I TITOLI DI STATO NEI PORTAFOGLI DEGLI ISTITUTI DI CREDITO CALANO. E TE CREDO, PIÙ SALE LO SPREAD, PIÙ DIVENTANO ZAVORRA
SOLO DA LUGLIO AD AGOSTO SONO SCESI DI 9 MILIARDI…
Camilla Conti per “il Giornale”
Mentre Salvini invita gli italiani a fare incetta di Btp, le banche italiane si sono alleggerite di una parte del debito pubblico acquistato.
Tornano, infatti, a calare i titoli di Stato nei portafogli degli istituti credito. Perché più sale lo spread, più zavorrano i bilanci.
Le grandi manovre sono partite in estate: scorrendo le tabelle della Banca d' Italia relative al mese di agosto sono scesi a 364 miliardi contro i 373 miliardi di luglio quando erano saliti rispetto ai 370 di giugno.
I soli Btp sono passati ad agosto dai 265 miliardi ai 256 miliardi. Il calo arriva dopo sette mesi di rialzi.
Fra novembre e dicembre 2017 le banche avevano ridotto i titoli di Stato in portafoglio dai 336 a 323 miliardi per poi fare dietrofront e passare, a gennaio, a 334 miliardi inanellando quindi una serie di aumenti. Il livello di agosto torna così a quello del settembre 2017 (363 miliardi).
Il circolo vizioso debito-banche in Italia preoccupa anche il Fondo Monetario Internazionale che da Bali ha lanciato l' allarme su un possibile contagio per l' Eurozona. Nel Global Financial Stability Report (Gfsr), infatti, si indica il nostro Paese tra i fattori di rischio per il sistema finanziario globale, insieme alla Brexit e all' escalation delle guerre commerciali.
«In Italia le incertezze politiche hanno riportato all' attenzione il legame tra banche e debito sovrano», avverte l' FMI, sottolineando la necessità di trovare un compromesso che possa essere giudicato sostenibile dai mercati. «I recenti avvenimenti in Italia suggeriscono che il vincolo fra banche e debito sovrano rimane un importante canale di trasmissione del rischio», allertano gli economisti del Fondo guidato da Christine Lagarde, segnalando come la presenza nei bilanci delle banche di ingenti quantitativi di bond emessi da Paesi fortemente indebitati rappresenti «una potenziale vulnerabilità».
E in tale scenario, «le tensioni di mercato potrebbero diffondersi ad altri mercati dei titoli di stato in Europa, come accaduto nella crisi dell' area dell' euro e, in misura limitata, a maggio» scorso, rimarca l' FMI. La cui ricetta resta quella di costruire «cuscinetti di bilancio» durante la fase espansiva.
Nel frattempo, lo spread ieri si è assestato a quota 296 punti mentre nell' asta di ieri del Tesoro è volato il tasso dei Bot a un anno. Via XX Settembre ha venduto 6 miliardi di euro di titoli annuali, pagando agli investitori un rendimento dello 0,949%, contro lo 0,436% dell' asta dello scorso 12 settembre.
Per trovare un tasso più alto di quello di oggi bisogna risalire all' asta del 10 ottobre 2013 quando il rendimento si attestò allo 0,999 per cento. Il ministro dell' Economia ha messo quasi 30 milioni di euro (per la sola asta di ieri) nel conto da sborsare in più per interessi dopo che, nel collocamento dei BoT annuali, i rendimenti sono schizzati di oltre mezzo punto percentuale.
L' onere complessivo per il servizio del debito, che riflette l' andamento dei mercati, particolarmente tesi in questa fase nei confronti dell' Italia, è destinato a lievitare ulteriormente, visto che oggi è in agenda un collocamento di Btp per massimi 6,5 miliardi e i rendimenti sono attesi in netto rialzo: in area 2,30% per il Btp benchmark a 3 anni (dall' 1,25% dell' asta di settembre) e in area 3,20% per il BTp a 7 anni (al 2,55% nell' asta di settembre). Già nel solo mese di settembre il Tesoro ha registrato una crescita della spesa per interessi pari a circa 400 milioni.
Fonte: qui
P.S. il consiglio di acquistare titoli di Stato italiani è sostanzialmente corretto, solo il timing è errato, troppi mesi(bisogna attendere le decisioni su un'inversione sulla politica monetaria della FED, che continua ad aumentare i tassi di interesse e restringere la liquidità dei dollari) in anticipo.
POI NON CI STUPIAMO SE IL CAPITALE VIENE EROSO E I PRESTITI TORNANO A CONGELARSI
Estratti dall’articolo di Fabio Pavesi per il Fatto quotidiano
Cinquanta miliardi in più. Cinquanta miliardi, oltre due volte una manovra finanziaria, di troppo e che oggi pesano come un macigno sui destini dell’industria del credito. Il tutto in soli sette mesi. Le banche italiane sono tornate a imbottirsi di titoli del nostro debito pubblico proprio quando sembrava che non ce ne fosse più bisogno.
A luglio i titoli di Stato in pancia al sistema bancario italiano sono saliti a 373 miliardi di euro. Con agosto c’è stata una flessione del 3% ma non sufficiente a ridimensionare l’escalation dello shopping compulsivo. Solo a dicembre del 2017 lo stock di debito pubblico nei portafogli era di 323 miliardi. Un exploit pericoloso…..
Riacquisti partiti a maggio sull’onda dell’avvio della fuga degli investitori esteri dal nostro debito, per le preoccupazioni legate al governo del deficit spending. Di fatto con i loro acquisti le banche italiane hanno rimesso in moto il triste copione della crisi del debito sovrano del 2011.
Lo spread volato sopra i 500 punti indusse infatti molti detentori esteri a liberarsi delle posizioni sull’Italia e il nostro sistema finanziario, banche e assicurazioni, finì per immolarsi sull’altare della stabilità…..
….. Un ruolo improprio che ha fatto di necessità virtù ma con un contraccolpo feroce: appaiare sempre più il rischio sovrano a quello bancario. Come in un’osmosi perfetta. E pericolosa. Come non ricordare che al picco della crisi post 2011 il sistema bancario era arrivato a superare i 400 miliardi di titoli di Stato nei bilanci. Il doppio dei livelli abituali pre-crisi. Consegnando mani e piedi delle banche ai capricci dello spread. Un legame vizioso e perverso che se da un lato ha evitato il crac del Paese ha reso le banche vulnerabili…
Del resto non pare esserci molte alternative. Chi può sostituire i fondi d’investimento stranieri in fuga? Le famiglie forse? Ora, ogni volta che lo spread prende il volo verso l’alto le banche segnano perdite sul loro patrimonio.
Gli analisti stimano che per ogni 100 punti base di rialzo del differenziale di rendimento le banche accusino svalutazioni del loro capitale di base per 30 punti base. E se il capitale viene eroso accadono due cose: le banche potrebbero essere costrette a una nuova tornata di aumenti di capitale e soprattutto si creano le premesse per un nuova stretta creditizia su imprese e famiglie.
TITOLI DI STATO IN PANCIA ALLE BANCHE? SONO DUE VOLTE IL CAPITALE
…..Se rapportato al capitale ci racconta che gli oltre 370 miliardi di titoli di Stato valgono come aggregato quasi 2 volte il patrimonio degli istituti. Un peso notevole che le espone molto ai capricci del rialzo dei rendimenti che svaluta i titoli e intacca il patrimonio. Solo le prime 5 banche italiane possedevano a fine giugno quasi la metà dello stock complessivo. Intesa la prima banca italiana per redditività e solidità ha tra portafoglio bancario e assicurativo 82 miliardi di titoli del debito italiano.
UniCredit ne ha per 55 miliardi; Mps ne vanta 21 miliardi in crescita sui 17,6 miliardi di fine 2017; Ubi ha 9,9 miliardi e BancoBpm ne possiede per 19 miliardi. Le due grandi banche hanno mantenuto nel primo semestre più o meno identici i pesi, mentre Mps ha incrementato di 3,5 miliardi gli acquisti e Ubi e BancoBpm hanno alleggerito di un 10% entrambe l’esposizione.
Il tema di fondo non è il peso in sé ma il suo rapporto con l’attivo di bilancio e il capitale soprattutto. Mps che non a caso è banca pubblica ha il rapporto più sbilanciato: i 21 miliardi di bond governativi italiani in portafoglio valgono il 230% del capitale e il 15% dell’intero attivo di bilancio. Ovvio che la banca di Siena finisce per essere la più esposta ai rialzi dello spread.
LA CONSEGUENZA? OCCHIO A UN NUOVO CREDIT CRUNCH
Le banche, come fatto in tutte le precedenti crisi, possono a fronte di incertezze future sul capitale stringere i cordoni del credito. Fare delevereging come si dice in gergo. Un nuovo credit crunch potrebbe riapparire sulla scena. Non che quello vecchio sia passato. …
Tuttora mancano all’appello 70 miliardi di stock di prestiti a imprese e famiglie. Il monte crediti era nel 2013 di 1.414 miliardi.
A fine 2017 siamo fermi a 1.347 miliardi. In caduta i prestiti alle imprese per almeno 100 miliardi compensati in parte dal buon andamento dei mutui alle famiglie. Solo per dare un’idea UniCredit ha ridotto dal 2013 al 2017 i crediti alla clientela per 55 miliardi; Mps per 40 miliardi su uno stock di 131 miliardi (-30% in 5 anni). Solo Intesa è andata controcorrente incrementando del 19% il suo stock di crediti passato da 344 miliardi del 2013 a 411 miliardi di fine 2017. Una nuova stretta del credito per un Paese che sta frenando sulla crescita può aprire le porte a una nuova recessione.
Fonte: qui
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