per 33 anni: Hemmerly morì nel 1978.
L’incidente e la morte di Daghlian non dissuase però i colleghi – e la Difesa americana – dal continuare a studiare la criticità del plutonio. Così, meno di un anno dopo, il 21 maggio del 1946, ci fu un altro incidente. Louis Slotin era un fisico che stava lavorando con altri sei addetti a un esperimento del cosiddetto Manhattan Project, soprannominato “solleticare la coda del drago”. Già questo soprannome dà il senso e la misura della sua pericolosità. In pratica, un operatore doveva collocare due semisfere di berillio (un metallo che riflette i neutroni) intorno al nucleo. Questa operazione si faceva abbassando quella superiore piano piano. I due livelli non si dovevano chiudere, per evitare che si raggiungesse la condizione di supercriticità.
Il protocollo con cui questi esperimenti venivano effettuati però non erano approvati e invece di usare degli spessori, utilizzavano un cacciavite.
Una metodologia criticata aspramente da Enrico Fermi, che infatti disse che in quel modo Slotin e i suoi collaboratori sarebbero morti entro un anno. E in effetti così accadde, anche se la sorte infausta toccò soltanto al fisico. Mentre stava abbassando la semisfera, il cacciavite gli scivolò verso l’esterno e il riflettore cadde. Il nucleo divenne supercritico e rilasciò una grande quantità di radiazioni. Slotin riuscì a fermare la reazione a catena e a fare da schermo con il suo corpo salvando di fatto la vita agli altri presenti. Lasciò l’edificio in preda ai conati di vomito e morì nove giorni dopo.
A quel punto, gli esperimenti finirono, e gli studi sul “nucleo del demonio” cessarono, insieme alla possibilità di una guerra nucleare, che ormai si era raffreddata insieme al plutonio.
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