IL TRAPIANTO A MILANO
UNA MICROTELECAMERA TRASFERISCE INFORMAZIONI AD UN COMPUTER E QUESTO AL CERVELLO
UNA RIEDUCAZIONE DURATA DUE ANNI PER VEDERE UNA STRISCIA BIANCA SULLA LAVAGNA
Elena Tebano per il Corriere della Sera
La differenza tra la seconda e la terza vita di Nicola Sfregola sta in un fuoco di artificio. «Era in bianco e nero, un bagliore - dice - che potevo inseguire con lo sguardo: tornare a vederlo è stata un' emozione indescrivibile». Sfregola, 53 anni, di Cologno Monzese, non pensava che ci sarebbe più riuscito perché vent' anni fa ha perso la vista a causa di una malattia degenerativa ereditaria, la retinite pigmentosa.
«La mia prima vita è finita così, ho iniziato la seconda con una diagnosi che pensavo sarebbe stata una condanna». Oggi, invece, è uno dei circa 300 pazienti al mondo a cui è stato impiantato un occhio bionico capace di sostituire i fotoricettori della retina, le cellule cioè che si collegano al nervo ottico per trasmettere le immagini al cervello.
Si chiama Argus II, l' équipe del direttore della Clinica Oculistica Luca Rossetti all' Ospedale San Paolo di Milano ha appena usato la stessa tecnica su un altro paziente, ma Sfregola è la prima persona per la quale è stata impiegata nel capoluogo lombardo, e adesso, a due anni dall' operazione, è diventato un punto di riferimento per gli altri malati. «Abbiamo lavorato molto con i medici del San Paolo per imparare a usare la retina artificiale - dice - e spesso incontro chi si vuole sottoporre all' operazione per spiegare cosa deve aspettarsi».
Non certo di recuperare la vista: l' occhio bionico ha una definizione molto più limitata di quello umano. I pazienti come Sfregola «vedono» grazie a una minitelecamera montata su occhiali e collegata a un piccolo computer che indossano. E che trasforma le immagini da 60 pixel in impulsi elettrici trasmessi in modalità wireless a un ricettore impiantato sotto pelle e collegato a un microchip sulla superficie della retina. Gli impulsi così bypassano i fotorecettori danneggiati e stimolano le cellule retiniche rimanenti, che inviano le informazioni visive lungo il nervo ottico fino al cervello creando la percezione di motivi luminosi in bianco e nero.
«Mi hanno attivato l' impianto a un mese dall' operazione e all' inizio è stata una delusione - confessa Sfregola -: credevo di distinguere contorni e ombre, ma non era esattamente così». È stato necessario un lungo lavoro di rieducazione del cervello solo per riuscire a percepire dei bagliori dalla forma incerta: «Avevo una lavagna per la riabilitazione, dovevo esercitarmi per alcune ore tutti i giorni - spiega -. Dopo tre settimane sono finalmente riuscito a riconoscere una stringa bianca sul fondo nero. Capivo dov' era».
Sfregola era così emozionato che non ci poteva credere: «Temevo di averla trovata solo perché sapevo dove l' avevo messa. Quando l' ha sistemata mia moglie e sono riuscito comunque a individuarla è stata una felicità grandissima».
Oggi Sfregola deve comunque camminare con il bastone, ma fa una vita che definisce «normale»: «Ho un lavoro, degli amici, una moglie meravigliosa, Silvia, che ho conosciuto quando già non vedevo più e ha avuto la grande forza di iniziare una storia con una persona disabile. Ho i miei figli, Sara e Giovanni, di 7 e 5 anni». Sono stati loro i più entusiasti dopo l' impianto: «Mi si paravano davanti e chiedevano: papà, ora mi vedi? Sono un bagliore anche loro, ma per me - spiega - riconoscerne la presenza è una gioia immensa». Oggi, come quei fuochi di artificio che i tecnici di Argus gli hanno mostrato a sorpresa un anno fa, illuminano la sua terza vita. «Ritrovare la luce mi ha fatto rinascere davvero - dice con un sorriso -: come si dice per i neonati, sono di nuovo venuto alla luce anch' io».
Fonte: qui
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