I PRIMI TRE FERMATI SONO DUE SENEGALESI, IRREGOLARI IN ITALIA, MAMADOU GARA DI 26 ANNI E BRIAN MINTEH DI 43, E UN NIGERIANO DI 40 ANNI. HANNO TUTTI E TRE PRECEDENTI PER SPACCIO.
I CAPI DI IMPUTAZIONE SAREBBERO GLI STESSI: OMICIDIO VOLONTARIO, VIOLENZA SESSUALE DI GRUPPO E CESSIONE DI STUPEFACENTI
Da www.ansa.it
E' stato rintracciato il quarto uomo sospettato della morte di Desiree Mariottini. Sarebbe un cittadino del Gambia ed è stato rintracciato a Foggia. La sua posizione è al vaglio degli inquirenti per capire il ruolo che ha avuto nella vicenda. I primi tre fermati sono immigrati irregolari accusati di omicidio volontario, violenza sessuale e cessione di stupefacenti. Ascoltate in Questura ieri, fino a tarda sera, alcune persone informate dei fatti.
"La coesione sociale è il mezzo fondamentale per costruire il resto della comunità solidale. Anche nei momenti difficili non ci vogliono ruspe ma più amore e partecipazione. Bisogna essere costantemente nei quartieri difficili senza lasciare mai nessuno solo". Lo ha detto il presidente della Camera Roberto Fico. "Non servono ronde, ma cose come il controllo di vicinato che stiamo già sperimentando. Un'attività corale che vede come perno i cittadini che forniscono indicazioni a supporto delle forze dell'ordine. Mi oppongo a qualunque tipo di visione che proponga l'uso della forza privata indiscriminata per risolvere questioni ordine pubblico e sociale", ha detto la sindaca di Roma Virginia Raggi, riferendosi all'annunciata manifestazione di Forza Nuova domani a San Lorenzo.
LE INDAGINI SULLA MORTE DI DESIREE
I primi tre fermati sono due senegalesi, irregolari in Italia, Mamadou Gara di 26 anni e Brian Minteh di 43. Il terzo è un nigeriano di 40 anni. Hanno tutti e tre precedenti per spaccio di droga. I capi di imputazione sarebbero gli stessi: omicidio volontario, violenza sessuale di gruppo e cessione di stupefacenti.
Mamadou Gara aveva un permesso di soggiorno per richiesta d'asilo scaduto ed aveva ricevuto un provvedimento di espulsione. L'uomo si era reso irreperibile. Era stato poi rintracciato dal personale delle volanti a Roma il 22 luglio 2018 ed era stato richiesto nulla osta dell'autorità giudiziaria per reati pendenti a suo carico.
La Sindaca di Roma Virginia Raggi ha deciso di proclamare una giornata di lutto cittadino in concomitanza con i funerali.
La giovane è stata drogata e poi abusata sessualmente quando era in uno stato di incoscienza. E spunta un testimone che all'ANSA racconta: "Quella notte ero nel palazzo. Ho visto Desirée stare male. Era per terra e aveva attorno 7-8 persone. Le davano dell'acqua per farla riprendere", racconta, dicendo di essere stato ascoltato in Questura. Il teste racconta anche che quella notte, attorno all'una, "qualcuno chiamò i soccorsi".
"Ora voglio giustizia per Desirée, voglio che questa tragedia non accada ad altre", dice Barbara Mariottini, la mamma della ragazza.
E in serata a San Lorenzo è stata organizzata una fiaccolata in memoria di Desirée
'Ronde' in azione a San Lorenzo. "Stamani ci hanno chiamato da un pub - racconta Valerio, uno delle ronde - dove uno straniero infastidiva le ragazze che stavano andando a scuola. Abbiamo chiamato la polizia ed è stato bloccato". Valerio, corpo palestrato e pieno di tatuaggi, aggiunge: "Siamo una decina di persone. I giustizieri" dice ridendo. "Ma non abbiamo mai contatti, ci limitiamo a chiamare la polizia".
Fonte: qui
HANNO STUPRATO DESIRÉE PER 12 ORE CON I PERMESSI UMANITARI IN TASCA
BELPIETRO: ‘PROFUGHI IN FUGA DALL' INFERNO’, SI SONO DICHIARATI I TRE AFRICANI FERMATI DAVANTI ALLE AUTORITÀ. MA L' INFERNO LO HANNO PORTATO LORO A CASA NOSTRA. ALTRO CHE PERMESSO UMANITARIO, QUELLO A CUI AMBISCONO CERTI PROFUGHI È IL PERMESSO ALLA DISUMANITÀ. PURTROPPO DESIRÉE LO HA IMPARATO A SUE SPESE. I POLITICI ITALIANI ANCORA NO…"
Maurizio Belpietro per la Verità
Avevano chiesto il permesso per motivi umanitari. Ma loro, quando hanno drogato e violentato una ragazzina di 16 anni, lasciandola morente su un materasso sporco dentro un palazzo abbandonato, non hanno avuto alcuna umanità. Senegalesi e nigeriani, tutti con un identico curriculum. «Profughi in fuga dall' inferno», si sono dichiarati davanti alle autorità.
Ma l' inferno lo hanno portato loro a casa nostra. Secondo gli accertamenti medici, Desirée è stata prima drogata con un mix di stupefacenti che l' hanno trasformata in un corpo inanimato e poi è stata violentata per ore. Dodici ore secondo le prime ricostruzioni.
Dodici lunghe ore in cui lei, una bambina, è stata nelle mani dei suoi torturatori. Senza alcuna pietà, mentre lei era probabilmente già in overdose, loro abusavano di lei. Desirée piano piano moriva e loro la stupravano. Uno, due, tre, quattro: gli inquirenti fanno capire che i violentatori potrebbero essere stati anche sette.
O per lo meno si cercano sette persone. Un gruppo, un branco di spacciatori intorno a quel corpo. Un essere umano da usare
senza riguardo.
Desirée ha avuto il solo torto di entrare in quello stabile, alla ricerca di un telefono o di una dose.
Ma la colpa vera ce l' ha chi ha consentito che decine, se non centinaia, di spregevoli delinquenti approfittino del permesso per motivi umanitari per essere accolti in Italia.
Ma la colpa vera ce l' ha chi ha consentito che decine, se non centinaia, di spregevoli delinquenti approfittino del permesso per motivi umanitari per essere accolti in Italia.
La storia dei violentatori e spacciatori che hanno lasciato morire la ragazzina di Cisterna di Latina è uguale a quella dell' assassino di Pamela Mastropietro, la diciottenne fatta a pezzi a Macerata e il cui corpo è stato sezionato è infilato in due trolley.
Anche Innocent Oseghale era un pusher, anche lui ha violentato Pamela mentre la giovane stava morendo e anche lui, come gli africani fermati ieri, aveva ottenuto un permesso per motivi umanitari.
Tutti profughi, tutti in fuga dalla violenza. Ma poi, una volta qui, queste cosiddette vittime, la violenza la usano contro le persone più indifese. Ricordate i due ragazzi polacchi che una sera d' estate passeggiavano sulla spiaggia di Rimini? Hanno avuto la sfortuna di incontrare un profugo e la sua banda.
Lui, il ragazzo, è stato picchiato selvaggiamente. Lei, la ragazza, è stata violentata brutalmente fino al punto che i medici hanno dovuto asportarle l' utero. Il capo del branco era Guerlin Butungu, un congolese in Italia con il permesso per motivi umanitari.
Dopo essere sbarcato a Lampedusa, la Croce rossa e i volontari delle associazioni pro migranti lo avevano rifocillato e rivestito. E lui aveva trovato il modo per spassarsela in Riviera. Una vita da balordo, alla ricerca di soldi facili e di donne da usare. La ragazza polacca, venendo in Italia, probabilmente non immaginava quanto fosse facile incappare in delinquenti in libertà come Butungu.
Così come non lo sapeva l' insegnante in vacanza che poche settimane fa, vicino al Verano, in un angolo non molto distante dal luogo in cui è stata trovata morta Desirée, è stata trascinata in pieno giorno dietro una macchina e violentata da uno straniero. Forse un clandestino oppure un immigrato con il permesso umanitario: di certo un profugo.
Questo giornale, quando a Rimini ci fu la violenza bestiale che ha segnato per sempre la vita della giovane turista polacca, si fece interprete di una campagna per l' abolizione dei permessi umanitari intermedi, quelli cioè non motivati dalla fuga dalle guerre e dalla persecuzioni. Arrivando nel nostro da Paesi in cui non si combatte e non si è discriminati, a volte i richiedenti asilo si inventano per ottenere il permesso i motivi più assurdi, come la lite con i parenti.
Non vogliono un lavoro. Vogliono fare ciò che probabilmente facevano prima, ossia i delinquenti, ma senza rischiare le pene che rischiavano prima. Per loro il permesso umanitario è una licenza di spacciare, rubare, violentare. Un salvacondotto per l' impunità.
Perché da noi se spacci, rubi e violenti, l' impunità è garantita. Non rischi la pelle, il carcere duro, i lavori forzati: male che ti vada fai qualche anno dietro alle sbarre, con un tetto, un pasto caldo e le cure garantite. Poi sei di nuovo libero, pronto per tornare a delinquere. Altro che permesso umanitario, quello a cui ambiscono certi profughi è il permesso alla disumanità. Purtroppo Desirée lo ha imparato a sue spese. I politici italiani ancora no.
Fonte: qui
LE 12 ORE DI AGONIA DI DESIRÉE
LE TESTIMONIANZE NEL VERBALE CHOC DELLA PROCURA DI ROMA: I SUOI AGUZZINI L’HANNO VIOLENTATA “PER DIVERTIMENTO DOPO AVER ASSUNTO EROINA"
LE HANNO SOMMINISTRATO "ACQUA E ZUCCHERO PRIMA DI LASCIARLA MORIRE SU UN DIVANO"
UNO DEI FERMATI SI FACEVA CHIAMARE “PAKO” E DICE DI AVER AVUTO UNA STORIA CON LA RAGAZZA
«ACQUA E ZUCCHERO MENTRE MORIVA TRA GLI STUPRATORI C' ERA IL FIDANZATO»
Michela Allegri e Alessia Marani per “il Messaggero”
L' unico tentativo che hanno fatto per salvarle la vita, è stato somministrale «acqua e zucchero, poi quando hanno visto che stava diventando cianotica la hanno messa su un divano, dopodiché moriva». Il racconto choc fatto da una delle persone presenti all' interno dello stabile abbandonato di via dei Lucani, a San Lorenzo, è riportato nel decreto con cui la procura di Roma ha disposto il fermo di tre immigrati, accusati di omicidio e violenza sessuale di gruppo per la morte di Desirée Mariottini.
Altri dettagli li fornisce Noemi C., ascoltata in Questura dagli agenti della Squadra Mobile il 24 ottobre: «È stata violentata per divertimento da quattro adulti dopo avere assunto eroina». Ha fatto i nomi di due di loro: «Pako e Ibrahim».
Pako è Mamadou Gara, 27 anni, il primo a essere fermato, tre giorni fa. Agli agenti che lo ammanettavano avrebbe fatto alcune parziali ammissioni. Un tentativo di ritagliarsi un ruolo marginale nella vicenda: «Conoscevo Desirée, avevamo una storia, mi aveva detto di essere più grande, di avere 22 anni». E ancora: «Sì, abbiamo avuto un rapporto sessuale, ma non l' ho stuprata. Quando sono andato via era ancora viva».
Le stesse parole le potrebbe ripetere nel corso dell' interrogatorio di garanzia questa mattina, se deciderà di rispondere. È il teste Leo D. a fare le dichiarazioni più pesanti: «Un giovane africano mi ha confidato che lui si trovava dentro al capannone... avrebbe visto Desirée deceduta con gli abiti strappati. Mi diceva che alla sua presenza la giovane si è sentita male, quindi le hanno dato acqua e zucchero poi, visto che diventava cianotica, veniva adagiata su un divano e dopo moriva».
Un altro dei presenti ha detto agli inquirenti di essere entrato «all' interno dello stabile, ho sentito una ragazza che piangeva e urlava frasi come: Voi l' avete uccisa, voi l' avete violentata e si rivolgeva a tre uomini chiamandoli per nome: Pako, Sisko e Ibrahim». Ha anche detto di avere visto una ragazza che «sembrava dormire» su un piccolo letto, semicoperta «alla presenza di 5 o 8 persone di varia nazionalità oltre ai tre già detti».
Altri testi hanno raccontato che Desirée aveva con Ibrahim - che sarebbe Bian Minteh - «un rapporto di frequentazione intima». Andava quasi tutti i giorni nello stabile abbandonato, si prostituiva in cambio di stupefacenti. Fondamentale la dichiarazione di un ragazzo che ha raccontato che gli indagati, quando la ragazzina stava morendo, «con molta fretta andavano via. Pako portava una borsa in spalla, uno degli altri aveva con sé una valigia». Sul cadavere della ragazza il medico legale ha trovato anche un segno compatibile con una bruciatura di sigaretta ma forse precedente.
VIOLENZA
I pm non hanno dubbi. Nel decreto scrivono che Desirée sarebbe stata «prima drogata e poi sottoposta a ripetuti rapporti non consenzienti», come provato anche da «varie lesioni riscontrate sul corpo e sulle parti intime». Dodici ore di agonia, per l' accusa, e lo stupro avvenuto mentre i suoi aguzzini le aveano immobilizzato «le braccia e le gambe». Gli indagati avrebbero «anche impedito il soccorso della ragazza ad altre persone presenti, cagionandone così la morte».
Le modalità del delitto sono «efferate». La misura cautelare viene chiesta anche perché «è concreto il pericolo di fuga, considerato che si tratta di cittadini stranieri irregolari, privi di dimora e di mezzi di sostentamento». D' altronde, sottolineano sempre i magistrati, i fermati si erano già allontanati «facendo perdere immediatamente le proprie tracce». Come aveva provato a fare Yusif Salia, fermato ieri a Foggia. Nel decreto si legge che un testimone ha raccontato di averlo visto la sera dell' omicidio «consumare un rapporto con la ragazza» e di averla poi vista «sdraiata, seminuda e incosciente».
Il branco è accusato di avere drogato, violentato e lasciato agonizzante la sedicenne di Cisterna di Latina, trovata morta nella notte tra giovedì e venerdì della scorsa settimana. Oltre a Pako, anche un altro degli stranieri, accusato degli stessi reati, avrebbe ammesso: «Siamo stati insieme, ma nessuna violenza». Oggi per i primi tre indagati è il giorno dell' interrogatorio di garanzia a Regina Coeli.
LO STABILE ABBANDONATO
Tutti i testi ascoltati hanno parlato del covo di via dei Lucani come di una sorta di comune, dove pusher e sbandati andavano «per farsi di droga», tra materassi sudici e tavolinetti di plastica usati come base per preparare le dosi: eroina, crack e metadone. Alcuni sono più confusi, altri sembrano molto precisi. Tutti non hanno dubbi: i quattro erano dei violenti, aggressivi anche con altre persone. L' amica con cui Desirée aveva trascorso gli ultimi due giorni a San Lorenzo, Antonella, ha un solo cruccio: «Le avevo detto di venire a casa mia, ma lei ha risposto che voleva rimanere lì. Mi aveva fatto arrabbiare e me ne sono andata.
Erano le 23,30, era ancora viva».
DESIRÉE, FERMATO IL QUARTO UOMO CACCIA AD ALTRI DUE `
Camilla Mozzetti per “il Messaggero”
Quando ha capito che gli agenti della Squadra Mobile lo avevano individuato, è scappato da Roma arrivando in Puglia. Stava meditando di fuggire all' estero e per il momento si era nascosto nella baraccopoli abusiva che circonda il Cara di Borgo Mezzanone, in provincia di Foggia. Ma la sua latitanza è durata poco: è stato arrestato ieri il quarto componente del branco che avrebbe drogato, stuprato e ucciso Desirée Mariottini, la ragazza di soli 16 anni, dentro uno stabile abbandonato in via dei Lucani nel centrale quartiere San Lorenzo.
L' uomo è originario del Ghana, il suo permesso di soggiorno è scaduto nel 2014. Si chiama Yusif Salia, ha 32 anni. Ma le indagini non sono ancora finite. Si sospetta che possano essere coinvolte altre due persone. Un testimone, infatti, ha raccontato al procuratore aggiunto, Maria Monteleone, e al pm, Stefano Pizza, di aver visto Desirée circondata da sette-otto uomini la notte dell' omicidio. La polizia scientifica ieri è tornata nel palazzo dell' orrore in via dei Lucani.
Il sopralluogo è durato all' incirca cinque ore da mezzogiorno al primo pomeriggio e al termine gli agenti hanno portato via numerosi reperti, tra cui coperte, flaconi e indumenti, campionando cicche, impronte e tracce biologiche. Per quanto riguarda, invece, la cattura del quarto uomo, all' interno della baracca in cui Salia si nascondeva, gli agenti hanno trovato una pistola giocattolo, 11 chili di marijuana, 194 grammi di hashish, due buste di resina, 4 dosi di metadone e un bilancino di precisione.
Salia è un altro fantasma irregolare sul territorio italiano, così come gli altri tre immigrati fermati due giorni fa, i senegalesi Mamadou Gara e Brian Minteh e il nigeriano Chima Alinno. L' accusa per tutti i componenti del branco è omicidio e violenza sessuale di gruppo. Reati pluriaggravati. Per gli inquirenti che li hanno identificati soprattutto grazie alle dichiarazioni dei testimoni oculari e ai confronti fotografici gli indagati avrebbero stordito la ragazzina con un mix di sostanze letali (non è da escludere che le droghe le avesse fornite proprio Salia considerato l' ingente quantitativo rinvenuto in suo possesso dalla polizia), consapevoli che quel cocktail di droghe e tranquillanti la avrebbe potuta uccidere.
Poi, avrebbero abusato di lei a turno, con violenza. E l' avrebbero lasciata morire, agonizzante, in un letto sudicio all' interno dello stabile abbandonato. Questa mattina, gli altri tre fermati verranno interrogati dal gip Maria Paola Tomaselli, che deciderà se convalidare o meno il fermo disposto dai pm e se disporre la custodia cautelare. Sono tutti e tre detenuti a Regina Coeli.
Yusif Salia, invece, si trova nel carcere di Foggia.
IL CELLULARE
La polizia lo ha localizzato seguendo le celle telefoniche agganciate dal suo cellulare e lo ha bloccato in una delle baracche che si trovano lungo la cosiddetta «pista» della baraccopoli abusiva che circonda il Cara. Un luogo di nessuno, soprannominato «Ghetto Ghana», già salito agli onori delle cronache perché, all' inizio di ottobre, alcuni agenti di polizia intervenuti vennero selvaggiamente picchiati. Salia aveva provato a camuffarsi per non essere riconosciuto.
Si era anche tagliato i capelli. Ha cercato in ogni modo di opporsi all' arresto, chiudendosi all' interno della baracca. Il blitz degli agenti della Squadra Mobile di Roma diretti da Luigi Silipo insieme ai colleghi di Foggia e del commissariato San Lorenzo è scattato nel primo pomeriggio. Gli agenti hanno sfondato la porta e lo hanno ammanettato, ma l' uomo ha provato anche a fornire false generalità spacciandosi per un' altra persona.
Salia, oltre al fermo in concorso con gli altri tre uomini per l' omicidio di Desirée è stato arrestato su disposizione del pm di Foggia anche per detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti. Gli inquirenti stanno ora cercando, battendo gli ambienti frequentati dall' uomo anche a Roma, altre persone che possano averlo aiutato e sostenuto tecnicamente nella fuga in Puglia.
LA REAZIONE
A pochi minuti dalla cattura, sono arrivate le prime reazioni. Su Twitter il ministro dell' Interno, Matteo Salvini, ha commentato: «Catturato a Foggia il quarto verme che avrebbe stuprato e portato alla morte Desirée. Si tratta (guarda caso) di un immigrato clandestino. Per lui, come per gli altri tre, carcere duro e a casa! Ringrazio la procura e le forze dell' ordine per la rapidità e l' efficacia». Yusif Salia aveva un permesso di soggiorno per motivi umanitari scaduto da quasi 5 anni. Gli era stato, infatti, rilasciato un titolo di soggiorno dalla questura di Napoli il 15 dicembre del 2012, scaduto poi a gennaio 2014. Il 27 marzo scorso l' uomo era stato accompagnato dalla polizia all' ufficio immigrazione di Roma per essere identificato e in quell' occasione era stato invitato ad andare alla questura di Napoli per regolarizzare la sua posizione.
TUTTI SAPEVANO, NESSUNO HA FATTO NIENTE
LA MORTE DI DESIRÉE HA SVELATO COS’È DIVENTATA ROMA: UNA CITTÀ ABBANDONATA IN BALIA DELLA VIOLENZA
LA SOLITUDINE DI VIRGINIA: TUTTI CONTRO IL SINDACO NELLA CAPITALE CHE AFFONDA
Francesca Angeli per “il Giornale”
Piovono pietre sul Campidoglio. La morte crudele di Desirée ha scoperchiato il vaso di Pandora e quello che a dispetto dell' evidenza e del buon senso era negato è diventato incontestabile. Roma è apparsa quale è: sprofondata nel degrado, nell' indifferenza. Una città abbandonata in balia della violenza. E davvero adesso la poltrona del sindaco Virginia Raggi traballa anche in vista della sentenza del processo Marra.
Ieri sera il sindaco ha annunciato via Twitter la volontà del Comune di costituirsi parte civile. Certamente nessuno pensa di addebitare soltanto o interamente alla Raggi la responsabilità dell' orribile delitto di via dei Lucani ma a denunciare l' assenza colpevole delle istituzioni e dunque anche del primo cittadino della capitale nello storico quartiere romano sono i cittadini stessi di San Lorenzo che si sentivano abbandonati da tempo, tanto che già in passato, ad esempio durante la cerimonia che ricordava il bombardamento del '43, avevano contestato la Raggi.
E adesso è la presidente del II Municipio, quello di San Lorenzo appunto, Francesca del Bello, a confessare che sente «sulla propria coscienza» la perdita della vita di questa ragazza ma allo stesso tempo denuncia che da mesi chiedeva interventi per riportare la legalità in quell' area del quartiere.
Ci sono verbali, denunce, rapporti dell' Osservatorio sulla sicurezza che parlano di una situazione di totale illegalità che costringe gli abitanti della zona ad una sorta di coprifuoco serale perché quell' area diventa dominio degli spacciatori e dei loro clienti. Un documento che risale al maggio scorso rivolto al Prefetto (e dunque anche al Viminale) chiede l' apertura di un tavolo per «pianificare la bonifica» dell' edificio occupato in via dei Lucani a causa della grave situazione di degrado.
Ma allarmi e richieste di aiuto sono rimasti inascoltati, con le forze dell' ordine che lamentano mancanza di uomini e leggi che non permettono di procedere in modo drastico. Tra i primi a mettere sul banco degli imputati la sindaca Raggi anche il ministro dell' Interno, Matteo Salvini che subito dopo la scoperta del delitto aveva commentato: «dalla Raggi mi aspettavo di più, non possono esserci buchi neri in una città come Roma».
Anche ieri Salvini è tornato a stigmatizzare le troppe zone franche della capitale. Il vicepremier parla di «un' eredità pesante» costituita da «quasi cento palazzi occupati nel cuore di Roma». Il ministro dell' Interno promette di intervenire subito in modo drastico: «Ho chiesto e ho ottenuto un elenco di priorità di sgombero, quindi finalmente ci sono nomi, cognomi, indirizzi e date: ripristineremo via per via e quartiere per quartiere, col tempo che ci vorrà, la legalità». Salvini stesso aggiunge che certo nessuna di queste iniziative potrà riportare in vita Desirée.
Ma «l' importante è che i vermi che si sono resi colpevoli di questa bestialità paghino in cella fino all' ultimo». Salvini punta il dito contro le attuali «normative su droga e spaccio» che «legano le mani sia alle forze dell' ordine che ai giudici, perché spesso lo stesso spacciatore di San Lorenzo te lo ritrovi sulla stessa via due ore dopo».
Il leader del Carroccio quindi pensa ad un giro di vite. Sullo spaccio: «vedremo di avere pene più serie». E anche sulla violenza: «fosse per me castrazione chimica per gli stupratori».
Soltanto i Cinquestelle provano a difendere il loro sindaco. Luigi Di Maio chiede di dare alla Raggi «poteri speciali» ma viene messo a tacere da Stefano Pedica del Pd. «Di Maio si aggiorni -dice Pedica- Possibile che gli sia sfuggito che il sindaco della capitale ha competenze specifiche sulla sicurezza?».
RAGGI, L' ANSIA DEI CONSIGLIERI: LA SENTENZA NON PUÒ FERMARCI
Stefania Piras per “il Messaggero”
Duemilaventuno. L' orizzonte di fine mandato per i consiglieri capitolini è quello. Non ci pensano a lasciare il lavoro a metà. Neppure in caso di condanna di primo grado della sindaca. La maggioranza fa quadrato attorno alla prima cittadina e non ha preso benissimo la scacco matto della Procura, ovvero la richiesta di ascoltare come teste l' ex capo di gabinetto del Comune, Carla Romana Raineri.
LO SCACCO MATTO
«Ma che mi rappresenta ascoltare una che all' epoca dei fatti nemmeno c' era?», ringhia un consigliere. Un' altra fonte amministrativa vicina alla sindaca dice: «Il reato se c' è è stato commesso quando la Raineri non c' era più da mesi, è come dire a uno se ha visto un incidente passando sulla stessa strada mesi dopo».
Ma l' andamento del processo è fondamentale ed è seguito con attenzione scrupolosa dall' avvocato Andrea Ciannavei che tutela il logo M5S per conto di Beppe Grillo. Ieri era in tribunale a seguire l' audizione di Raggi. In caso di condanna infatti il codice etico imporrebbe le dimissioni.
«Ma una condanna non può fermarci, il codice etico è troppo restrittivo, ora stiamo iniziando a divertirci e a raccogliere i frutti della semina», dice Pietro Calabrese che propone di far decadere la prima cittadina solo in presenza di condanna definitiva per reati non colposi e con pene superiori ai 10 mesi, come prevedeva la campagna Parlamento pulito lanciata nel 2007. «Si deve andare avanti», gli fa eco la battagliera Agnese Catini.
Anche per Andrea Coia «si deve andare avanti al netto di tutto perché stiamo facendo un lavoro importante». «Speriamo di poter proseguire questa esperienza, sarebbe un peccato dover andare via dopo tutto», dice la consigliera Eleonora Guadagno sfiorando il pancione. Angelo Sturni illustra in aula il documento di programmazione dell' amministrazione: «Sono le linee del M5S», ripete scandendo i progetti del trienno 2019-2021. Perché fin lì vogliono arrivare i consiglieri.
Il capogruppo Giuliano Pacetti scaccia via ogni ipotesi di condanna: «Pensiamo alle cose importanti, non si amministra con i se, e noi vogliamo andare avanti con convinzione». Ecco perché quando a Palazzo Senatorio si materializzano i deputati Francesco Silvestri e Angela Salafia per affrontare il caso Roma, il primo è l' emissario di Luigi Di Maio, la seconda è la capogruppo M5S in commissione Giustizia «arrivata per fare consulenza sull' Anticorruzione» c' è la processione alla buvette del Campidoglio per salutarli. I consiglieri capitolini guardano i parlamentari romani con occhi imploranti: «Non può finire così», anche perché si sentono ancora parte del M5S: «Il decreto sicurezza lo cambiate vero?».
IL SIMBOLO
E così tra le tante ipotesi in campo c' è quella di colpire con la sospensione solo la sindaca se non si dimette e non toccare i consiglieri che manterrebbero intatto il simbolo. «Perché colpire chi non c' entra nulla?», ragiona Silvestri che però esclude categoricamente un rimaneggiamento del codice: «Incrociamo tutti le dita perché venga assolta ma il regolamento non ammette deroghe». E il Campidoglio è ormai percorso dai venti uguali e contrari della campagna elettorale.
La Lega sui social è già molto attiva e gli account municipali fanno campagna contro Raggi. In caso di condanna però Politi non chiederà un passo indietro. Ieri in segno di pace ha anche ritirato la mozione pro vita. E poi, presto a Roma, in Campidoglio, presenterà il suo Movimento Italia in Comune l' ex M5S Federico Pizzarotti, accompagnato dall' ex assessore Paolo Berdini.
SFIDA SUI POTERI A ROMA SALVINI FRENA DI MAIO
Simone Canettieri per “il Messaggero”
In casa Lega nessuno lo ha visto, l' emendamento al dl sicurezza che conferirà più poteri a Roma Capitale e dunque a Virginia Raggi. Ad annunciarlo è stato ieri l' altro il vicepremier del M5S Luigi Di Maio. Con queste parole: «Come governo inseriremo un emendamento per iniziare ad ampliare i poteri di Roma Capitale e del suo sindaco per iniziare da subito a governare la città come i sindaci di tutte le capitali europee ed entro fine anno completeremo gli obbiettivi fissati nel contratto di governo».
L' altra metà del cielo del governo gialloverde, Matteo Salvini, a questo proposito ieri è stato abbastanza sbrigativo: «Leggerò uno per uno tutti gli emendamenti sperando che ce ne siano di interessanti e accoglibili. Prima li leggo, poi esprimerò un giudizio». Non una frase di più.
Né una bocciatura né una promozione. Non è un mistero che sul decreto sicurezza si stia consumando una tensione tra gli alleati. Con un fronda grillina pronta a non ritirare una serie di emendamenti. Proprio per questo motivo c' è stato un faccia a faccia tra il premier Giuseppe Conte e il senatore M5S Gregorio De, alla guida dell' ala dei dissidenti pentastellati.
Non è escluso dunque che Roma rientri in una sorta di trattativa: i grillini si ammorbidiscono sui migranti, i leghisti lasciano passare norme sull' Urbe. Ma meglio restare ai fatti. Sempre ieri la sindaca Raggi non ha commentato nel merito questa vicenda.
E in Campidoglio ancora non ne sapevano nulla su «cosa» e «come» inciderà il dl sicurezza nella gestione romana dei mille fronti aperti. Anzi, da quando c' è stato l' annuncio di Di Maio si è registrata se non il gelo una sorta di curiosità generale sul provvedimento.
Per quanto riguarda gli sgomberi dei palazzi occupati, la legge Molteni-Salvini già prevede maggiore discrezionalità per i sindaci. Di Maio, a tal proposito, sempre l' altro giorno ha fatto questo esempio: «Se c' è un immobile occupato in pieno centro, il sindaco deve poter intervenire di sua iniziativa per sgomberarlo e ripristinare la legalità».
Un' eventualità che è già contenuta nel pacchetto di norme in corso di approvazione dal Senato. C' è poi un altro aspetto, legato per esempio a maggiori poteri di polizia per i vigili urbani. Ragionavano ieri in casa leghista: «Giusto, sacrosanto, è da sempre una nostra battaglia, ma perché a Roma sì e alle altre città metropolitane, come Milano, no?».
Ieri una delegazione di parlamentari M5S è stata avvistata in Campidoglio: cercavano la sindaca per fare il punto sul provvedimento, ma per via degli impegni della prima cittadina il contatto non c' è stato, o meglio non è stato approfondito. Ecco, perché la prima bozza da Palazzo Chigi verso Palazzo Senatorio è attesa per oggi. E si inizierà a lavorare su questa. In molti nella maggioranza di governo escludono però più fondi per l' amministrazione.
Si tratterebbe, semmai, di sciogliere alcune norme che al momento legano le mani a chi guida la Capitale d' Italia. «Se ci sono situazioni critiche da gestire non deve chiedere a cento enti l' autorizzazione», è la linea di Di Maio. Di pari passo con questo emendamento c' è - e farte del contratto - la riforma per dare più poteri e risorse a Roma in maniera strutturale.
Su questo tema la maggioranza gialloverde si è già espressa nelle settimane scorse approvando alla Camera un emendamento presentato dal deputato M5S Francesco Silvestri. Una serie di buone intenzioni, tra poco però si farà sul serio: serviranno i fatti, già a partire dalla prossima settimana, quando il dl andrà in Senato.
RAGGI AI GIUDICI: «SONO STATA SOLO IO A SCEGLIERE MARRA»
Fiorenza Sarzanini per il “Corriere della Sera”
«Nella nomina di suo fratello, Raffaele Marra ebbe un ruolo esclusivamente compilativo. Ho davvero fatto tutto da sola»: sul banco degli imputati Virginia Raggi ripete quello che ha sempre sostenuto. Nega di aver raccontato il falso nella lettera inviata all' Anticorruzione del Campidoglio che le chiedeva chiarimenti sulla scelta di Renato Marra a capo del dipartimento Turismo dove sosteneva appunto di aver agito «in piena autonomia».
Nega soprattutto di essere stata informata che proprio Raffaele Marra avesse brigato per la designazione. Ma per smentire che l' allora capo del Personale avesse un ruolo marginale i magistrati dell' accusa sferrano un colpo a sorpresa e chiedono di interrogare in aula Francesca Romana Raineri, il capo di Gabinetto che si dimise insieme all' allora assessore al Bilancio Marcello Minenna proprio per denunciare «lo strapotere di Marra che agisce come sindaco ombra».
Richiesta accolta: Raineri sarà sentita il 9 novembre, alla vigilia della sentenza. E in quella sede i pubblici ministeri Paolo Ielo e Francesco dall' Olio cercheranno di dimostrare che in realtà era stato proprio Marra a fare tutto. Del resto in aula è la stessa Raggi - forse non rendendosi conto dell' effetto che le sue parole possono avere - ad ammettere: «Ero stata da tre mesi. Ero più avvocato che sindaco e dunque mi affidavo».
Sono state le chat con Raffaele Marra, Salvatore Romeo e Daniele Frongia a svelare l' ira della sindaca dopo aver scoperto «leggendo i giornali» che Renato Marra avrebbe avuto un notevole guadagno e uno scatto di fascia grazie a quella nomina. E in questo modo è stata avvalorata la tesi che la designazione fosse stata fatta proprio dal fratello incurante del conflitto di interessi. E invece in aula Raggi arriva quasi a negare l' evidenza.
«Non avevo guardato il prospetto che riguardava il passaggio di fascia di Marra senior e non ho visto l' email in cui Meloni ringraziava Raffaele Marra per avere suggerito il nome del fratello a capo del Turismo. La posta viene smistata e quel messaggio mi era stato inviato per conoscenza».
Parla di Raffaele De Santis - da lei delegato alla gestione del personale - come «uno dei collaboratori di cui mi fidavo». E subito dopo dice: «Non sapevo che Raffaele Marra avesse proposto la candidatura di suo fratello e che ci fosse stata un riunione tra l' assessore Adriano Meloni, il delegato al personale Antonio De Santis e lo stesso Marra, alla vigilia della scadenza dell' interpello».
La sindaca appare poco convincente anche quando ricostruisce le modalità per rispondere ai rilievi dell' Anticorruzione. Spiega di non aver svolto verifiche «visto che non sono un pm. E in ogni caso se c' era un' indagine non ne potevo parlare in giro anche se capivo che qualcosa mi era sfuggito». Dice che per rispondere ai rilievi dell' Anac «preparai la lettera ma ci misi due giorni. Buttai giù qualcosa, la diedi alla segreteria, feci correzioni».
Conferma però che Marra «era un grande esperto di macchina amministrativa, fu lui a preparare il prospetto per le nomine e si mise al lavoro già in campagna elettorale». Racconta che «ci vedevamo spesso anche con gli altri», ma «dopo gli articoli di giornale di settembre-ottobre che lo dipingevano come l' uomo nero, feci qualche passo indietro. Quando gli articoli cominciarono a farsi più precisi chiesi chiarimenti a Marra. Lui portò dei documenti con i quali si difendeva, ma il seme del dubbio c' era».
Anche perché - ricorda - «i consiglieri del Movimento mi incalzavano per mandarlo via». Lei ha resistito fino al giorno del suo arresto per corruzione. Poi, pubblicamente, lo ha definito «uno dei tanti dipendenti del Campidoglio».
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