ANCHE SE THERESA RIMANESSE, FAR DIGERIRE LA “SOFT BREXIT” A BRUXELLES SARÀ IMPOSSIBILE
E ANDARE ALLE URNE SENZA UN ACCORDO PORTEREBBE AL CAOS FINANZIARIO…
THERESA MESSA ALLE CORDE E BRUXELLES NON LA SALVERÀ
Francesco Guerrera per “la Stampa”
La Brexit ha spinto la Gran Bretagna al centro di una bufera molto «italiana»: un primo ministro che vacilla, nel mirino del proprio partito più che dell' opposizione, con un governo alle corde e una credibilità internazionale a brandelli.
«Tutte cose in cui l' Italia è leader mondiale», mi ha detto un capitano d' industria britannico che si stava strappando gli ultimi capelli dopo l' ennesimo tentativo di suicidio politico della premier Theresa May.
Ricapitoliamo. La May ha iniziato il weekend sulla cresta di un venerdì trionfale in cui sembrava aver imposto agli euroscettici del suo partito l' idea di una «soft Brexit» - un divorzio morbido dall' Unione Europea. «Il primo ministro ha fatto un colpo fantastico» strillava il titolo del «Financial Times», organo normalmente sobrio su tali questioni.
Sono bastate 48 ore per trasformare il «colpo fantastico» in «autogol clamoroso».
Due giorni prima che le forze ataviche dell' anti-europeismo cominciassero a dilaniare il partito conservatore, come fanno ormai da decenni.
Il primo ad abbandonare il veliero traballante della May è stato David Davis, ministro per la Brexit e veterana testa calda dell' euroscetticismo.
Davis si è dimesso domenica notte sostenendo che l' approccio soft della May era una presa in giro della volontà popolare pro-Brexit. L' uscita di Davis era mossa prevista ma il «Grande Strappo» è arrivato ieri pomeriggio quando l' istrionico ministro degli Esteri Boris Johnson ha annunciato le dimissioni.
Fino a quel momento, Johnson, biondo, rotondo e un po' volgare, era stato una figura tragicomica, a metà tra il giullare di corte e lo studente monello. Fu lui venerdì sera a dire, con stile non proprio anglosassone, che difendere il piano-Brexit della May era come «lucidare un pezzo di cacca».
Per mesi, la May aveva tollerato attacchi come questi per perpetrare un atto di equilibrismo politico: tenersi vicina uno dei suoi più accaniti nemici. Non più. La decisione di lasciare uno dei ministeri più prestigiosi di Westminster ha trasformato Johnson nel leader degli euroscettici.
Cosa succederà adesso?
Dopo mesi di negoziati con l' Europa, guerre fratricide tra conservatori e tentennamenti della May, le scelte sono tutte binarie. Sul fronte interno, c' è la possibilità che la May debba affrontare un voto di sfiducia da parte del proprio partito.
Successe a Margaret Thatcher nel 1990 e, come la sua illustre predecessora, la May potrebbe vincere il voto ma essere costretta ad andarsene se la maggioranza non fosse considerata ampia.
La caduta della premier porterebbe quasi certamente a elezioni in cui i laburisti/populisti di Jeremy Corbyn farebbero molto bene. Andare alle urne renderebbe impossibile un accordo con l' Ue sulla Brexit prima della scadenza di aprile del 2019, creando un enorme caos economico-finanziario. Il crollo della sterlina di ieri è solo il trailer del film dell' orrore della Brexit senza accordo.
L' alternativa è esattamente il contrario: una May che esce rafforzata dagli ultimi travagli e che finalmente governa come vuole. In questo caso, la partita più importante si giocherebbe a Bruxelles e nelle capitali europee.
Al momento, la Commissione europea non ha alcuna intenzione di accettare il compromesso della May. I burocrati europei deridono il piano britannico come «Brexit a buffet» perché permette al Regno Unito di scegliere le regole che vuole seguire e le merci e servizi che vuole esportare all' Ue.
Anche se la May rimane in sella, sarà difficile persuadere Bruxelles a firmare il trattato scritto dai britannici. Le fonti di Downing Street rispondono che la decisione verrà presa non dalla Commissione ma da Berlino, Parigi, Roma e le altri capitali.
Secondo i diplomatici britannici, il governo di Sua Maestà sarà in grado di sfruttare le tante, troppe, divisioni dell' Ue a proprio favore. Ma non siamo vicini al momento della verità. Per il momento, il Regno Unito deve cercare di rimanere unito dietro ad un primo ministro che non è amato nemmeno dai suoi compagni di partito.
Erano in molti, ieri nelle stanze dei bottoni di Londra, a condividere l' amarezza di Carl Bildt, ex-primo ministro svedese e diplomatico di rango: «Questo era un Paese che guidava il mondo. Ora non sa nemmeno guidare se stesso».
JOHNSON, ADDIO AL VELENO "LA BREXIT STA MORENDO" ORA VACILLA IL GOVERNO MAY
Alessandra Rizzo per “la Stampa”
Un terremoto nel governo britannico: nel giro di 24 ore si sono dimessi il ministro per la Brexit David Davis e quello degli Esteri Boris Johnson, peso massimo dei Conservatori e volto della campagna per lasciare l' Unione europea.
Una vera e propria ribellione contro la linea morbida imposta da Theresa May nelle trattative per la Brexit che non solo getta nel caos la strategia di Londra, ma minaccia la sopravvivenza stessa della premier. «Il sogno della Brexit sta morendo, soffocato da incertezze inutili», ha scritto Johnson nella sua lettera di dimissioni.
Assedio a Downing Street
L' ala euroscettica del partito sta valutando l' ipotesi di un assalto alla leadership di May, con Johnson in prima fila per prenderne il posto.
E le opposizioni le chiedono di fare un passo indietro. «É una nave che affonda», ha detto Jeremy Corbyn, il leader the partito laburista che intravede, magari attraverso elezioni anticipate, la porta di Downing Street.
E Nigel Farage, l' ex leader dei nazionalisti Ukip e uno dei maggiori artefici del referendum sulla Brexit di due anni fa, incalza: «Adesso liberiamoci della pessima Theresa May e rimettiamo la Brexit sul binario giusto».
Il tracollo e l' arrivo di Trump
Il caos in cui è precipitato il governo arriva quando mancano tre mesi al vertice di ottobre, in cui Londra e Bruxelles dovrebbero in teoria sancire l' intesa, e meno di nove mesi alla data ufficiale della Brexit a fine marzo 2019.
Donald Trump - che anche ieri ha criticato gli alleati Nato per le spese della Difesa - è atteso nel Paese questa settimana, una visita confermata dalla Casa Bianca nonostante il clima a Westminster.
Solo venerdì scorso, May sembrava essere riuscita a ricompattare l' esecutivo intorno al suo piano per i rapporti futuri con la Ue, una «terza via» che prevede un «regolamento comune» per un' area di libero scambio per i beni industriali e il settore agricolo, con possibile supervisione almeno parziale della Corte Europea di Giustizia.
In pratica una Brexit morbida. Dopo una riunione fiume nella residenza di campagna di Chequers, il governo aveva sottoscritto il piano e May aveva imposto la «responsabilità collettiva» dei ministri. Ma sono bastate 24 ore perché la conclamata unità andasse in fumo.
La rivolta
Nella notte di domenica sono arrivate le dimissioni di Davis, l' uomo che da due anni gestisce il negoziato, e del suo vice Steve Baker. «Abbiamo concesso troppo e troppo facilmente», ha detto Davis alla Bbc.
«Ora temo che Bruxelles prenderà tutto quello che offriamo e chiederà di più, perché fa sempre così». Davis non ha nascosto il risentimento per essere stato messo sempre più da parte nella trattativa, ormai in larga parte condotta da Downing Street.
A distanza di poche ore sono arrivate le dimissioni, ben più pesanti, di Johnson, con parole durissime verso la «semi-Brexit» della May. «Ci stiamo apprestando a diventare una colonia», ha detto. La sua presa di posizione a favore dell' uscita prima del referendum del giugno 2016 era stata decisiva.
Adesso le sue dimissioni potrebbero determinare il futuro del governo, tanto più che Johnson aspira alla leadership del partito e questa potrebbe essere la sua ultima occasione.
Laburisti a Westminster
May ha rimpiazzato Davis con Dominic Raab, un altro paladino della Brexit; Raab, finora al dicastero per l' Edilizia, ha poca esperienza, ma mantiene inalterato l' equilibrio di governo tra Brexiteers e Remainers. Al posto di Johnson va Jeremy Hunt.
La premier è poi intervenuta ai Comuni per difendere, l' accordo di venerdì. In una seduta a tratti drammatica, è stata interrotta ripetutamente e attaccata da Corbyn, ma ha mantenuto il punto dicendo, «questa è una buona Brexit». Ma è sempre più in bilico.
A Westminster potrebbe essere costretta a cercare una sponda laburista facendo appello ad un' unità nazionale di cui non si vede l' ombra. L' ala euroscettica del partito sta lavorando per trovare i 48 deputati di cui ha bisogno per cercare di deporla.
May paga la storica e mai risolta spaccatura nel partito conservatore nei confronti della Ue, ma anche i suoi tentennamenti, errori e passi falsi. Finora è riuscita a sopravvivere, anche grazie ad un partito laburista che sulla Brexit manca l' affondo, ma non è detto che ci riuscirà anche stavolta. E questo è solo il fronte interno.
Fonte: qui
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