Come vi spiega la Botteri molte sere, un procuratore speciale di nome Robert Mueller sta raccogliendo le “prove” che Putin ha influito sulle presidenziali Usa facendo eleggere Trump, e che Trump è colluso con Putin e gli interessi della Russia, nemica degli Stati Uniti. Ha già incriminato un faccendiere, Manafort, e da questo sta allargando le indagini, che lambiscono sempre più decisivamente il presidente in carica.
Ebbene: esistono e si moltiplicano prove patenti che, invece, è stata Hillary Clinton a favorire gli interessi russi; insomma che è a lei che dovrebbero essere rivolte le accuse e le indagini di un procuratore speciale. Ci sono documenti che vengono fuori, e testimoni che stanno parlando, come la capessa del Comitato Elettorale Democratico Donna Brasile – ma niente scalfisce la narrativa: è Trump il complice di Putin.
Non so se riesco a comunicare al lettore il terrore che prende un vecchio giornalista quando vede una così invincibile spudorata menzogna ufficiale, il contrario esatto della verità. E’ lo stesso terrore di chi ha visto il totalitarismo sovietico all’opera.
e’ stata Hillary a vendere uranio a Mosca
Ricapitoliamo i fatti. Nel 2009, mentre Hillary era ministra degli Esteri, una società canadese, controllata da un amico e donatore dei Clinton – Uranium One – riesce a prendere il controllo del 20% delle miniere d’uranio statunitensi; una commissione speciale, che ha il compito di verificare la liceità delle vendite di attivi strategici nazionali a stranieri, dà tutte le autorizzazioni richieste. Fanno parte di tale comitato (Committee on Foreign Investment in the United States) il ministro degli esteri o un suo rappresentante, il ministro della giustizia di Obama, un delegato della Casa Bianca, esperti e tecnici; essi hanno dato l’autorizzazione alla vendita dell’uranio ai canadesi, dopo la raccomandazione del capo dell’FBI, che era allora chi? Ma nient’altri che Robert Mueller! Ossia lo stesso procuratore speciale che oggi cerca di incastrare Trump con l’accusa di collusioni con Mosca.
Ormai è appurato che la società “canadese” era in realtà la facciata di copertura di una ditta russa, emanazione della statale Rosatom, presieduta da un amico di Putin. Lo sapeva già allora perfettamente l’FBI, che aveva tutte le prove di come questa ditta avesse versato mazzette in Usa e Canada. Anzi: un informatore dell’FBI aveva infiltrato la Uranium One e faceva rapporti a federali su quello che la ditta faceva veramente. Ebbene: costui ha ricevuto l’ordine di tacere. Da chi? Non può averlo ricevuto che da Mueller, allora capo dell’FBI ed oggi accusatore di Trump, o dal ministro della giustizia di Obama, Eric Holder. Adesso il ministro della giustizia di Trump ha dato all’informatore il permesso di parlare – a chi? – alla commissione giustizia del Senato e della Camera. Che non mostrano una gran fretta di ascoltarlo.
Fatto sta che il governo Obama, era perfettamente al corrente del fatto che la ditta canadese era una facciata della Rosatom. Nonostante ciò, Hillary Clinton – ministra degli esteri – fu tra quelli che diedero l’autorizzazione alla vendita dell’uranio americano. Subito dopo, il presidente della ditta “canadese” fece una donazione alla famosa Clinton Foundation l’ente “senza scopo di lucro” e beneficente, sulla carta che perpetua le glorie del marito ed ex presidente, Bill. A quanto ammontò la disinteressata donazione? Alla modesta cifra di 145 milioni di dollari.
Insomma una tangente milionaria, data indirettamente alla moglie attraverso il marito. Oggi si sa che la Clinton Foundation è stata usata spudoratamente come collettore di mazzette del genere, da parte di privati e stati sovrani (per esempio arabi) per avere un occhio di favore sui loro affari da parte del Dipartimento di Stato.
Oltretutto, appena data l’autorizzazione alla vendita, l’ex presidente Bill Clinton è stato invitato a Mosca a tenervi una conferenza: dietro grazioso compenso di mezzo milione di dollari per mezz’oretta, pagato da una importante banca russa vicina al Cremlino; Bill fu perfino, allora, ricevuto da Vladimir Vladimirovic.
Attenzione: non si tratta solo di un gigantesco caso di corruzione a beneficio del Clinton. Poiché la corruzione ha riguardato la cessione di un attivo strategico nazionale, come sottolinea l’analista Charles Gave, l’accusa può essere di tradimento a favore di uno stato stranieri ostile, il che comporta la pena di morte: quella che fu comminata ai coniugi Rosenberg, mandati nel ’53 alla sedia elettrica per aver ceduto a Stalin i segreti della fabbricazione della Bomba..
Obama sapeva
E’ istruttivo enumerare quanti e quali personalità potrebbero essere chiamate in correità di Hillary per tradimento: il ministro della giustizia di Obama (Holder), Obama stesso (non poteva non sapere), e Robert Mueller, l’allora capo dell’FBI che sapeva tutto, e intimò all’informatore dell’FBI di non dire niente. Quello stesso Mueller, non ci stanchiamo di ripeterlo, che oggi è l’accusatore speciale di Trump per il presunto Russiagate.
Adesso Donna Brazile, la nuova presidente del Comitato Nazionale Democratico (succeduta a Debbie Wasserman Schultz (j), riconosciuta colpevole di aver favorito truffaldinamente la Clinton contro l’altro candidato, Bernie Sanders, nelle primarie) sta scaricando i Clinton, padroni del Partito, ormai pericolosi. Così sappiamo, fra l’altro nuove cose:
Sul famigerato dossier che rivelava come, in un viaggio in Russia, Trump avesse avuto incontri con prostitute a Mosca (con “pioggia d’oro”) che lo rendevano ricattabile e ricattato dai russi. L’ex ambasciatore britannico a Mosca avrebbe dato questo dossier così compromettente a chi? Al senatore McCain, nemicissimo di Trump. McCain l’avrebbe girato a James Comey, allora direttore dell’FBI (è succeduto a Mueller); Comey l’avrebbe mostrato ad Obama, e poi a Trump. Immediatamente il dossier è venuto a conoscenza dei media, che l’hanno diffuso.
E’ bene ricordare che quel dossier è stato confezionato da un britannico di nome Christopher Steele, ex agente dei servizi MI6, per anni mandato dai servizi britannici a Mosca, poi tornato a capeggiare al MI6 l’ufficio Russia. Messosi in proprio e creata la sua agenzia privata di informazioni, Steele viene contattato perché fabbrichi appunto un dossier compromettente su Trump – cosa che il personaggio fa, probabilmente ascoltando suoi contatti nei servizi russi.
Ora sappiamo chi ha commissionato il dossier a Steele, pagandoglielo anche: Hillary Clinton e i suoi complici al vertice del Partito Democratico USA. L’hanno fatto attraverso uno studio di avvocati, per aggirare le norme che vietano ad un candidato di servirsi di stranieri per la sua campagna elettorale.
Comey (FBI) pagò il dossier diffamatorio
E’ un trucco, ricorda Charles Gave, che Hillary ha già usato. Per esempio nel 1992 quando assoldò uno studio di avvocati per spargere diffamazioni su un bel numero di donne che avevano accusato di stupro Bill Clinton. E’ una vicenda che oggi assumerebbe un intenso interesse per i media, se volessero indagare, sulla scia dell’altro accusato di stupri da famose attrici, quel Harvey Weinstein che è grande amico, donatore e raccoglitore di fondi per la campagna di Hillary. Interessante anche sapere che Kevin Spacey, l’attore oggi rivelato pedofilo “predatore”, insieme ai Clinton è stato ospite per anni dell’aereo privato del finanziere Jeffrey Epstein, il cosiddetto “Lolita Express”. Epstein, j, giudicato colpevole per aver violato almeno un centinaio di ragazzine tredicenni, condannato a pene miti per aver risarcito le vittime con denaro, portava ai suoi ospiti sul suo Lolita Express sia nella sua isola privata nei Caraibi, Little St James, sia in località delle isole Vergini o africane dove gli ospiti potevano sfogare i loro viziosi istinti su bambini e bambine al riparo da ogni conseguenza penale. Insomma ci sarebbe tutto un filone d’inchiesta, con l’incubo (per i Clinton) del “Pizzagate” sullo sfondo.
Ma niente. I media non s’interessano. Non s’interessano nemmeno alla notizia che il direttore dell’Fbi Comey, quando ricevette da McCain il dossier di Steele, versò all’ex agente MI6 ben 50 mila dollari perché continuasse a scavare sui presunti vizi di Trump a Mosca – quando ormai Trump era stato eletto e il dossier visibilmente pieno di falsità.
I media invece hanno dipinto Comey come un alto servitore dello Stato tutto d’un pezzo l’estate scorsa, quando Trump – presidente – lo ha licenziato dalla poltrona dell’FBI, e Comey è subito stato richiesto in audizione dal Congresso dove ha diffamato Trump e riconfermato che secondo lui c’è stata una “massiccia interferenza russa” nelle elezioni Usa, s’intende a favore di Trump – mentre abbiamo visto che se mai, c’è stata a favore di Hillary Clinton.
Attenzione: il fatto che Comey abbia pagato un agente straniero (Steele) per manipolare la situazione politica americana, è in sé un delitto federale che vale 30 anni di galera, specie se commesso dal capo del FBI.
In realtà, sappiamo perché l’ha detto lo stesso Comey, il vero motivo per cui Trump lo ha licenziato: a gennaio, appena eletto, il neo-presidente chiamò Comey a cena alla Casa Bianca, e gli chiese lealtà: “Mi aspetto lealtà, ho bisogno di lealtà”. E’ il minimo che un presidente possa chiedere, e Comey declinò l’impegno.
La domanda di Donald Trump assume un significato tragico, alla luce dei fatti. Robert Mueller come procuratore speciale sul RussiaGate, quello che ora cerca le prove della sua collusione con Putin con metodi che ricordano quelli di Mani Pulite (incriminare, incarcerare per far parlare) lo ha nominato lui stesso, Trump – certo, su indicazione del vice-attorney generale Rod Rosenstein, che credeva un uomo leale.
Ora, Mueller è un servente del Deep State se mai ce n’è uno: uomo fedele della famiglia Bush, è uno degli autori dei grandi (e grossolani) depistaggi sui veri autori dei mega-attentati dell’11 Settembre, impedendo che le indagini andassero nella giusta direzione; ha parimenti sviato l’indagine sulle lettere all’antrace, accusandone un innocente.
(qui per un elenco ragionato delle sue azioni: http://www.zerohedge.com/news/2017-11-02/13-shocking-facts-about-special-prosecutor-robert-mueller).
E’ ovvio che uno che ha aiutato i Bush a coprire la verità sull’11 Settembre, consideri un pericoloso nemico l’intruso Donald Trump, che durante la campagna elettorale ha minacciato di togliere il segreto sull’attentato, dando chiaramente ad intendere di non credere alla versione ufficiale. Ma Trump evidentemente non sapeva chi fosse, si è fidato di Rosenstein.
Durante la campagna elettorale, Trump aveva minacciato più volte di nominare un prosecutore speciale per stabilire le gravissime responsabilità di Hillary; non l’ha fatto, e non lo fa nemmeno adesso – e si lamenta che non lo faccia il procuratore Jeff Sessions: un altro che ha nominato lui, dopotutto. Gliela aveva indicato qualcuno che credeva leale. Parimenti casuale appare la sua nomina del nuovo governatore della Federal Reserve, uno che era già nel board e gli è stato indicato, James Powell (almeno è il primo non-ebreo dal 1987, dopo Greenspan, Bernanke, Yellen…).
Insomma sembra la tragedia di un uomo sprovveduto che non ha attorno a sé una sola personalità che gli sia insieme leale e conosca la “macchina” e il Deep State e le sue trappole. Un repubblicano che il Partito Repubblicano tradisce, ostruisce, sabota e che vuole morto.
“L’amministrazione Trump è tanto occupata ad autodistruggersi – commenta The Saker – che non si preoccupa più dell’Ucraina, del Kurdistan, e ciò implica che non si prende cura nemmeno davvero del Santo dei Santi, Israele”.
Ma nello stesso tempo assistiamo all’autodistruzione della dinastia Clinton, del Partito Democratico, dei circoli globalisti che lo sostengono – travolti dalla tempesta di accuse di vizi sessuali innominabili, che non salvano nessuno.
Dopo Weinstein brutale stupratore, scopriamo che è un ex trader del Soros Fund Management, Howie Rubin, 62 anni, sposato con tre figli, ad essere accusato da diverse ex ragazze-copertina di Playboy di averle violentate e torturate. Attratte ad una festa nel superattico di Manhattan da 8 milioni di dollari, le ragazze scoprivano che il padrone era del tipo sadico-dominante-bondage-disciplinante (in sigla, BDSM): le introduceva in una sala trasformata in una segreta (dungeon), piena di catene ed altri oggetti di tortura, le legava, imbavagliava e picchiava selvaggiamente, poi le violentava duro, urlando: “Ti stupro come stupro mia figlia!”. Una delle ragazze fu pestata tanto, che “il suo impianto destro” – il seno finto – “si rovesciò”. Le andò meglio della vittima di Fatty Arbuckle. Rubin l’ha risarcita con 20 mila dollari, facendole firmare un “Accordo di non-divulgazione” (NDA, Non Disclosure Agreement). Un avvocato complice del milionario finanziere ebreo faceva firmare alle ragazze questo impegno, NDA, prima degli incontri. Una obbligazione legale, legalissima, a tacere. Le ragazze erano “pagate da 2 mila a 5 mila dollari”. Uno sfruttamento di una speciale povertà: essere sulla copertina di Playboy è una introduzione al bel mondo della prostituzione di lusso, a quelle ragazze – certamente provenienti da qualche landa contadina del MidWest – saranno sembrati molti quei soldi, e saranno state contente di conoscere gente così importante.
Ma questi ricchi usano un sesso fatto di pura violenza e brutalità; nemmeno un accenno di un preliminare, nemmeno un sorriso o una gentilezza; giù a stuprare una bestia inferiore, un animale parlante con cui non c’è da dire nulla se non sfogare la foia, senza ritegno che si ha davanti a un essere umano.
Persino l’ex presidente George HW Bush, il capostipite della dinastia, grande vecchio repubblicano, uno che la sa lunga sulla morte di Kennedy, 93 anni, si è dovuto scusare perché – dalla sedia a rotelle – ha palpato il sedere di un paio di attrici. Poi ha accusato Trump di “estremismo, faziosità e suprematismo bianco. Io ho votato Hillary”, ha concluso.
E’ un terremoto morale e materiale che scuote “un po’ tutte le satrapie e i potentati dello Stato Profondo”, mi scrive da Washington l’amico Pascali: “la Cia ossia il Bush Intelligence Center, il FBI, il Dipartimento di Stato, i media, la macchina delle destabilizzazioni chiamata Soros, il sistema monolitico unificato chiamato “bi-partitismo”, l’apparato di riciclaggio chiamato Las Vegas, la rete di droga, guerra culturale, prostituzione e ricatto chiamata Hollywood, il supremo sancta santo rum chiamato Fed, sono scossi dalle fondamenta. Rabbia e paura colgono gli oligarchi del regime. A Washington c’è chi dice che la pubblicazione di alcuni documenti sull’assassinio Kennedy è una delle tante spade di Damocle che pende su costoro”
In questa, accade che il neocon de noantri ex comunista ex Cia Giuliano Ferrara, il 2 novembre, pubblica su Il Foglio: “Trump ha fatto una campagna elettorale con l’aiuto di Putin: le prove”
Eccola la pistola fumante di Trump
Nella decomposizione demagogica americana un fatto non si può più negare: Trump ha fatto una campagna elettorale con l’aiuto di Putin. In attesa dei processi, le prove politiche esistono e sono queste
2 Novembre 2017 alle 06:16
Vorrei poter comunicare ai lettori il mio orrore. L’orrore che si provava davanti alle menzogne totali, prive di ogni vergogna, che la Pravda enunciava contro capi del partito finiti in disgrazia, che processati “confessavano” e venivano eliminati col colpo alla nuca. Perché questo Ferrara era un caporione comunista, figlio di caporioni stalinisti (suo padre Maurizio Ferrara direttore dell’Unità, sua madre segretaria di Togliatti); avesse vinto il comunismo, ci troveremmo Ferrara ad operare le repressioni e i processi-farsa, o a commentarli applaudendo alle condanne come direttore dell’Unità-Pravda. Per tempo diventato informatore della Cia restando nel PCI, il Ferrara è diventato neocon per amore d’Israele; ed oggi elenca “le prove” della collusione di Trump.
Fonte: Maurizio Blondet
Nessun commento:
Posta un commento