Pochi dubiteranno del costo salato che l’Italia ha affrontato, e soprattutto dovrà affrontare in futuro, per portare avanti la sua politica di deficit pubblico, ampliando persino i livelli rispetto a quanto concordato con i partner europei nei mesi scorsi. Senza bisogno di ricordare cose già note, basta sottolineare l’aumento dello spread, che ha eroso significativamente il valore dei nostri titoli di stato, e la capitalizzazione di borsa perduta soprattutto dal sistema bancario, che rischia di finire sotto stress. Infine, i tassi pagati alle aste sono aumentati parecchio, e quindi anche la nostra spesa per interessi è destinata a crescere. Tutto ciò a fronte di una aumentata tensione politica sia all’interno che all’esterno.
Del tutto ragionevole perciò porsi la domanda: il gioco valeva la candela? Rispondere senza venir iscritti d’ufficio a una qualunque delle fazioni che alimentano il nostro dibattito pubblico è molto difficile. Il deficit in sé è un non è né buono né cattivo se non si colloca in uno spazio e tempo precisi, e non si guarda alle condizioni dell’economia che lo fa. E soprattutto non si analizza per cosa vengono spesi i soldi. Per provare a rispondere può essere interessante leggere un intervento pubblicato da Olivier Blanchard e Jeorim Zettelmeyer che ha il pregio di mettere in evidenza il vero problema di fronte al quale l’Italia dovrà far fronte, pure al netto delle varie fibrillazioni che abbiamo vissuto e stiamo vivendo. Ossia il rischio che tutta questa fatica sia inutile. Se lo scopo del governo è dare soldi a chi ne ha bisogno – e poi si vedrà come accadrà – e pure sorvolando sull’idea di un governo elemosiniere, una manovra economica si può dire efficiente se consente di aumentare la crescita complessiva. Fare deficit per dare i soldi ai bisognosi e poi affossare l’economia non è certo un buon affare. Tantomeno per i bisognosi.
I due autori hanno svolto alcuni calcoli partendo dall’ipotesi, coerente con l’impostazione del governo, che “le espansioni fiscali generalmente espandono la produzione e le contrazioni la contraggono, anche nei paesi ad alto debito”. Questo in teoria. Perché in pratica “ci possono essere delle eccezioni e quello che sta succedendo in Italia potrebbe essere una di quelle”. Il motivo è presto detto: “L’aumento dei tassi di interesse sui debiti del governo è stato rilevante e la questione è se l’effetto diretto dell’espansione fiscale possa annullare o superare l’effetto dell’aumento dei tassi di interesse”. Il senso è chiaro: se spendo per interessi più di quello che guadagno in prodotto il deficit non solo è stato inutile, ma persino dannoso.
Le stime fatte sono molto semplici. A fronte di un deficit aggiustato per il ciclo in aumento dello 0,8% del pil si stima che lo 0,1% corrisponda a maggiore spesa per interessi. Poiché in Italia molto del debito pubblico è detenuto internamente, possiamo pure ipotizzare che la misura del deficit corrisponda a quella dell’espansione fiscale. A questo punto bisogna stimare i moltiplicatori, il bianconiglio di qualunque espansione fiscale fin dai tempi di Keynes, ossia il numero moltiplicato il quale un euro di espansione fiscale diventa prodotto. Gli autori ipotizzano un moltiplicatore intorno a uno “o anche più elevato”. “Per dare al governo il beneficio del dubbio, mettiamo che sia 1,5. Quindi 0,8 di espansione fiscale moltiplicato 1,5 darebbe un aumento del prodotto di 1,2 punti di pil.
D’altro canto però, avendo fatto espansione in deficit, devo anche tener conto dell’aumento dei costi del mio debito. Specie considerando che da aprile i rendimenti sui titoli italiani sono aumentati di 160 punti base. Il famoso spread. Quanto pesi sul prodotto un aumento dei tassi di interesse è tema alquanto dibattuto, quindi assolutamente incerto. Ma alcune stima ipotizzano che un aumento di 100 punti base sui tassi a lungo termine conducano a un calo dell’1% della domanda e del prodotto. Per l’Italia questa stima viene aggiustata allo 0,8% di prodotto in meno ogni 160 punti di aumento dei tassi. Anche il costo del denaro ha il suo moltiplicatore, che però sottrae prodotto al computo. Mettendo insieme i due dati, la crescita del prodotto provocata dall’espansione fiscale e la perdita del prodotto provocata dall’aumento dei tassi, e con la premessa che il primo è stato stimato molto generosamente e il secondo molto prudentemente, viene fuori che l’effetto globale sul pil italiano potrebbe persino essere negativo per uno 0,1%. Diciamo che se va bene è zero. Tanta fatica per nulla, insomma. E pure a caro prezzo. “Ciò significa – commentano gli autori – che l’espansione fiscale programmata probabilmente non aumenterà la crescita e potrebbe addirittura ridurla. Il deficit arriverà in misura maggiore del previsto. I sostenitori del governo saranno delusi. Il governo potrebbe raddoppiare e gli investitori potrebbero fuggire, portando a una grave crisi”.
Le conclusioni dei due autori sui rischi connessi all’espansione fiscale in presenza di debito elevato ricordano un paper pubblicato dalla Bis nel 2011, che arriva alla conclusione che “a livelli moderati il debito migliora il welfare e la crescita. Ma ad alti livelli può essere invece molto dannoso”. Capire quale sia il livello soglia è stato proprio il punto sul quale lo studio ha dedicato la sua attenzione. E per farlo ha analizzato i dati di 18 economie dell’Ocse fra il 1980 e il 2010. Il risultato non è molto incoraggiante per noi. La soglia individuata, sopra la quale il debito è un fardello, è quella dell’85% del pil, per il debito del governo. Ma il ragionamento vale anche per il debito delle imprese, per le quali la soglia è leggermente superiore, al 90%, e anche per le famiglie, per le quali rimane intorno all’85%. Tornando ai governi, quelli che stanno sopra dovrebbero sistemare la loro posizione fiscale, suggeriscono gli autori, anche perché è meglio avere spazio fiscale per sopportare eventuali shock futuri. E questo è un altro elemento di rischio anche per il nostro paese. Se dovesse arrivare una crisi, saremmo in grado di gestirla avendo sulle spalle un bilancio fiscale già sotto stress? Speriamo di non doverlo scoprire mai.
Fonte: qui
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