Dopo 24 ore di incontri, liti e tensioni, il governo approva Manovra, decreto fiscale e decreto semplificazione.
Il provvedimento favorisce tre categorie di persone: chi ha vecchie cartelle di Equitalia arretrate (fino al 2010) e per importi fino a mille euro; chi ha arretrati e può rateizzare per cinque anni senza interessi nè sanzioni; chi non ha dichiarato tutto e ora potrà integrare fino a 100 mila euro su cui pagherà l’una tantum del 20 per cento.
Di Maio ottiene il taglio delle pensioni d’oro, ma sarà nella Manovra.
Tria rivendica il lavoro fatto e chiarisce: “Figuriamoci se mi dimetto dopo la fatica di aver approvato la legge di Bilancio…”. Cancellate tutte le cartelle fino a mille euro
Stavolta non ci sono
le balconate a palazzo Chigi nè le processioni di parlamentari e
bandiere schierati in piazza Colonna a osannare la manovra del
cambiamento. Stavolta si tratta di un mega condono e, nonostante gli
sforzi lessicali invocati dal premier Conte, è quanto di più lontano uno
possa immaginare rispetto al cambiamento e alla narrazione 5 Stelle. Ci
sono invece facce tese e stanche, quelle del premier Conte, dei
vicepremier Salvini e Di Maio, e quella perplessa del ministro economico
Giuseppe Tria, colui che più di tutti dovrebbe parlare quando il
governo presenta la sua legge più importante, quella di Bilancio, e
invece resta confinato all’estrema destra del tavolo, un piede dentro e
uno fuori. Le loro facce dicono molto di più e di diverso rispetto al
copione da recitare ad uso e consumo di telecamere e microfoni. Sono
state 24 ore di tensione, a tratti anche ieri , si è andati tanto cosi a
un passo dalla rottura. Alla fine della conferenza stampa ufficiale
convocata dopo il Cdm, c’è posto solo per quattro domande. Sarebbero
state molte di più: “Scusi, ci spiegate come avviene il taglio delle
pensioni d’oro, i criteri….”. Domanda fuori tempo massimo…è stata la
replica di Salvini. “Ve lo spiego io dopo” ha cercato di dare una mano
Rocco Casalino. Gentile, ma non è il presidente del Consiglio. E neppure
il ministro. Non ancora, almeno.
L’invio a Bruxelles
Il
Documento di programmazione e bilancio (DPB) è stato spedito ieri sera
via pec a Bruxelles: “Ci sono tutte le misure già annunciate con la
Nadef, abbiamo confermato numeri e percentuali, questa manovra è a
nostro parere compatibile con le regole europee” si fa coraggio
Tria, “ora sarà avviato un processo di osservazioni, contro
osservazioni, valutazioni se i criteri siano più o meno distanti da
quelli previsti, se ci sono deviazione…io confermo che si tratta di una
manovra espansiva, che punta sulla crescita e che in alcun modo vuol
mettere in difficoltà l’istituzione Europa”. Dopo due settimane di
passione, dopo circa 24 ore non stop di vertici e riunioni - sono
iniziati domenica sera - e dopo due ore di Consilgio dei ministri
(19.30-21.30), il governo giallo verde licenzia la Nadef (il Def
aggiornato con il deficit a 2,4%, lo 0,6 in più rispetto al previsto),
il decreto fiscale, un altro decreto chiamato “semplificazione” e la
manovra di bilancio 2019 con le previsioni fino al 2021. Deluse le
opposizioni, qualcuna aveva scommesso sul fatto che non sarebbe uscito
un solo documento da palazzo Chigi. “Verrà fuori una finta, un
salvo-intese tutto da scrivere, prenderanno tempo”. In realtà nella
anomala conferenza stampa a palazzo Chigi, di tre provvedimenti
approvati non s’è visto neppure un testo. Non è stato fatto un solo
numero. Non è circolato neppure un fax simile. E dire che in questi
giorni - almeno del decreto fiscale - sono state rese disponibili varie
bozze, l’ultima ieri mattina, arrivata a oltre 70 pagine.
Misure di “definizione agevolata”
Nel
complesso è una manovra più verde che gialla. Oltre il deficit, la
misura immediata che più la caratterizza è la pace fiscale, un cavallo
battaglia del centro destra (che aveva immaginato un vero e proprio choc
fiscale) e una promessa di Salvini al suo elettorato.
Semplificando, è un classico condono che favorisce tre categorie di
persone: chi ha vecchie cartelle di Equitalia arretrate (fino al 2010) e
per importi fino a mille euro; chi ha arretrati e può rateizzare per
cinque anni senza interessi nè sanzioni; chi non ha dichiarato tutto e
ora potrà integrare fino a 100 mila euro su cui pagherà l’una tantum del
20 per cento. Il premier Conte le ha chiamate “misure di definizione
agevolata” e al giornalista che insisteva nel chiedere che differenza
c’è con un condono, il presidente del Consiglio solitamente impassibile
ha perso un po’ le staffe:“Ma lei lo chiami come vuole, il lessico, in
fondo, è a sua disposizione”. Di fianco, una a destra e l’altro a
sinistra, serissimi Salvini e Di Maio. Facce segnate. E non solo per la
stanchezza. Si racconta di un Salvini giunto furioso ieri a Palazzo
Chigi dopo pranzo. Ce l’aveva con i 5 Stelle per gli attacchi sulla
storia della mensa scolastica a Lodi nei fatti vietata ai figli di
immigrati. E per certi titoli sulla Rai e la nomina dei vari direttori,
anonimi 5 Stelle che avvertivano Salvini che non sarà certo lui a
decidere chi andrà a fare cosa. Ma fin troppe volte è successo in questi
137 giorni di governo e non facile convivenza che i temi più disparati
fossero usati come moneta di scambio da Salvini e Di Maio per ottenere
altro in cambio.
Ricatti & baratti
Così queste 24 ore sono state un
concentrato di ultimatum e baratti tra i due contraenti del contratto di
governo. Della serie che io-do-una-cosa-a-te-e-tu-dai-una-cosa-a-me
Persino Conte, mediatore nato, ieri sera era teso e stanco. Dunque la
Lega porta a casa, subito, la pace fiscale. Dalle varie bozze girate in
questi giorni, si deduce che sarà prevista un'aliquota al 20% per
sanare il pregresso di chi ha già presentato la dichiarazione dei
redditi. Si potrà optare per la dichiarazione integrativa per far
emergere fino a un massimo del 30% in più rispetto alle somme
già dichiarate e comunque entro un tetto di 100.000 euro. Per ridurre il
contenzioso, si potranno inoltre sanare le liti con il fisco pagando
senza sanzioni o interessi il 20% del non dichiarato in 5 anni.
In arrivo anche il condono totale delle mini cartelle sotto i mille euro dal 2000 al 2010.
Tutto questo si potrà anche chiamare
in altri modi, ma è a tutti gli effetti un condono. Ed è evidente che
Di Maio ha morso il freno anche durante la conferenza stampa. “La galera
fino a 6 anni per chi sgarra e se ne appofitta” è il contrappeso che il
leader politico 5 Stelle ha preteso per dare il suo ok. Ma più di
questa affermazione non è dato sapere come si articoli la proposta. Per
evitare guai, Conte su questo punto non ha fatto aprire bocca a Salvini.
E per evitare che potesse sfuggire qualcosa, il presidente del
Consiglio li ha pretesi accanto a se, uno a destra e l’altro a sinistra,
relegando nell’angolo del tavolo il ministro titolare dei dossier
economici.
Le misure
La manovra vale 37 miliardi,
circa 22 miliardi dovrebbero essere finanziati in deficit e l’impatto
sul Pil nel 2019 sarà pari a 1,8%. Il Druft budgetary plan spedito ieri
sera a Bruxelles contiene i numeri principali tra cui 16 miliardi
l’investimento per Reddito di cittadinanza e superamento della Fornero,
6,9 miliardi di tagli e 8,1 di aumento entrate. Se la Lega intasca la
pax fiscale, i 5 Stelle possono rallegrarsi “solo” per l’introduzione di
quota 100 (l somma di età anagrafica e di anni di contributi versati)
per andare in pensione (in vigore da febbraio). “Significa 400 mila
italiani che potranno andare in pensione senza penalizzazioni e
altrettanti giovani italiani che potranno trovare finalmente lavoro” ha
sintetizzato Salvini nonostante tutti gli analisti abbiano spiegato
che è molto raro il rapporto di uno a uno, che un lavoratore esca e un
altro entri. La bandiera 5 Stelle - il reddito e le pensioni di
cittadinanza - potrà essere sventolata ma non prima della primavera. In
questo caso si tratta addirittura di un disegno di legge collegato,
ancora tutto da scrivere e soprattutto da approvare. Di Maio ha avuto in
testa, ad un certo punto, di mettere il Reddito nel decreto fiscale ma
non ce l’ha fatta. E la previsione di una messa a regime tra aprile e
maggio sembra parecchio ottimistica.
Taglio delle pensioni d’oro, la Lega sconfitta a metà
E’ stato il punto più sofferto del
serrato confronto di questi giorni. E quello più delicato nella maratona
di ieri. Se Salvini ha portato a casa il condono fiscale, Di Maio porta
a casa il taglio delle pensioni d’oro, dossier così indigesto per la
Lega che il segretario ha evitato sul punto le domande come fossero la
peste. Salvini però ha vinto su un punto: il taglio delle pensioni d’oro
(sopra i 4.500 euro netti al mese) non è nel decreto fiscale ma nella
manovra che arriverà in Parlamento sabato prossimo (20 ottobre) per
aprire ufficialmente la sessione di bilancio. Significa tempi di
approvazione più lunghi e destino, quindi, più incerto. Secondo conteggi
di fonte 5 Stelle, il taglio porterà un risparmio di circa un miliardo
in tre anni. E’ chiaro che su questo punto ci sarà in commissione e poi
aula un confronto durissimo tra Lega e 5 Stelle.
Di Maio porta a casa anche un altro
decreto, quello per le semplificazioni, un obiettivo che viene
dichiarato ad ogni legislatura e di cui poi si perdono le tracce nel
tempo. Il decreto “tagliascartoffie” ha come obiettivo quello di
togliere circa cento adempimenti per le imprese. In questo stesso
decreto ci sarà anche la norma che vieta il duplice incarico di
governatore e commissario alla Sanità (che i 5 Stelle chiamano norma
anti De Luca); una revisione delle tariffe assicurative; misure contro i
medici furbetti che aumentano le liste d’attesa per suggerire al
paziente di andare a studio, nel privato, dove non c’è coda;
rifinanziata la cassa integrazione.
La frenata sulla flat tax
Con infinita rabbia
Salvini è costretto a ridimensionare le aspettative sulla flat tax. Un
altro dossier su cui, infatti, non è stato possibile fare domande
durante la conferenza stampa. Nel 2019 il beneficio riguarderà una
cerchia molto piccola di persone: 600 milioni da distribuire agli
autonomi con ricavi fino a 65 mila euro. Dai 65.000 ai 100.000 euro si
pagherebbe un 5% addizionale. Le start up e le attività avviate dagli
under 35 avrebbero uno sconto al 5%. Negli anni successivi il taglio
aumenterà tanto che si può dire che la media nei prossimi tre anni
sarà di un miliardo e 700 milioni.
La vittoria di Tria si chiama “gradualità”
Non è chiaro se il ministro
economico - in origine convinto che 1,8 fosse il deficit applicabile -
abbia vinto o perso in questa lunga partita che è, per altro , appena
iniziata. Dato in partenza, comunque dimissionario, più volte nelle
ultime settimane, il professore romano ieri ha scherzato in sala stampa
(l’unico) con chi gli chiedeva se avrebbe lasciato una volta approvata
la manovra. “Non sono masochista - ha sorriso - Sopportare tutta la
legge di bilancio per dimettersi dopo... Comunque, smentisco queste
dicerie”. Il punto è che il ministro, che ha parlato pochissimo dopo
Conte e prima dei due vicepremier, si è tenuto sul generale e non ha
voluto commentare nel dettaglio nessuno dei contenuti della manovra o
del decreto fiscale. Ha comunque difeso l’impianto della legge: “L’idea
che con questa manovra si voglia far saltare l’Europa è del tutto
infondata. La logica di questa manovra coincide invece con le
discussioni internazionali sul fatto che la crescita è bassa e bisogna
fare qualcosa e noi vogliamo contrastare il declino e il rallentamento
dell’Italia e dell’Europa”. Ecco che “con gradualità” vengono avviati
piano piano tutti gli impegni presi. Ancora una volta resta solo lui in
sala stampa a fronteggiare i giornalisti che devono sapere i dettagli
dei tre provvedimenti approvati e invece non hanno neppure un testo o
una bozza valida. Gli chiediamo se nel suo lessico la pax fiscale è un
condono oppure no. “No, non è un condono per me no, ma non lo so... ci
sono varie norme, tutte insieme, leggetele tutte insiste e valutatele…”.
Ha ragione il ministro. Se ci fosse stato un testo a disposizione lo
avranno letto più che volentieri.
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