DIVENTA REATO LA “DIFFUSIONE DI RIPRESE E REGISTRAZIONI DI COMUNICAZIONI FRAUDOLENTE”, FATTO SALVO IL DIRITTO DI REGISTRARE UNA PROPRIA CONVERSAZIONE A FINI PROCESSUALI, E IL DIRITTO DI CRONACA
NON SARÀ REATO L'INTERVISTA “RUBATA” ALLA MANIERA DE “LE IENE”
Francesco Grignetti per “la Stampa”
Con l'ultimo passaggio nel consiglio dei ministri di ieri, è legge la nuova disciplina sulle intercettazioni «non penalmente rilevanti». S'intendono così quelle intercettazioni che il giudice ritiene inutili ai fini del processo. Obiettivo della legge è tutelare tre interessi costituzionalmente riconosciuti, ma tra loro in conflitto: il diritto alla privacy (dei cittadini), il diritto all'informazione (tramite i media), il dovere di indagare (della magistratura). Diciamo subito che probabilmente l'obiettivo era irraggiungibile, infatti sono tutti arrabbiati: magistrati, avvocati e giornalisti.
«Ora - commenta invece il ministro della Giustizia, Andrea Orlando - abbiamo un quadro più chiaro delle conversazioni che vanno tolte dai fascicoli perché non hanno rilevanza penale e vanno distrutte». In estrema sintesi, secondo Orlando, le intercettazioni devono servire «per contrastare la criminalità» e non come «strumento per alimentare i pettegolezzi».
UN NUOVO REATO
Diventa reato la «diffusione di riprese e registrazioni di comunicazioni fraudolente», fatto salvo il diritto all' autodifesa, cioè registrare una propria conversazione a fini processuali, e il diritto di cronaca. Non sarà reato l' intervista «rubata» alla maniera delle Iene.
VIETATO DIVULGARE
Qualora un' intercettazione sia ritenuta «non penalmente rilevante» non dovrà mai vedere la luce. Complesso il sistema per garantirne la segretezza: innanzitutto se ne vieta perfino la trascrizione, anche sommaria, onde non ci sia nessun documento in circolazione.
La polizia deve informare il pm e indicare solo la data, l'ora e il dispositivo. È prevista una procedura in due fasi: dapprima ci sarà il deposito delle conversazioni e delle comunicazioni (con possibilità per gli avvocati di ascoltare il materiale entro 10 giorni, senza possibilità di averne copia), successivamente l'acquisizione di quelle rilevanti e utilizzabili. Le altre, quelle irrilevanti e inutilizzabili, finiranno in un archivio riservato di cui sarà responsabile il pubblico ministero, e da dove potranno essere recuperate in un secondo momento qualora le si ritenessero utili al processo.
LE POLEMICHE
Il nuovo sistema in pratica scontenta tutti. I magistrati, perché ritengono impossibile che un singolo magistrato possa ascoltare migliaia di registrazioni e quindi, alla fine, il vero potere di vita e di morte su un'intercettazione lo avrà la polizia. «Si poteva fare di meglio», dice il presidente dell' Anm, Eugenio Albamonte. I penalisti, in quanto «non dare copie agli avvocati di tutto il materiale intercettato è un vulnus. Per tutelare privacy e riservatezza, si è scelto di limitare fortemente il diritto di difesa».
Infine i giornalisti: «Non tutto ciò che è rilevante per soddisfare il diritto dei cittadini ad essere informati - sostiene il sindacato Fnsi - ha necessariamente rilevanza penale, ma i giornalisti hanno il dovere di pubblicare tutte le notizie di interesse pubblico».
IL VERO NODO
Delle centinaia di migliaia di intercettazioni che si effettuano ogni anno, solo una minima parte finisce nei processi. Il resto sono «irrilevanti» e quindi, da ora in poi, saranno trattate come «segrete». Potrebbero magari avere un rilievo politico, anche se non penale. Di qui l'ira dei grillini: «Si impediranno le trascrizioni (e la pubblicazione, ndr) delle conversazioni intercettate anche quando le stesse hanno rilevanza politica di un certo peso ».
30 Dicembre 2017
Fonte: qui
DAI MILITARI FACTOTUM AL MAGISTRATO “VEGGENTE”
LUCI ED OMBRE SULLA RIFORMA DELLE INTERCETTAZIONI
LA POLIZIA GIUDIZIARIA DOVRA’ FARE I RIASSUNTI DELLE SPIATE ED IL PM DOVRA’ INTUIRE QUALI SONO “RILEVANTI” PER L’INCHIESTA
I DIFENSORI POTRANNO SOLO ASCOLTARLE SENZA TRASCRIVERLE
INSOMMA, UN BEL CASINO…
Luigi Ferrarella per il “Corriere della Sera”
Su 7.730 cronache giudiziarie di 6 mesi, nel 2016 gli avvocati penalisti rilevarono che solo il 7,3% riportava intercettazioni, a loro volta riguardanti estranei alle indagini solo nel 7,5% dei casi: eppure l' asserita «gogna mediatica» sui «terzi» ha carburato la nuova legge sulle intercettazioni, di cui solo l'esperienza potrà saggiare le farraginosità già segnalate da avvocati e procuratori.
Già al momento dell'ascolto la polizia giudiziaria possiederà l'iniziativa di scremare in un archivio riservato le intercettazioni che riterrà irrilevanti, senza trascriverle in brogliacci ma avvisando il pm, che da «veggente» cercherà di intuire se invece tra esse ve ne siano di rilevanti da salvare: poi toccherà al difensore fare l'«esploratore» in cerca di quelle utili all' indagato, ma in molto meno tempo (10 giorni in generale) e molto più alla cieca (potendo il legale solo ascoltare gli audio ma non farne copia, e avendo per orientarsi solo giorno-ora-apparecchio).
Il legislatore, sbilanciato sulla carsica idea che vorrebbe schiacciare le cronache sulla sola rilevanza giudiziaria (anziché anche sull'interesse pubblico di notizie vere e proposte con essenzialità e continenza), cerca però di riposizionarsi facendo cadere il segreto dopo l'ordinanza con cui il gip, al termine del contradittorio tra accusa e difesa sullo stralcio delle intercettazioni irrilevanti, acquisisce al fascicolo quelle rilevanti; e prevedendo che dal 2019 l'ordinanza di custodia cautelare sia pubblicabile subito e interamente, non più solo nel contenuto fino all'udienza preliminare (come oggi per tutti gli atti non coperti da segreto).
Sfugge il senso del perché sì l'ordinanza d' arresto e non anche i singoli atti (pure non più segreti) su cui si basa; e del perché sì solo l'arresto (che per definizione all' inizio è una foto solo dell' accusa) e non anche le ordinanze successive magari favorevoli alla difesa (come un Riesame che annulli l'arresto).
Si è dunque ancora ben lungi da un accesso diretto e trasparente del giornalista agli atti non più segreti, dal 2006 qui più volte proposto come antidoto al Far West del (finto) proibizionismo e come anzi miglior garanzia proprio per le persone al centro di cronache giudiziarie di interesse pubblico.
Tuttavia l'embrione di norma responsabilizza e alza gli standard deontologici dei giornalisti. E alla lunga può forse approdare all'accesso diretto se renderà insostenibile l'attuale diniego degli uffici giudiziari a riconoscere ai giornalisti l'«interesse» richiesto dall' art. 116 c.p.p., in base al quale «durante il procedimento chiunque vi abbia interesse può ottenere il rilascio a proprie spese di copie di singoli atti». Tanto più se di un atto di cui la legge esplicita la piena pubblicabilità.
29 Dicembre 2017
Fonte: qui
Nessun commento:
Posta un commento