Donato Masciandaro ha recentemente commentato sul Sole 24Ore il monito del FMI circa i rischi di una nuova crisi causata dallo scoppio di una bolla finanziaria (meglio tardi che mai, si potrebbe dire): “Il Fondo monetario internazionale (Fmi) si è ieri aggiunto alla Banca dei regolamenti internazionali (Bis) nel mandare pubblicamente un monito a Paesi e mercati che suona più o meno così: c’è un rischio di recessione da bolla finanziaria che sotto alcuni aspetti ricorda quello che ha preceduto la Grande Crisi del 2008. Peccato che è un monito che nessuno vuol sentire. Sia tra i politici che tra i banchieri centrali. E quando ci sono allerta di pericolo a cui tutti sono sordi, il rischio che il pericolo diventi reale aumenta”.
A onor del vero la BIS insiste su questo rischio da anni, peraltro inascoltata dai suoi soci, ossia le banche centrali. Il FMI fino a poco tempo fa sosteneva le politiche fiscali e monetarie espansive senza porsi tanti problemi.
“Il Fondo non ha fatto altro che mettere in fila alcuni numeri, per ricordare che esiste un rischio recessione finanziaria. Che cosa è una recessione finanziaria? È un tipo speciale di caduta dell’attività economica, che può essere raccontato in tre fasi. La prima fase parte da una crescita esuberante del credito all’economia, che può essere pubblica o privata. Tale crescita innesta una seconda fase, caratterizzata da una bolla. La bolla può essere di natura finanziaria – debito privato e/o pubblico – e/o di natura reale – mercato immobiliare – e ha – per definizione – una dinamica imprevedibile, in cui c’è sempre una fase ascendente – in cui la bolla non viene percepita come tale – e una discendente, che a sua volta può essere graduale nei modi e allungata nei tempi (sgonfiamento), oppure rapida e rovinosa (scoppio). Nel secondo caso lo scoppio della bolla innesca la terza fase: il problema da finanziario diventa anche reale, facendo partire una recessione economica”.
Il timing degli eventi è ovviamente imprevedibile, ma i nessi causali tra azioni e conseguenze dovrebbero esserlo di più. Quindi, invece di provare ad azzeccare il timing, meglio evitare le azioni che hanno determinate conseguenze.
“Quindi la recessione finanziaria è davvero dolorosa; i dati peraltro ci ricordano solo qualcosa che abbiamo di recente provato sulla nostra pelle, visto che la Grande Crisi è stata appunto una recessione finanziaria. Quindi dovremmo aver imparato la lezione, che si può riassumere in una frase: evitare eccessi di espansione monetaria che finanziano una deregolamentazione finanziaria. L’abbiamo messa in pratica? La risposta in generale è no. Per evitare il rischio bolla, la finanza dovrebbe essere meglio regolamentata, attraverso un mix di regolamentazione prudenziale – i cosiddetti coefficienti patrimoniali – e di regolamentazione strutturale – limiti alla complessità delle attività finanziarie e agli intrecci tra i comparti meno rischiosi con i più rischiosi”.
Continuare a manipolare la moneta pensando di poter contenere le conseguenze negativemediante regolamentazione si basa sulla presunzione di poter governare eventi ingovernabili. Anche questo dovrebbe aver insegnato la storia (non solo recente).
Lo stesso Masciandaro, peraltro, ricorda che l’imposizione di limiti, “non piace ai politici, in quanto riduce le possibilità di collusione tra politica e finanza che nascono quando i governanti vogliono usare le politiche del debito come scorciatoie per aumentare il consenso. Allo stesso tempo – e per le stesse ragioni – possono non piacere alle banche. Infine, possono non piacere anche ai banchieri centrali. Prevenire la creazione delle bolle è infatti un’attività ad alto rischio reputazionale. In primo luogo, perché è difficile individuare in fieri il gonfiarsi di una bolla. In secondo luogo, perché provare a sgonfiare una presunta bolla è un’attività tecnicamente delicata. Come ricorda lo stesso Fondo monetario, una gestione della politica monetaria coerente con l’obiettivo di una difesa credibile della stabilità macroeconomica può creare conseguenze inattese e non volute in termini di stabilità finanziaria. Quindi occorre rafforzare i presìdi diversi dalla politica monetaria – la cosiddetta politica macro prudenziale – per evitare che il dilemma tra stabilità monetaria e finanziaria si presenti. Ma qui emerge una difficoltà politica: azioni macro prudenziali rigorose potrebbero dover essere attuale in una fase espansiva del ciclo economico. Per cui i banchieri centrali tendono – correttamente – a ripartire i compiti tra politica monetaria – attenta alla stabilità macroeconomica – e politica macro prudenziale – deputata alla stabilità finanziaria. Peccato che la politica macro prudenziale nei fatti diventa come l’araba fenice: tutti ne parlano, ma nessuno sa dove è, visto che sarebbe politicamente costoso applicarla in modo sistematico. Per cui il rischio da recessione finanziaria è sottostimato. Purtroppo”.
Condivido la conclusione, ma non la parte centrale. Come ho già sostenuto, proprio perché le conseguenze indesiderate della politica monetaria non sono governabili, è sbagliato pensare che basti applicarsi di più sul lato dei cosiddetti provvedimenti macroprudenziali. Se a ciò si aggiunge la diffusa resistenza da parte di diversi attori, dovrebbe risultare chiaro che è meglio ridurre (fino ad azzerarli) gli interventi di politica monetaria piuttosto che sperare di contenerne gli effetti collaterali mediante interventi correttivi. Una posizione che quasi sempre non è condivisa neppure da chi riconosce i rischi che si corrono. Purtroppo.
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