Aldo Cazzullo per www.corriere.it
Sergio Marchionne non ha salvato la Fiat come la conoscevamo, Fabbrica italiana automobili Torino. Ha preso atto della sua fine e l’ha trasformata in qualcosa di radicalmente diverso: una multinazionale con sede legale ad Amsterdam e fiscale a Londra, base in America e qualche stabilimento in Italia - oltre ovviamente al polo torinese di cultura industriale -, ora affidati a un manager britannico.
Questo atto di distruzione creativa, come diceva lui stesso citando l’amato Schumpeter, non si è limitato all’azienda. Legatissimo a un’Italia immaginaria e immaginata – lo scudetto tricolore, il padre carabiniere, l’Abruzzo delle origini -, Marchionne sentiva ed esprimeva un’estraneità al limite del disprezzo per l’Italia reale, com’era diventata durante la sua assenza.
Non stimava Berlusconi e non lo nascose neppure quando era l’uomo più potente d’Italia; rifilò alle principali banche un pacco mica male, mantenendo con Gabetti il controllo dell’azienda alla famiglia; uscì da Confindustria, che ai tempi di Agnelli era stata una dependance della Fiat. E trovò un segno per raccontare la propria alterità: il maglione scuro al posto della giacca e cravatta dell’establishment, concedendosi anche il vezzo – non per mancargli di rispetto da morto, ma per restituirne la fisicità da vivo – della forfora sulle spalle.
Eppure, nonostante la sua rivoluzione e la sua diversità, la forza del destino è tale che pure Marchionne si ritrova inscritto nella saga secolare degli Agnelli e della Fiat. Una simbiosi che dura da 120 anni – un’era siderale nel capitalismo moderno -, su cui talora la sorte è scesa come una mannaia: l’elica dell’idrovolante che colpisce alla nuca Edoardo Agnelli nel mare di Genova (14 luglio 1935); la fine crudele e prematura dell’erede designato, Giovanni Alberto Agnelli (13 dicembre 1997); il volo giù dal viadotto della Torino-Savona di Edoardo junior (15 novembre 2000); la morte improvvisa di Umberto Agnelli, che aveva atteso il potere per tutta la vita e l’aveva perso in poco più di un anno (27 maggio 2004).
Marchionne fa parte della stessa storia non solo per la fine inattesa e ingiusta, ma perché in oltre un secolo la Fiat ha avuto soltanto tre grandi manager: Vittorio Valletta, Cesare Romiti e lui. Così come ha avuto solo tre veri azionisti: Giovanni Agnelli, il Senatore; suo nipote Gianni Agnelli, l’Avvocato; e suo nipote John Elkann.
Romiti venerava la memoria di Valletta. Si convinse che il Ragioniere “cit e gram”, piccolo e cattivo, gli avesse scritto una lettera dall’aldilà, tramite il sensitivo torinese Rol, piena di consigli per gestire l’azienda (“sono andato a controllare la grafia negli archivi Fiat, era proprio la sua!”). Marchionne e Romiti invece antipatizzarono fin da subito: Cesare gli fece arrivare i suoi consigli più prosaicamente attraverso un’intervista al Corriere, per dire che il sindacato si può battere – come Valletta aveva fatto nel ’55 e lui stesso nell’80 – ma non si può dividere. In ogni caso, nessuno dei tre era un ingegnere, un uomo “di prodotto”, alla Dante Giacosa o alla Vittorio Ghidella, che le macchine le creavano.
Romiti veniva dall’amministrazione, come Valletta, Marchionne dall’avvocatura; tutti però sono stati uomini di finanza. Ma mentre la Fiat vallettiana prestava i soldi alle banche, quella di Romiti fu legata a doppio filo a Cuccia. Il grande merito di Marchionne è stato restituire alla Fiat autonomia finanziaria.
Anche il suo tratto aveva poco in comune con l’establishment italiano. Diretto, sincero, immediato come chi pensa in inglese, era capace di empatia e di umanità. Duro con i dirigenti intermedi, da uomo del popolo aveva simpatia istintiva per la gente. Per lui la vita e il lavoro coincidevano: non a caso si innamorò della segretaria, come molti protagonisti del Novecento industriale: Vincenzo Lancia, Michele Ferrero, lo stesso Valletta.
In politica fu governativo, proprio come i predecessori, badando a non legarsi troppo a un leader o a un partito. Valletta scendeva a Roma in vagone letto ogni mercoledì sera, per andare a trovare Saragat, La Malfa, talora il Papa, sempre l’amante; poi il giovedì passava dall’Avvocato al Grand Hotel, respingeva l’invito a cena, cavava dalla borsa una mela e un temperino, si rifocillava e riprendeva il vagone letto, in tempo per timbrare a Mirafiori il cartellino numero 1 il venerdì mattina. Romiti si trovò a fronteggiare il Pci e la Cgil al massimo storico, e l’ebbe vinta.
Per Marchionne l’Italia è stata molto meno cruciale. Con Renzi si scontrò all’inizio, quando gli venne attribuita una frase che un uomo della sua intelligenza non avrebbe mai detto, “Firenze città piccola e povera” (povera la città di Giotto, Dante e Brunelleschi?). Poi fu amore, nel senso che Renzi si innamorò del suo stile brusco, lo considerò un complice della rottamazione, ignaro che quando i politici perdono il potere i manager guardano oltre. Marchionne l’ha fatto pure con Obama, quando ha riportato uno stabilimento in Michigan dal Messico come prova di apertura a Trump.
E comunque la sua energia era tale da consentirgli di seguire anche la Juve, la Ferrari, i giornali, tutto il grappolo di interessi e passioni che ha fatto della Fiat e degli Agnelli non solo il primo gruppo industriale, ma una sorta di dinastia regnante su un Paese diviso e insicuro di sé. Alla fine Marchionne non ha fondato una sua azienda, non si è preso un pezzo dell’impero, non è andato alla Silicon Valley, non è sceso in politica, non ha fatto nulla di ciò che si era detto sul suo conto: ha lavorato tantissimo, forse troppo, sin quasi a morirne. Riposto il pullover, tolti gli occhiali, ravviato il ciuffo sempre più rado degli ultimi mesi, resta la sua lezione. E per chi rimane si spalanca un’altra incognita, un altro cambiamento, un’altra possibilità. La storia italoamericana continua.
Fonte: qui
MARCHIONNE LO SAPEVA DA QUALCHE MESE. MA DEL CANCRO AI POLMONI L’AVEVA NASCOSTO A TUTTI. IL PRIMO A SAPERLO, INSIEME ALLA SUA COMPAGNA MANUELA, FU ALFREDO ALTAVILLA, PER 14 ANNI FIDATO BRACCIO DESTRO: “PENSO DI AVERE UNA COSA GRAVE”
MARCHIONNE HA POI RAGGIUNTO LA CLINICA DI ZURIGO. LA CHEMIOTERAPIA, PERÒ, NON ERA SUFFICIENTE PER UN SARCOMA, IL PIÙ AGGRESSIVO DEI TUMORI. L’OPERAZIONE HA AVUTO ESITO NEGATIVO PER UNA GRAVE COMPLICANZA: EMBOLIA CEREBRALE. TUTTO È PRECIPITATO: IL MANAGER NON RIUSCIVA PIÙ A RESPIRARE E NON SI È PIÙ SVEGLIATO DAL TAVOLO OPERATORIO. È STATO TENUTO IN VITA CON LE MACCHINE. GIOVEDÌ SCORSO, MARCHIONNE È ENTRATO IN COMA
Marchionne lo sapeva da qualche mese. Ma il cancro ai polmoni l’aveva nascosto a tutti. Il primo a saperlo, insieme alla sua compagna Manuela, fu Alfredo Altavilla, per 14 anni fidatissimo braccio destro, al suo fianco in tutte le avventure sui due lati dell’Atlantico (lo chiamava alle 2 di notte, “Ho un’idea, partiamo subito per Detroit, l’aereo è già pronto”).
Chiamò Altavilla una settimana prima dell’ultima apparizione pubblica, quella del 26 giugno scorso quando consegnò al comando dell’Arma dei Carabinieri, in una cerimonia romana, la jeep FCA. “Penso di avere una cosa grave”, disse ad Altavilla, “Credo di sfangarla per un po’”. E aggiunse: “Vorrei che tu continuassi il mio lavoro…”
Marchionne ha poi raggiunto la clinica di Zurigo. La chemioterapia, però, non era sufficiente per un sarcoma, il più aggressivo dei tumori maligni. L’operazione al polmone aggredito dal cancro ha avuto esito negativo per una grave complicanza: embolia cerebrale. Tutto è precipitato: il manager non riusciva più a respirare, non si è più svegliato dal tavolo operatorio ed è stato tenuto in vita con le macchine. Giovedì scorso, è entrato in coma.
“SERGIO MARCHIONNE DA OLTRE UN ANNO VENIVA DA NOI PER CURARE UNA GRAVE MALATTIA”
LO HA PRECISATO L'OSPEDALE UNIVERSITARIO DI ZURIGO DOVE L'EX AD DI FCA È STATO RICOVERATO: “NONOSTANTE IL RICORSO A TUTTI I TRATTAMENTI OFFERTI DALLA MEDICINA PIÙ ALL'AVANGUARDIA, IL SIGNOR MARCHIONNE È PURTROPPO VENUTO A MANCARE. SIAMO OGGETTO DI DIVERSE VOCI TENDENZIOSE DA PARTE DEI MEDIA RELATIVAMENTE ALLA SUA CURA MA…”
(ANSA) - Sergio Marchionne "da oltre un anno si recava a cadenza regolare presso il nostro ospedale per curare una grave malattia". Lo precisa l'Ospedale Universitario di Zurigo dove l'ex ad di Fca è stato ricoverato. "Nonostante il ricorso a tutti i trattamenti offerti dalla medicina più all'avanguardia, il signor Marchionne è purtroppo venuto a mancare", aggiunge esprimendo "il più accorato cordoglio" alla famiglia.
"La fiducia dei/delle pazienti nei confronti del ricorso alle migliori terapie possibili e nella discrezione - spiega - è cruciale per un ospedale. L'Ospedale Universitario di Zurigo (Usz) attribuisce enorme importanza al segreto professionale, e questo vale in egual misura per tutti i pazienti e le pazienti. Lo stato di salute è materia del/della paziente o dei relativi familiari. Per questo motivo fino a questo momento l'Usz non ha preso posizione in merito all'ospedalizzazione e al trattamento del signor Sergio Marchionne. Attualmente l'Usz è oggetto di diverse voci tendenziose da parte dei media relativamente alla sua cura". L'Ospedale spiega di avere diffuso il comunicato "per frenare il susseguirsi di ulteriori speculazioni". Fonte: qui
Marchionne lo sapeva da qualche mese. Ma il cancro ai polmoni l’aveva nascosto a tutti. Il primo a saperlo, insieme alla sua compagna Manuela, fu Alfredo Altavilla, per 14 anni fidatissimo braccio destro, al suo fianco in tutte le avventure sui due lati dell’Atlantico (lo chiamava alle 2 di notte, “Ho un’idea, partiamo subito per Detroit, l’aereo è già pronto”).
Chiamò Altavilla una settimana prima dell’ultima apparizione pubblica, quella del 26 giugno scorso quando consegnò al comando dell’Arma dei Carabinieri, in una cerimonia romana, la jeep FCA. “Penso di avere una cosa grave”, disse ad Altavilla, “Credo di sfangarla per un po’”. E aggiunse: “Vorrei che tu continuassi il mio lavoro…”
Marchionne ha poi raggiunto la clinica di Zurigo. La chemioterapia, però, non era sufficiente per un sarcoma, il più aggressivo dei tumori maligni. L’operazione al polmone aggredito dal cancro ha avuto esito negativo per una grave complicanza: embolia cerebrale. Tutto è precipitato: il manager non riusciva più a respirare, non si è più svegliato dal tavolo operatorio ed è stato tenuto in vita con le macchine. Giovedì scorso, è entrato in coma.
LO HA PRECISATO L'OSPEDALE UNIVERSITARIO DI ZURIGO DOVE L'EX AD DI FCA È STATO RICOVERATO: “NONOSTANTE IL RICORSO A TUTTI I TRATTAMENTI OFFERTI DALLA MEDICINA PIÙ ALL'AVANGUARDIA, IL SIGNOR MARCHIONNE È PURTROPPO VENUTO A MANCARE. SIAMO OGGETTO DI DIVERSE VOCI TENDENZIOSE DA PARTE DEI MEDIA RELATIVAMENTE ALLA SUA CURA MA…”
(ANSA) - Sergio Marchionne "da oltre un anno si recava a cadenza regolare presso il nostro ospedale per curare una grave malattia". Lo precisa l'Ospedale Universitario di Zurigo dove l'ex ad di Fca è stato ricoverato. "Nonostante il ricorso a tutti i trattamenti offerti dalla medicina più all'avanguardia, il signor Marchionne è purtroppo venuto a mancare", aggiunge esprimendo "il più accorato cordoglio" alla famiglia.
"La fiducia dei/delle pazienti nei confronti del ricorso alle migliori terapie possibili e nella discrezione - spiega - è cruciale per un ospedale. L'Ospedale Universitario di Zurigo (Usz) attribuisce enorme importanza al segreto professionale, e questo vale in egual misura per tutti i pazienti e le pazienti. Lo stato di salute è materia del/della paziente o dei relativi familiari. Per questo motivo fino a questo momento l'Usz non ha preso posizione in merito all'ospedalizzazione e al trattamento del signor Sergio Marchionne. Attualmente l'Usz è oggetto di diverse voci tendenziose da parte dei media relativamente alla sua cura". L'Ospedale spiega di avere diffuso il comunicato "per frenare il susseguirsi di ulteriori speculazioni". Fonte: qui
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