Nel 2019 – che non è ancora finito – il regno saudita alleato dell’Occidente e di Sion, ha giustiziato già 134 persone. Non solo con la tradizionale decapitazione alla scimitarra; ha anche usato la crocifissione. Ovviamente la tortura ha preceduto le esecuzioni. Sei degli uccisi erano minori al momento dell’arresto.
Lo dice un rapporto di “The Death Penalty Project” al Consiglio del diritti Umani dell’ONU a Ginevra, il quale aggiunge che attualmente altre 24 persone sono in pericolo imminente di esecuzione capitale.
Particolari interessanti: 58 degli ammazzati erano stranieri: 21 pakistani, 15 yemeniti, 5 siriani e 4 egiziani; due giordani, due nigeriani, un somalo e due di nazioni non identificate.
I famosi diritti delle minoranze da noi gelosamente pretesi per i clandestini delle suddette etnie.
Nel solo giorno del 22 aprile scorso, sono state giustiziate pubblicamente 37 persone, nella capitale Ryadh, alla Mecca e nella provincia di Qassim dove abita la minoranza sciita. Infatti 34 erano sciiti, colpevoli di professare la loro fede – un delitto capitale nel regno wahabita. Undici di questi erano accusati di spionaggio per l’Iran in un processo farsa, secondo Amnesty International; altri 14 per aver partecipato a manifestazioni anti-governative, a volte violente, nelle aree popolate da sciiti fra il 2011 e il 2012.
In compenso pare fosse sunnita il colpevole a cui, dopo la decapitazione davanti ad una folla esultante, la testa è stata appiccata in cima ad un palo pour encourager le autres, come si diceva in Francia. Non è chiaro se è lo stesso delinquente il cui corpo, dopo la decapitazione è stato crocifisso – pena aggiuntiva di spregio, che si applica a quanto pare per reati particolarmente gravi secondo il wahabismo petroliero, ma probabilmente si tratta di due casi distinti.
Di quello dalla testa posta sul palo si conosce il nome, Khaled bin Abdel Karim al-Tuwaijri colpevole di “adottare l’ideologia estremista terrorista, formare cellule terroristiche” e danneggiare la “pace e sicurezza della società”
Uno di quelli decapitati fu Abdulkareem al-Hawaj, che fu arrestato mentre partecipava a una protesta antigovernativa quando aveva solo 16 anni. Aveva 17 anni Mujtaba al-Sweikat, ed era iscritto alla Western Michigan University negli Stati Uniti, dove stava per volare, quando è stato arrestato: la sua colpa, aver diffuso informazioni su una protesta anti-governativa. E’ stato torturato con la classica battitura sulla pianta dei piedi, dopo di che ha confessato i suoi crimini ed è stato consegnato al boia.
Non è nemmeno il caso di ricordare che l’esecuzione di minorenni è condannata dal diritto internazionale. L’Arabia Saudita – del resto, non ha un codice penale scritto (c’è il Corano, che bisogno ne ha?) combatte al nostro fianco, con le bombe e gli aerei e i missili Usa e francesi ed inglesi, e il valido appoggio dell’ISIS, contro il vero ed unico stato-terrorista islamico, colpito da sempre più gravi sanzioni dall’Occidente civilissimo: l’Iran
Dei due giovanissimi decapitati, del resto, si sanno i nomi perché, certamente, appartenevano a famiglie di rilievo, con agganci all’estero. Degli stranieri, per lo più poveri servitori emigrati in Arabia per lavoro, giustiziati in gran numero, è raro sapere qualcosa: si sa solo che nel 2018, erano stranieri il 77% dei decapitati in giustizia. Nell’ottobre, si è saputo il nome di una cameriera indonesiana , Tuti Tursilawati, solo perché la sua famiglia s’è rivolta alle autorità dell’Indonesia; le quali, per via consolare, hanno scoperto che la donna era già stata ammazzata senza avvertire l’ambasciata. Del resto, la colpa non era dubbia: nel 2011 aveva ucciso il suo datore di lavoro saudita, ma aveva affermato di aver agito per autodifesa dopo aver tentato di violentarla.
Non mancano le note pene alternative. Nel 2015 una cameriera dello Sri Lanka, di 45 anni, colpevole di adulterio (in patria era sposata) con un altro immigrato cingalese, è stata uccisa per lapidazione. Il suo partner ha subito per la stesa offesa 100 frustate.
Millle frustate invece (mille) sono state inferte a un blogger colpevole di un blog critico della monarchia, di nome Raif Badhawi, insieme alla pena di 10 anni di carcere. Lo sappiamo solo perché la moglie , fuggita in Canada nel 2013 con i figli della coppia, ha pubblicato il video, realizzato nel 2015, su Twitter.
Sul web circolano le foto di 5 corpi di decapitati che poi sono stati poi appesi ad un palo orizzontale, sollevato da due gru; le teste tagliate di ciascuno sono contenute in sacchetti di plastica. Sembra si trattasse di yemeniti. L’esposizione ha avuto luogo di fronte all’Università di Jizan,” dove gli studenti che stavano sostenendo gli esami si svolgono in una piazza pubblica per fungere da deterrente”.
Strano che i nostri militanti per i diritti umani, che vediamo ripetutamente scendere in piazza contro le orrende discriminazioni che subiscono da noi i compagni sodomiti, non dedichino mai un piccolissima protesta ai diritti umani violati in Arabia Saudita. Mai una delle giornaliste che tante lacrime hanno sparso sui presunti ospedali pediatrici di Aleppo, gasati da Assad secondo le veridiche testimonianze degli Elmetti Bianchi,hanno mai alzato un gemito sui cinque appesi nelle foto. Mai i media che seguono a Mosca ogni manifestazione di Navalny per riprendere in video come in Russia si infrangono le libertà fondamentali politiche… mai mai niente sul regno wahabita.
Sarà perché in questi giorni, esponenti di Daesh sconfitti in Siria vengono portati in volo da forze speciali USA verso le regioni settentrionali delll’Afghanistan, “per destabilizzare le zone ai confini con la Federazione degli Stati Indipendenti”, come ha affermato Sergei Beseda, capo del dipartimento delle relazioni internazionali della Comunità degli Stati Indipendenti, legati alla Russia? I talebani confermano gli arrivi. Il wahabismo dimostra ancora una volta di essere necessario all’espansione della democrazia e dunque della civiltà. Come del maiale, non si butta via niente.
Una decapitazione. ATTENZIONE immagini forti. Adatte ad un pubblico adulto.
Fonte: qui
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