PIROSO: “MARCO TRONCHETTI PROVERA È FINITO IN UNA TRAGICOMMEDIA DAI CONTORNI SURREALI
SEI GIUDIZI SULLO STESSO FATTO: PRIMO GRADO, APPELLO, CASSAZIONE, APPELLO-BIS, CASSAZIONE-BIS, APPELLO-TER. UN RECORD.
TUTTO CIÒ PREMESSO, È ESAGERATO RITENERE CHE SI SIA IN PRESENZA DI UN CERTO QUAL ACCANIMENTO GIUDIZIARIO?’’
Mail di Antonello Piroso a Dagospia
Caro Roberto,
ricordi la cantilena del capo tribù Nino Manfredi -nel film agrodolce di Ettore Scola Riusciranno i nostri eroi a ritrovare l'amico misteriosamente scomparso in Africa?- davanti ai tentativi di Alberto Sordi di attirare la sua attenzione?
Era "Aridanga romba cojota".
Ecco, ci sarebbe da ripetere l'espressione ridendo, se non ci fosse da avvilirsi, sul secondo rinvio deciso dalla Cassazione per un terzo processo d'appello, per la stessa accusa, a carico di Marco Tronchetti Provera.
Siamo dalle parti di Franz Kafka, in una tragicommedia davvero dai contorni surreali.
Sei giudizi sullo stesso fatto: primo grado, appello, Cassazione, appello-bis, Cassazione-bis, appello-ter.
Un (poco invidiabile) record.
Facciamo un veloce ripasso delle puntate precedenti.
Tronchetti si è ritrovato impelagato per diversi anni nella magmatica vicenda dei cosiddetti "dossieraggi illegali" ai tempi in cui era dominus non solo di Pirelli ma anche di Telecom.
Su quel ginepraio sono stati istruiti procedimenti da cui è uscito immacolato, perchè in essi non è mai entrato: cioè, non è mai stato processualmente coinvolto.
Solo un'accusa, alla fine, gli è rimasta sul groppone: quella di ricettazione.
Cuore del processo: un cd-rom con informazioni a danno, si badi, di Tronchetti e famiglia, raccolti dall’agenzia di investigazione Kroll, ingaggiata dai rivali brasiliani di Tronchetti per contendergli quel ricco mercato, dati però "hackerati" (cioè estorti illegalmente) dagli uomini di Giuliano Tavaroli (ex capo della security Telecom e della banda dei "furbetti della tastierina", quella sì condannata per i dossieraggi illeciti), che poi avrebbe consegnato il tutto a Tronchetti, secondo l'accusa ben consapevole di quella provenienza illecita.
Tronchetti si difende spiegando di non esserne mai stato a conoscenza, e che anzi -quando era stato avvisato che tale documentazione sarebbe arrivata- aveva disposto che fosse consegnata all'autorità giudiziaria.
Ciò nonostante, nel luglio 2013 Tronchetti rimedia una condanna a un anno e 8 mesi, per cui ricorre in appello rinunciando -attenzione- alla prescrizione: vuole soddisfazione nel merito.
E la ottiene.
Nel giugno 2015 i giudici della prima corte d'Appello di Milano infatti lo assolvono.
Ora, per carità, i gradi di giudizio in Italia sono tre, e fino a quando non sono stati esperiti tutti...già, appunto, che succede?
"Fino a quando non sono stati esperiti tutti un cittadino non può essere definito innocente" viene ormai quasi ovvio rispondere, con un'inversione della presunzione di innocenza.
Presunzione che si radica nell’articolo 27, comma 2, della Costituzione italiana, che recita testualmente:
“L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva” (e lascio volentieri ai legulei il dibattito sulla natura di tale norma, e cioè se essa inquadri non una presunzione di innocenza o di non colpevolezza, bensì un divieto di presunzione di colpevolezza). Ormai ci siamo rassegnati all'andazzo (incivile): quando si mette in moto il circo mediatico-giudiziario, il soggetto che finisce nel tritacarne è automaticamente il famoso "mostro" da sbattere in prima pagina, perchè -si sa- dove c'è fumo...
La Cassazione, investita del giudizio su ricorso dell'accusa, cosa delibera?
Annulla l'appello, che quindi deve essere celebrato nuovamente.
Motivo? Tronchetti avrà pure ordinato di portare il cd-rom ai magistrati, ma "la volontà di difendersi" è esattamente il "profitto" che integra la ricettazione, anche perchè poi una vera denuncia formale non c'è stata ma solo un "verbale di consegna" del cd-rom.
Ma la Cassazione va oltre: censura che in Appello siano state acquisite come "nuove prove" le dichiarazioni di due ex legali di Tronchetti, Francesco Chiappetta e Francesco Mucciarelli, stante che dopo la condanna in primo grado, il Tribunale aveva trasmesso gli atti alla Procura perchè i due fossero perseguiti per falsa testimonianza a favore dell'imprenditore.
Ma il 16 gennaio dell'anno scorso il gip Manuela Accurso Tagano accoglie la richiesta di archiviazione formulata dal procuratore aggiunto Giulia Perrotti per Chiappetta e Mucciarelli. In sostanza: dai legali di Tronchetti nessun falso.
A ruota, il 9 febbraio, Tronchetti è assolto.
Di nuovo.
Tutto chiaro?
Un cittadino è condannato in primo grado, ricorre in appello rinunciando alla prescrizione, viene assolto, la Cassazione dice che l'appello va rifatto, il processo viene ricelebrato, il cittadino consegue un'assoluzione-bis.
A questo punto, a 13 anni di distanza dai fatti, l'arbitro fischierebbe la fine dell'incontro, dopo i 90 minuti regolamentari (il primo grado e l'appello) e gli opinabili 30 minuti supplementari, cioè il secondo appello.
Questo, in un paese normale.
Nell'Italia sgangherata di oggi, patria del diritto ma anche del (man)rovescio, invece, si dovranno disputare altri 30 minuti.
La Cassazione ha infatti appena rinviato -per la seconda volta, dopo un nuovo ricorso del procuratore generale di Milano presentato nell'aprile 2017- Tronchetti davanti ai giudici della Corte di Appello.
Per una terzo processo sugli stessi fatti (perchè? In soldoni: sarebbe stato assolto in base a un inesistente diritto alla "legittima difesa putativa").
Tutto ciò premesso, è esagerato ritenere che si sia in presenza di un certo qual accanimento giudiziario?
Si dirà: ma la Cassazione fa un controllo di legittimità, ovvero a norma dell'art.65 dell'ordinamento giudiziario "assicura l'esatta osservanza e l'uniforme interpretazione della legge".
Quindi, in parole povere, censura una scorretta applicazione delle norme.
Nel caso poi voi siate degli specialisti del ramo, e quindi vi chiediate: "Va bene, ma così dove va a finire il cosiddetto libero convincimento del giudice?", la risposta la fornisce...la stessa Cassazione: "In tema di valutazione delle prove, nel nostro ordinamento, fondato sul principio del libero convincimento del giudice, non esiste una gerarchia di efficacia delle prove, nel senso che...esse, anche se hanno carattere indiziario, sono tutte liberamente valutabili dal giudice di merito per essere poste a fondamento del suo convincimento, del quale il giudice deve dare conto con motivazione il cui unico requisito è l’immunità da vizi logici".
Se ne deve desumere che i giudici che hanno assolto, per ben due volte, Tronchetti hanno preso decisioni con ragionamenti non esenti da vizi logici.
Sia quelli del primo appello. Sia quelli del secondo.
Ci deve essere uno strano virus, quindi, che circola in quelle aule, perchè ben due collegi giudicanti hanno dato prova di "illogicità" (e passi per il primo, ma il secondo ci sarebbe ricascato nonostante il precedente costituito dal primo rinvio della Cassazione).
Un avvocato un giorno mi ha spiegato: "Nei tribunali non importa tanto avere ragione, quanto trovare il giudice che te la dia".
Anche qui, assistiamo a una paradossale congiuntura.
Non è Tronchetti a far tesoro di tale massima, perchè -ripetiamolo- non si avvale della prescrizione, vi rinuncia espressamente, e non si difende "dai" processi bensì "nei" processi".
No: qui, sia detto con rispetto, è la Procura a correre il rischio di generare la sgradevolissima impressione di cercare, con il conforto della Cassazione, non una volta ma addirittura due, una corte -la terza della serie- che si uniformi al suo impianto accusatorio.
Al netto di ogni altra valutazione su leggi, norme, commi, procedure e interpretazioni, caro Roberto, non ti appare singolarmente inquietante tutto questo? Ciao.
Antonello Piroso
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