9 dicembre forconi: Le dinamiche che conducono alle fasi finali del ciclo del credito

sabato 8 settembre 2018

Le dinamiche che conducono alle fasi finali del ciclo del credito


Sebbene non esista un punto di partenza definito che ci segnali l'inizio della fase finale del ciclo del credito che porterà alla prossima crisi economica, quasi tutti i segnali puntano verso l'economia statunitense.

Ci sono differenze rispetto ai cicli precedenti, ma possono essere spiegate: negli ultimi trentacinque anni il debito ipotecario al consumo è cresciuto, man mano che ci spostavamo dalla produzione manifatturiera alla produzione di servizi. È cambiato a chi dovevano i soldi le banche: dai consumatori e dalle piccole imprese, ad imprese puramente finanziarie.

L'assenza, finora, dell'inflazione dei prezzi per adeguarsi all'espansione del credito bancario statunitense dall'ultima crisi del credito, è in gran parte spiegata dalla proprietà della liquidità. Dalle cifre pubblicate dalla Federal Reserve Bank di New York, c'è quella dei $12,800 miliardi di contanti, depositi e conti correnti nel sistema bancario di istituzioni ed imprese; gli stranieri (in gran parte istituzioni finanziarie) hanno depositi in contanti di $4,217 miliardi.




Si tratta di denaro bollente, creato attraverso il credito bancario, ma non speso e, pertanto, non ha fatto salire i prezzi al consumo. Questo è un esempio del perché l'evoluzione dei clienti delle banche sul lato delle passività dei loro bilanci influenza il modo in cui il ciclo del credito dovrebbe essere letto, la probabile durata della fase finale pre-crisi e come si svilupperà la crisi stessa. Inoltre, avendo creato il ciclo del credito attraverso la soppressione dei tassi d'interesse, la FED non ha le conoscenze teoriche per capire l'estensione del problema che ha creato e supervisionato.

Questo articolo esamina queste dinamiche e conclude che la durata di questa fase finale del ciclo del credito può essere considerevolmente più breve di quanto la maggior parte delle persone si aspetti, ed è probabile che sia alimentata più da considerazioni finanziarie che economiche.


I tassi d'interesse non controllano la domanda di credito

Iniziamo osservando perché le banche centrali non possono controllare l'inflazione manipolando i tassi d'interesse. La scorsa settimana la Banca d'Inghilterra ha rialzato il tasso di prestito di base tra lo 0.25% e lo 0.75%. Nella sua dichiarazione, la BOE ha affermato che la sua "Monetary Policy Committee imposta la politica monetaria per raggiungere l'obiettivo d'inflazione al 2% e in modo da sostenere la crescita e tenere sotto controllo la disoccupazione". In questo scopo la politica monetaria della BOE è poco diversa dalle altre principali banche centrali, in particolare la FED.

Vi sono più collegamenti nella presunta catena tra le variazioni dei tassi d'interesse e l'obiettivo d'inflazione al 2%, ma essenzialmente la BOE deve presumere che il tasso d'interesse sia il prezzo del denaro preso in prestito. Se così fosse, ci dovremmo aspettare tassi d'interesse più alti per ridurre la crescita del credito bancario e tassi più bassi per stimolarlo, e se si controlla il tasso di crescita dell'offerta di moneta, allora la teoria quantitativa del denaro ci suggerisce che si può influenzare il tasso d'inflazione. Questa è un'ipotesi comune nei mercati finanziari, i quali sono in sintonia con la politica monetaria delle banche centrali.

I fatti suggeriscono il contrario. Il grafico seguente ci mostra ciò che accadde negli Stati Uniti tra il 1970 e il 1990, incluso il periodo in cui Paul Volcker, in qualità di presidente della FED, rialzò il tasso di riferimento al 20% nei primi anni '80. La ragione per riportare alla mente questi decenni è che la volatilità dei tassi d'interesse era al massimo e gli effetti dovevano essere più evidenti.




Se i tassi d'interesse rappresentassero il "prezzo" del denaro, ci si aspetterebbe di vedere tassi più alti per rallentare la crescita monetaria, e persino farlo contrarre. Tassi più bassi dovrebbero accelerare la crescita dell'offerta di moneta. Questo chiaramente non è accaduto, e non è mai successo da quando il denaro è diventato totalmente fiat. Né è accaduto nei giorni prima che il potere d'acquisto del denaro affondasse anno dopo anno, quando il Paradosso di Gibson mostrava chiaramente che non c'era alcuna correlazione tra i tassi d'interesse e l'inflazione dei prezzi. Stando così le cose, è evidente che il presunto collegamento tra i tassi di interesse e il credito bancario come mezzo per controllare l'inflazione dei prezzi non è mai esistito.

Il Paradosso di Gibson, in base al quale i tassi d'interesse sono correlati al livello generale dei prezzi e non al tasso d'inflazione dei prezzi, sembra essere cambiato rispetto agli anni '70, poiché il livello generale dei prezzi è semplicemente salito alle stelle. Misurato in oro, il dollaro ha perso il 96.5% del suo potere d'acquisto da quando è stato ufficialmente fissato a $42.22 l'oncia. Ovviamente un crollo del potere d'acquisto del denaro è destinato ad indebolire le relazioni consolidate tra il livello generale dei prezzi ed i tassi d'interesse. Mentre quella correlazione potrebbe non essere più illustrata graficamente, persiste ancora la mancanza di correlazione tra il tasso di variazione del livello generale dei prezzi (il tasso d'inflazione) e i tassi d'interesse.

Chiaramente la base della politica monetaria, in particolare il presunto collegamento tra il prezzo del denaro come mezzo di gestione dell'inflazione dei prezzi, è fondamentalmente errata. Sappiamo anche per esperienza che le banche centrali, nonostante abbiano armeggiato con i tassi d'interesse, non sono riuscite a prevenire le crisi creditizie. Dobbiamo chiederci: se un tasso d'interesse non è il prezzo del denaro preso in prestito, che cos'è?


I tassi d'interesse riflettono la preferenza temporale

Esistono essenzialmente due approcci per affrontare la relazione tra tassi d'interesse, denaro e prezzi. C'è l'approccio matematico keynesiano nella tradizione di William Stanley Jevons (1835-82). Jevons era uno dei tre economisti che introdussero la teoria dell'utilità marginale come base del valore. Per i successori di Jevon, tra cui Keynes, l'interesse era il pagamento imposto dai risparmiatori ai mutuatari. Pertanto, come sosteneva Keynes nel Capitolo 13, Sezione 2, della sua Teoria Generale:

Quindi il tasso d'interesse in qualsiasi momento, essendo la ricompensa per separarsi dalla propria liquidità, è una misura della mancanza di volontà di coloro che possiedono denaro e separarsi da esso.


In altre parole, Keynes stava dicendo che l'interesse è il prezzo del denaro richiesto dai risparmiatori, ma come abbiamo visto nel grafico sopra, le variazioni dei tassi d'interesse non portano a cambiamenti nella quantità di denaro, quindi non può essere giusto.

L'altro approccio è quello di Carl Menger, fondatore della Scuola Austriaca, il quale sosteneva che i prezzi marginali erano fissati soggettivamente dall'azione umana. Menger sottolineò anche che tutti noi valutiamo il possesso presente più di quello futuro. Ma la produzione di beni migliori e più desiderabili comporta tempo ed investimenti nei mezzi di produzione. Pertanto, come disse Menger, se un produttore vuole soldi in anticipo per poter consegnare un prodotto, diciamo tra sei mesi, lo otterrà solo ad un certo prezzo. Questo perché separarsi dal proprio denaro significa che dobbiamo rimandare il nostro possesso di beni nel futuro. È il posticipo della proprietà dei beni il problema, non il denaro stesso.

La radice della preferenza temporale è che se vogliamo rinunciare al godimento dei beni nel presente, lo faremo solo in conformità con la nostra valutazione del loro valore futuro. Pensiamo che il denaro sia completamente fungibile in tutti i beni, e quindi rappresentativo del nostro desiderio per essi. Su questa base, potremmo essere pronti a separarci oggi da $98 con la promessa di $100 tra sei mesi. Questo può essere espresso in due modi. Possiamo dire che il valore attuale dei $100 tra sei mesi è $98, o possiamo dire che rappresenta un tasso d'interesse annualizzato del 4.08%. Il tasso d'interesse è un'espressione della preferenza temporale riguardo la certezza di possedere denaro oggi, o averlo nel giro di sei mesi.

Capite, quindi, che non è lo stesso quando si dice che l'interesse è il prezzo del denaro. Il denaro è solo il ponte tra il nostro lavoro e il nostro consumo. Separarsi dal proprio denaro per un certo periodo di tempo significa, in realtà, rimandare il beneficio del possesso immediato dei beni. Naturalmente rimanderemo la proprietà per alcuni beni senza pensarci, mentre per altri il posticipo avverrà con una certa riluttanza. Pertanto la preferenza temporale del denaro è una rappresentazione generale di ciò che possiamo acquistare oggi, ma posticipata lungo un periodo di tempo concordato, il quale sarà valutato in modo diverso da ciascuno di noi. Ed è giustamente impostata dai singoli risparmiatori e mutuatari.

Ovviamente la preferenza temporale può originarsi solo nelle menti di creditori e debitori, il che rende impossibile per lo stato intervenire senza conseguenze economiche indesiderate. La preferenza temporale esiste indipendentemente dalla politica del tasso d'interesse. Di conseguenza la gestione dei tassi d'interesse da parte dei policymaker, che credono di gestire il prezzo del denaro, equivale a chiedere ad un uomo cieco di farvi attraversare la strada.

Anche la preferenza temporale si evolve nel ciclo del credito per riflettere le aspettative del probabile potere d'acquisto del denaro nel tempo. Se il tasso dell'inflazione dei prezzi accelera e c'è un'aspettativa generale secondo cui aumenterà ulteriormente, allora è come dire che il potere d'acquisto della moneta diminuirà. Pertanto il valore presente del denaro futuro sarà inferiore, che insieme alla perdita di utilità del denaro si tradurrà in tassi d'interesse ancora più alti. Questo è un fenomeno prettamente legato alla fase finale del ciclo del credito, perché la quantità di denaro precedentemente aumentata indebolisce progressivamente il suo potere d'acquisto; e le aspettative che la tendenza continuerà e probabilmente accelererà, si radicheranno più saldamente nella valutazione delle preferenze personali delle persone.

Pertanto sono le percezioni pubbliche incarnate nelle preferenze temporali che guidano i tassi d'interesse, non la politica monetaria, e questo diventa sempre più evidente nelle fasi finali ciclo del credito, quando le banche centrali vengono prese in contropiede.


Smascherare l'inutilità del tasso d'interesse ufficiale

Le intenzioni alla base della gestione dei tassi d'interesse appaiono comunque incoerenti, essendo mirate a controllare l'inflazione dei prezzi senza mai contrarre la crescita dell'offerta di moneta. In base a questa linea di politica, si ritiene che un tasso d'inflazione dei prezzi al 2% possa essere ampiamente raggiunto. Anche se ciò fosse vero, significa che il potere d'acquisto del denaro diminuirebbe della metà in trentacinque anni. Dato che negli Stati Uniti la somma di contanti, conti di deposito e risparmio è attualmente di $12,800 miliardi e in crescita al 5-7% l'anno nel lungo termine, questo rappresenta un enorme trasferimento di ricchezza. Inoltre la ricchezza viene trasferita poiché lo stesso meccanismo erode il valore dei rendimenti su $40,000 miliardi di obbligazioni statunitensi, inclusi $14,000 miliardi emessi dal governo degli Stati Uniti in mani della popolazione.

Questo trasferimento di ricchezza svantaggia risparmiatori ed avvantaggia i debitori. Questo dovrebbe essere ovvio, ma svantaggia anche i poveri, i cui salari fissi sono sempre in ritardo rispetto al costo della vita. I pensionati sono i più colpiti. Minori pagamenti del welfare state erosi in potere d'acquisto dalla svalutazione della moneta, sono un beneficio immediato per lo stato. La ragione fondamentale dietro l'inflazione è che fornisce finanziamenti agli stati e riduce i loro costi di welfare, ma va anche a favore dei gruppi di lobby.

Le aziende ne beneficiano acquistando materie prime e beni strumentali ai prezzi vecchi e, finché i sindacati rimangono composti, pagano i salari alle somme di ieri. Vendono i loro prodotti ai prezzi odierni, per una crescita media dei profitti rispetto ai loro costi operativi pari al tasso d'inflazione dei prezzi. I consumatori finiscono per guadagnare stipendi di ieri e pagare per prezzi gonfiati di oggi. E gli economisti che agiscono nel ruolo di ingannatori dicono che sono necessari prezzi più alti per garantire il loro tenore di vita.

I consumatori, sebbene inconsciamente, lo capiscono: invece di risparmiatori, sono diventati essi stessi i mutuatari. Quindi il mondo in cui i mutuatari erano imprese ed i consumatori erano i risparmiatori, non esiste più. Il cambiamento nel comportamento dei consumatori ha un impatto significativo sui prezzi, portando l'espansione del credito bancario a far fronte più rapidamente alla domanda dei consumatori.

Tuttavia l'espansione del credito richiede ancora tempo per essere trasmessa ai prezzi reali, non ultimo perché i consumatori possono acquistare merci importate a prezzi più economici. È per questo motivo che l'espansione monetaria porta a deficit commerciali con altri Paesi, ed i consumatori americani ne hanno beneficiato enormemente. L'amministrazione Trump sta tentando ingenuamente di ridurre le importazioni dall'estero attraverso i dazi, i quali non faranno altro che spingere verso un aumento dei prezzi al consumo. Per quanto riguarda i prezzi, è stata bloccata la valvola di sfogo delle importazioni a prezzi più economici.

Mentre le politiche commerciali determineranno un aumento dei prezzi al consumo, il deficit di bilancio del governo verrà aumentato, fornendo un'ulteriore fonte di stimolo alla domanda che può solo far salire i prezzi ancora di più.

Nonostante l'aumento dei tassi d'interesse in America finora, il processo di espansione monetaria non può fermarsi. Continuerà, a prescindere dall'offerta di credito per sostenere i prezzi, come suggerisce il grafico sopra. I tassi d'interesse aumenteranno, riflettendo la crescente influenza da parte delle preferenze temporali del settore privato, fino a quando i modelli di business dei mutuatari basati su anni di tassi a zero diventeranno del tutto anti-economici. Coloro che saranno saggi taglieranno i loro investimenti improduttivi, ma la maggioranza proverà a lottare, con le banche sempre più riluttanti a sostenerli. Questo è il modello convenzionale di come si sviluppa una crisi del credito, ma come vedremo la prossima crisi sarà probabilmente di origine finanziaria, piuttosto che economica.


Come si evolverà la fase pre-crisi del ciclo del credito

Vi sono errori significativi nella politica dei tassi d'interesse, i quali garantiscono l'arrivo della prossima crisi del credito. Supponendo che un tasso d'interesse rappresenti il prezzo del denaro, la politica monetaria procede in modo errato sin dalle premesse. Ma ammettere ciò significherebbe dover abbandonare tutti i tentativi di gestire i tassi d'interesse, ed è molto improbabile che le banche centrali rinuncino alla ragione più potente della loro esistenza.

Avendo compreso l'errore fondamentale, ovvero, non riconoscere il ruolo della preferenza temporale nell'economia, possiamo prevedere l'evoluzione della politica monetaria fino alla prossima crisi del credito. Oltre alla comprovata mancanza di un qualsiasi collegamento tra i tassi d'interesse e il credito bancario, è chiaro che durante tutto il ciclo i tassi d'interesse sono stati mantenuti al di sotto del valore di una preferenza temporale determinata dal mercato. Ciò porta all'espansione del debito e del denaro, poiché sia ​​le imprese che i consumatori sono incoraggiati ad accendere nuovi prestiti per sostenere la crescita economica.

Negli ultimi anni molti commentatori finanziari hanno sottolineato che l'espansione del debito nell'economia americana non sia riuscita a stimolare la crescita economica come previsto. Si potrebbe obiettare che ciò è dovuto al fatto che gran parte del debito non è stato utilizzato per espandere l'offerta di beni e servizi, e questo è certamente vero. Districare la relazione tra l'accelerazione del debito e il PIL implica il vaglio di una serie di fattori, e il credito bancario totale dovrebbe essere considerato in modo diverso dalle emissioni obbligazionarie totali: il primo è denaro e i secondi sono asset in mano alla popolazione. Un'analisi più pertinente prevede la comprensione che i depositi bancari sono l'immagine speculare del credito bancario. In altre parole, i commentatori finanziari dovrebbero commentare la gigantesca mole di soldi che è stata creata.

Come viene distribuito tale denaro? Ad oggi, la liquidità di in mano alla popolazione, i conti correnti ed i depositi bancari sono aumentati da $5,460 miliardi poco prima dell'ultima crisi del credito a $12,854 miliardi di oggi. Ciò significa che dal settembre 2009 sono stati creati circa $7,394 miliardi. Come notato in precedenza, sappiamo che $4,217 miliardi sono proprietà di società non statunitensi, banche ed istituzioni finanziarie estere. Di conseguenza un aumento dei depositi bancari per un totale di $3,177 miliardi nelle mani di persone negli Stati Uniti.

Questi numeri sono importanti per capire come si svilupperà il ciclo del credito da qui. I dollari in mani estere si trovano nelle banche, possibilmente scambiabili per altre valute, oro o anche materie prime. È denaro che non verrà mai speso nell'economia degli Stati Uniti, quindi in senso stretto non è inflazionistico. Tuttavia se il dollaro si indebolisce, si trasformerà in denaro speso per fare hedging.

Dei depositi in dollari negli Stati Uniti per un totale di $7,394 miliardi, una parte sostanziale è di proprietà di istituti finanziari. La preponderanza di questi depositi in mano degli istituti finanziari (interni ed esterni), ci spiega perché l'inflazione dei prezzi registrata sin dal 2009 è rimasta sorprendentemente sottomessa, nonostante un'espansione monetaria quasi senza precedenti. Gran parte dell'effetto sui prezzi, se dobbiamo accettare i dati ufficiali dell'IPC, deve ancora manifestarsi e ciò significa un gigantesco calo del potere d'acquisto del dollaro nella corsa verso la prossima crisi del credito. Troppi soldi sono in mani instabili, alcune delle quali venderà dollari e altre che rimarranno intrappolate nel sistema.

Finora ci siamo concentrati su considerazioni di natura monetaria, ma ci sono anche quelle di politica fiscale e commerciale. Il presidente Trump, attraverso riduzioni fiscali progettate per proteggere la produzione nazionale, ha inasprito la situazione. Certo, quando sono i ricchi che traggono benefici, è improbabile che avremo aumenti nel consumo diretto; ma laddove ci sono aumenti dell'occupazione, dovremmo tenere presente che l'offerta di lavoro occupabile è già molto bassa. I tagli fiscali di Trump contribuiranno a far salire i costi di produzione nei prossimi mesi.

L'introduzione dei dazi da parte di Trump, anche se c'è possibilità che siano un'arma commerciale temporanea, aumenterà anche i costi della produzione interna e aumenterà i prezzi al consumo. Diventerà quindi evidente che il ritmo dell'aumento dei prezzi accelererà, probabilmente in tempi relativamente brevi.

La popolazione include in particolare titolari di depositi bancari, conti correnti e contanti. Data la recente propensione al debito da parte dei consumatori, non possiamo più fare affidamento sul normale lag tra svalutazione della moneta e comprensione generale dell'effetto sui risparmi. La proporzione di titolari istituzionali e finanziari di questi conti è maggiore rispetto ai precedenti cicli del credito, quindi è probabile che vogliano trasferire il loro denaro a qualcun altro quando il tasso d'inflazione dei prezzi aumenterà; e tale trasferimento sarà più rapido di quando i detentori di suddetti conti erano principalmente i consumatori.

È qui che la comprensione delle preferenze temporali diviene importante. Man mano che il potere d'acquisto del dollaro diminuirà, le istituzioni finanziarie si libereranno rapidamente dei loro dollari. È probabile che le istituzioni finanziarie nazionali acquisteranno asset finanziari, ma tutte tenderanno ad essere dalla stessa parte della transazione. Vi è quindi una forte possibilità che si sviluppi una corsa per liberarsi dei dollari ed acquistare asset, facendo salire le azioni ed i prezzi degli immobili. Allo stesso tempo aumenteranno i rendimenti delle obbligazioni a lunga scadenza. Questi sviluppi ci dicono una cosa: il valore presente del denaro futuro scenderà ad un ritmo sostenuto.

La situazione non verrà letta in questo modo dalla FED. Essa vedrà i segni di un'economia surriscaldata e tenterà di raffreddarla, inizialmente con riluttanza, rialzando "il prezzo del denaro".

Ritorniamo ai fattori che influenzano la proprietà estera dei depositi in dollari. Il presidente Trump sta aumentando il deficit di bilancio, che ipotizzando un piccolo cambiamento nel tasso di risparmio, si trasformerà in un crescente deficit commerciale come descritto in precedenza in questo articolo. I proprietari esteri di depositi in dollari possiedono circa $18,400 miliardi di titoli statunitensi, oltre ai loro depositi bancari, per un totale di $22,600 miliardi, superando di un margine significativo il PIL statunitense a $19,400 miliardi. A questi squilibri verrà aggiunto un deficit commerciale annuale di oltre $1,000 miliardi di dollari. Gli stranieri vogliono veramente continuare ad aumentare le loro partecipazioni in dollari?

La risposta sarà probabilmente "No". Potranno trarre brevemente profitto dall'ondata di prezzi azionari più alti, ma dei loro $18,400 miliardi di titoli USA, $11,200 miliardi sono obbligazioni, le quali caleranno di prezzo come argomentato sopra. L'esposizione estera al dollaro e l'aumento del deficit commerciale, indicano un'enorme pressione di vendita che si sta sviluppando contro il biglietto verde nelle borse estere.

Una fuga dai dollari e un rifugio in azioni, proprietà immobiliari e persino opere d'arte, combinato con un aumento dei rendimenti obbligazionari, può avvenire solo per un breve periodo di tempo. L'inflazione dei prezzi, alimentata in parte dalla quantità di dollari in deposito e in parte da una combinazione di stimoli fiscali e commerciali sui beni importati, frantumerà l'obiettivo d'inflazione al 2% della FED. Ci sarà un breve boom finanziario nella migliore delle ipotesi e poi una crisi drammatica. La FED non sarà in grado di tenere il passo con il rapido valore presente degli obblighi futuri, incapsulato nella preferenza temporale.

In sintesi, la prossima crisi del credito sarà alimentata dagli squilibri monetari accumulati durante l'ultima crisi del credito, innescata dalle politiche fiscali e commerciali del presidente Trump. I tempi per l'inizio della crisi del credito sembrano essere l'ultimo trimestre del 2018, oppure entro e non oltre la metà del 2019.


[*] traduzione di Francesco Simoncellifrancescosimoncelli.blogspot.com

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