LA PETIZIONE HA RAGGIUNTO LE 500 FIRME DI ESPERTI IN TUTTO IL MONDO, EPPURE SI PREFERISCE DARE RETTA A UNA 16ENNE CHE HA ABBANDONATO LA SCUOLA – INTANTO GRETA HA FATTO CAUSA A GERMANIA, FRANCIA, BRASILE, ARGENTINA E TURCHIA PER AVER…
CLIMA DI CENSURA TRA SCIENZIATI: VIETATO PARLARE MALE DI GRETA
Giuseppe Marino per “il Giornale”
Non c' è bisogno dell' olio di ricino: per un pestaggio bastano le parole. Succede che un gruppo di otto scienziati italiani rediga un documento che contesta l' allarme sul cambiamento climatico e il legame con le attività umane, una «Petizione sul Riscaldamento Globale Antropico». Il documento viene diffuso tra i colleghi senza particolare battage mediatico, soprattutto se comparato all' eco planetaria ottenuta dai fautori delle tesi opposte che hanno eletto a simbolo la giovane Greta Thunberg.
Succede anche che, nonostante la disparità di forze, la petizione raccolga duecento firme di scienziati, tra cui quella del fisico Antonino Zichichi. Il testo viene inoltre tradotto in inglese e comincia a circolare fuori dall' Italia con un titolo più aggressivo: «European Declaration: There is No Climate Emergency». Si arriva in breve a 500 firme di studiosi di tutto il mondo e viene preparata una conferenza per discuterne a Oslo il 18 e 19 ottobre. Al centro dell' offensiva «scettica» ci sono tra l' altro dati presentati dal gruppo di studiosi che mostrano un aumento delle temperature minore delle previsioni dell' Intergovernmental panel on climate change (Ipcc), l' organismo dell' Onu che indaga il «climate change».
Fin qui pare trattarsi di un normale confronto di idee, a fronte di un tema dalle tante implicazioni, anche politiche. Che però inevitabilmente attirano l' attenzione anche del movimento d' opinione che ha eletto il complesso discorso sul «global warming» a una forma di religione. In Italia il dibattito scientifico è subito diventato questione per curve da stadio.
Succede ancora che l' Accademia dei Lincei organizzi un convegno sull' argomento previsto per il 12 novembre e inviti anche uno scienziato che sostiene tesi opposte a quelle dell' Ipcc, il professor Franco Battaglia, uno degli otto promotori originali della petizione (nel gruppo c' è anche il professor Franco Prodi). Un membro del comitato organizzatore del convegno, il professor Guido Visconti, climatologo di fama che non ha mai nascosto i suoi dubbi sul modelli di ricerca dell' Ipcc ma che conferma il rapporto tra attività umana e cambiamento climatico, si dimette in polemica con la scelta dei Lincei.
Parte immediata la bastonatura contro il professor Battaglia.
Il quotidiano Repubblica pubblica un articolo in cui sbeffeggia gli articoli del docente, storica firma del Giornale e punta a metterne in ridicolo l' attività scientifica. Il titolo dell' articolo, soprattutto, è già un marchio: «I Lincei organizzano un convegno sul clima. E fanno parlare il negazionista Battaglia». La scelta del termine è significativa: «negazionista» è il vocabolo usato per indicare gli estremisti convinti contro ogni evidenza che l' Olocausto sia una montatura del popolo ebraico. Un modo piuttosto scoperto non di confutarne le tesi scientifiche, ma la stessa legittimazione sociale a esprimere un' opinione. Fonte: qui
GHIACCIAI A RISCHIO SCIOGLIMENTO, OCEANI SEMPRE PIÙ CALDI E CICLONI: A LANCIARE L'ALLARME SUL RISCALDAMENTO CLIMATICO STAVOLTA NON E' GRETA MA L'ONU
I MARI RISCHIANO DI SALIRE DI OLTRE UN METRO ENTRO FINE SECOLO.
E I GHIACCIAI DELL’HIMALAYA POSSONO SCIOGLIERSI ENTRO IL 2100
Sara Gandolfi per corriere.it
A due giorni dal vertice sul clima dell’Onu, l’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) ha pubblicato un nuovo drammatico rapporto, dedicato agli oceani e alla criosfera — le parti congelate del pianeta — intitolato Special Report on the Ocean and Cryosphere in a Changing Climate. Annunciato al termine di una sessione plenaria di quattro giorni, nel Principato di Monaco, il rapporto è una sintesi di 7000 papers scientifici di 36 paesi diversi, e non lascia margine al dubbio sulla crisi climatica in atto. Oceani sempre più caldi e acidi, ondate di calore, piogge e cicloni più devastanti, isole sommerse.
Ghiacciai dell’Himalaya a rischio, possono sciogliersi entro il 2100
L’innalzamento del livello del mare (finora + 16 cm) sta accelerando: senza un drastico taglio delle emissioni climalteranti, gli oceani entro il 2100 si alzeranno oltre dieci volte più velocemente di quanto sia avvenuto nel XX secolo. Ovvero 15 millimetri all’anno contro i 3,6 mm annui di oggi e l’1,4 mm del secolo scorso. Significa che il mare potrebbe sollevarsi di altri 84 centimetri entro fine secolo (secondo le stime più catastrofiche, addirittura 1,1 metri). Nello scenario migliore, con drastici tagli alle emissioni, si potrebbe limitare tale innalzamento a 43 cm.
I ghiacciai perderanno in media più di un terzo della loro massa nello scenario più grave (alte emissioni); alcune catene montuose potrebbero perdere oltre l’80 per cento dei propri ghiacciai entro fine secolo e molti sparirebbero completamente. Il ritiro dei ghiacciai di montagna modifica la disponibilità e la qualità dell’acqua a valle, con pesanti implicazioni per l’agricoltura e l’energia idroelettrica da cui dipendono le comunità locali.
La vita marina, già colpita duramente dal riscaldamento degli oceani, continuerà a declinare, anche se un taglio delle emissioni potrebbe ridurre il danno. Gli oceani si sono riscaldati senza interruzione dal 1970 e hanno assorbito più del 90% del calore in eccesso del sistema climatico. Dal 1993, il tasso del riscaldamento dell’oceano è più che raddoppiato. Tra l’84 e il 90 per cento di tutte le ondate marine di calore è oggi attribuibile alla crisi climatica: e le ondate sono due volte più frequenti, più calde e di maggior durata rispetto al periodo pre-anni Ottanta.
La loro frequenza sarà di 20 volte più elevate se nel 2100 l’aumento delle temperature si fermerà a 2 ° C rispetto ai livelli preindustriali. Ma sarebbe 50 volte maggiore se le emissioni continuassero ad aumentare. Il riscaldamento dell’oceano riduce la miscelazione tra gli strati d’acqua e, di conseguenza, l’apporto di ossigeno e sostanze nutritive per la vita marina.
L’oceano ha assorbito tra il 20 e il 30% delle emissioni di biossido di carbonio indotte dall’uomo dagli Anni ‘80, causando l’acidificazione degli oceani, destinata ad aumentare negli anni a venire. Il pH potrebbe crollare di altri 0,3 gradi entro il 2100, e questo implicherebbe un aumento dell’acidità di circa il 150 per cento. Fino all’80 per cento della parte superiore dell’oceano potrebbe perdere ossigeno già intorno al 2050. In conseguenza di ciò, la massa totale degli animali nell’oceano potrebbe diminuire del 15 per cento e la capacità massima di pesca crollare fino al 24 per cento entro fine secolo. I coralli sono particolarmente a rischio, anche nello scenario più roseo. Il riscaldamento e l’acidificazione degli oceani, la perdita di ossigeno e i cambiamenti nelle scorte di nutrienti stanno già influenzando la distribuzione e l’abbondanza della vita marina nelle zone costiere, in mare aperto e sul fondale marino.
I cambiamenti in atto negli oceani a loro volta generano fenomeni meteorologici estremi, destinati a peggiorare. Cicloni, uragani e tifoni diventeranno più potenti anche in un mondo a +2 C, causando maggiori danni alle coste, secondo il rapporto degli esperti Onu sul clima. L’«intensità media» dei cicloni tropicali e la percentuale dei cicloni di categoria 4 e 5, che è già aumentata negli ultimi decenni, «dovrebbe aumentare», anche se i cicloni in generale non dovrebbero essere più frequenti. Le correnti atlantiche – o Atlantic Meridional Overturning Circulation – che hanno un ruolo chiave nella redistribuzione del calore sul pianeta, sembrano destinate a indebolirsi, con il rischio di un aumento delle tempeste nell’Europa del Nord, di maggiori siccità in Sahel e Asia del Sud, e livelli del mare più alti nel nord est dell’America settentrionale.
Lo scioglimento del permafrost e del ghiaccio marino potrebbe provocare un aumento del riscaldamento marino, in un circolo vizioso che si auto-alimenta. Sta già avvenendo. Il disgelo in Groenlandia e Antartico sta rilasciando oltre 400 miliardi di tonnellate d’acqua all’anno. E a Nord l’area dell’Artico coperta dalla neve in estate si restringe di oltre il 13 per cento a decennio. Lo scongelamento del permafrost potrebbe rilasciare enormi quantità di diossido di carbonio e metano in atmosfera. Senza un drastico taglio delle attuali emission, si teme il rilascio di decine o centinaia di miliardi di tonnellate di CO2 entro fine secolo, con un’ulteriore accelerazione del riscaldamento climatico. Stessa conseguenza per lo scioglimento della neve e del ghiaccio.
Alcune isole sono destinate a diventare inabilitabili a causa dell’innalzamento degli oceani. Nello scenario peggiore, anche molte regioni costiere sono ad altissimo rischio: entro il 2300 il livello del mare potrebbe arrivare a +5,4 metri. Entro il 2050, molte megalopoli costiere e piccole nazioni insulari subiranno ogni anno catastrofi climatiche, anche con un’aggressiva riduzione delle emissioni di gas serra. Costruire una protezione contro l’innalzamento del livello dell’acqua potrebbe ridurre il rischio di inondazioni da 100 a 1.000 volte, se si investisse «da decine a centinaia di miliardi di dollari all’anno»,ma gli stati insulari non ne avranno i mezzi.
«L’oceano non può sostenere all’infinito il nostro attuale stile di vita — commenta Rebecca Hubbard di «Our Fish» — Stiamo spingendo ben oltre i limiti. L’Unione europea può lanciare un nuovo Green Deal prendendo subito misure per porre fine all’overfishing». E il sindaco di Parigi Anne Hidalgo, che presiede il gruppo C40 Cities, contro il cambiamento climatico le ha fatto eco: «Il rapporto è una lettura scioccante. Le coste del pianeta sono la casa di circa 1,9 miliardi di persone e di oltre la metà delle megacittà del mondo, e tutte sono in grave pericolo se non agiamo subito per impedire l’innalzamento delle temperature e del livello del mare».
L’oceano e la criosfera svolgono un ruolo fondamentale per la vita sulla Terra. Un totale di 670 milioni di persone nelle regioni di alta montagna e 680 milioni di persone nelle zone costiere dipendono direttamente da questi sistemi. Quattro milioni di persone vivono permanentemente nella regione artica, e gli Stati in via di sviluppo delle piccole isole ospitano 65 milioni di persone. «Il mare aperto, l’Artico, l’Antartico e le alte montagne possono sembrare lontani a molte persone», ha dichiarato Hoesung Lee, presidente dell’IPCC. «Ma dipendiamo da loro e ne siamo influenzati direttamente e indirettamente in molti modi: per tempo e clima, cibo e acqua, energia, commercio, trasporti, attività ricreative e turismo, per la salute e il benessere, per la cultura e l’identità». Fonte: qui
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