ARMSTRONG ERA UN BABY GENIO: IMPARO’ A LEGGERE A TRE ANNI
DECISE DI SPOSARE SUA MOGLIE JANET DOPO AVERLA VISTA UNA VOLTA, PERSE UNA FIGLIA DI DUE ANNI PER UN TUMORE CHE LO SPINSE A CANDIDARSI PER IL PROGRAMMA NASA)
PILOTA IN COREA DEL NORD DOVE AVEVA RISCHIATO LA PELLE, SFIORO' LA MORTE NELLA MISSIONE GEMINI 8, NEL 1965
Eleonora Barbieri per “il Giornale” del 21 ottobre 2018
Il Primo Uomo è nato di domenica. Il 20 luglio 1969, Viola Armstrong si è alzata alle cinque e mezza del mattino, per andare a messa. Qualche ora dopo, suo figlio Neil è sbarcato sulla Luna. Dopo qualche ora ancora, sempre suo figlio Neil è il Primo Uomo, quello che mette piede, per primo, sulla Luna. Quello che compie «un piccolo passo per un uomo», ma «un grande passo per l'umanità». Neil Armstrong, il Primo Uomo, era nato in realtà il 5 agosto del 1930 (compie 39 anni mentre è ancora in quarantena, dopo il ritorno sul pianeta Terra) a Wapakoneta, una cittadina dell' Ohio.
Diceva: «Camminare sulla superficie lunare, su una scala di difficoltà da uno a dieci, per me valeva uno. La discesa lunare, sulla stessa scala, probabilmente valeva tredici».
A tre anni impara a leggere, spronato dalla madre Viola che, oltre a essere molto religiosa, è anche una grande lettrice. In prima elementare, Neil legge cento libri. Nei suoi primi quattordici anni di vita, la famiglia si trasferisce sedici volte, su e giù per l' Ohio: eppure, in ogni nuova cittadina o nuova scuola, Neil si ambienta perfettamente.
Neil è, fin da bambino, un ingegnere: a suggellare questo suo stato dell' anima serve solo la laurea che arriva, puntuale, dalla Purdue University, dove segue il programma di ingegneria aeronautica. Sarà lui stesso a dire, molti anni dopo: «Sono e sarò sempre un ingegnere un po' nerd, con i calzini bianchi e il portapenne da taschino, nato grazie al secondo principio della termodinamica, imbevuto di tabelle al vapore, innamorato dei diagrammi di corpo libero, trasformato da Laplace e alimentato da un flusso comprimibile».
In quella missione erano in tre: Neil Armstrong, Buzz Aldrin e Mike Collins. Per autodefinizione di Collins, dei «cordiali estranei». Non c'era feeling particolare, e Buzz Aldrin patì tremendamente, prima, durante e dopo la missione, che non fosse toccato a lui l'onore del «primo passo».
Neil era il comandante e, in teoria, sarebbe dovuto scendere per primo Aldrin dalla scaletta. Ma la Nasa decise diversamente: «Sapevamo che sarebbe stato un nuovo Lindbergh e che la sua fama sarebbe stata eterna. E che tipo di persona volevamo per quel ruolo? Una leggenda, un eroe americano... Quell' uomo era Neil Armstrong. Neil era Neil. Calmo, tranquillo e profondamente sicuro. Non aveva un ego spropositato, non era il tipo pronto a pavoneggiarsi: Ehi, sarò il primo uomo sulla Luna!».
Non lo era. Era un ingegnere, aveva deciso di sposare sua moglie Janet dopo averla vista una volta (e, come precisò lei, «non era uno che prendeva in fretta le sue decisioni»), aveva perso una figlia di due anni per un tumore al cervello (e forse fu anche questo dolore immenso, mai esibito, a spingerlo a candidarsi per il programma spaziale della Nasa, proprio pochi mesi dopo la morte della piccola Karen), era stato pilota in Corea del Nord (dove aveva rischiato di morire), aveva fatto il collaudatore di aerei pericolosi e sperimentali, aveva volato su razzi potentissimi e superveloci, aveva sperimentato la «centrifuga» a un numero di giri quasi disumano, fino a perdere il senno, aveva sfiorato la morte nella missione Gemini 8, nel 1965; e quando, nella preparazione per il programma Apollo, un veicolo di addestramento per l' allunaggio era impazzito e saltato per aria all' improvviso, e lui era riuscito a buttarsi fuori e a salvarsi per un istante, dopo pochi minuti si era seduto in ufficio e aveva ripreso a lavorare sulle sue equazioni.
Non parlava della famiglia e, dopo la missione, accolto da eroe, preferì nascondersi sul lato oscuro della Luna. Tornò in Ohio. Trovò un posto da accademico, all' università di Cincinnati. Ricevette medaglie, onori, proposte politiche (tutte rifiutate). Soffriva di mal di mare, e di mal d' aereo.
Al ritorno dalla Luna, la navicella fu recuperata in mare; mentre lui e Aldrin aspettavano i sommozzatori, erano terrorizzati all' idea di vomitare davanti alle telecamere. Ma, del resto, la mentalità delle missioni era di un certo tipo, come spiegò proprio uno di quei sommozzatori: «Ci dissero: prima salvate le rocce lunari. Di quelle ne abbiamo solo una borsa, di astronauti ne abbiamo tanti»... Il più famoso, il Primo Uomo, è morto il 25 agosto del 2012, in un letto di ospedale, per le complicazioni di un intervento chirurgico.
A CINQUANTA ANNI DALLO SBARCO SULLA LUNA BUZZ ALDRIN RICORDA GLI ULTIMI MOMENTI VISSUTI A BORDO DEL MODULO LUNARE E L’ANSIA PER AVER SCOPERTO DI AVER QUASI FINITO IL CARBURANTE: “SIAMO SCESI DI 90 PIEDI IN 30 SECONDI. SOLO ALLORA SONO STATO FIDUCIOSO E HO PENSATO CHE POTEVAMO FARCELA…” (VIDEO)
DAGONEWS
Il tempo stava per scadere. Il modulo dell'Apollo 11 stava facendo la sua discesa verso la superficie lunare il 20 luglio 1969 quando la luce di carburante si accese. A 100 piedi (30 metri) dal suolo, non era quello di cui gli astronauti avevano bisogno. Il serbatoio dell’Eagle era quasi all’asciutto.
In una nuova video intervista sul primo sbarco sulla Luna, Buzz Aldrin, pilota del modulo lunare della missione, descrive come ha tenuto la lingua a bada quando è apparsa la spia e la voce di Charlie Duke, comunicatore della Nasa, ha informato Aldrin e Neil Armstrong che avevano solo 60 secondi.
«Ok. Cento piedi. Sessanta secondi. Faremo meglio a scendere» ricorda Aldrin che pensò di non mettere in agitazione Armstrong che aveva già abbastanza pensieri per la testa. Da un'altitudine di circa 500 piedi aveva preso il controllo del modulo lunare e si stava muovendo con cautela. Nessuno sapeva come avrebbe funzionato il modulo e proprio mentre scendevano apparve un grande cratere che voleva dire un enorme disastro per gli uomini e la missione.
Gli astronauti avevano già dovuto fare i conti con diverse spie d’allarme nel modulo, ma la storia del carburante era l’ennesimo problema che avrebbe potuto portare gli astronauti alla decisione di abortire la missione.
Eagle scese per altri 90 piedi nei successivi 30 secondi, lasciando all'equipaggio mezzo minuto di carburante per percorrere gli ultimi 10 piedi fino alla superficie lunare. Nell'intervista registrata al Science Museum di Londra nel 2016, ma rilasciata giovedì per la prima volta, Aldrin afferma che è stato solo in quella fase avanzata che si è sentito più fiducioso sull'atterraggio. «Ho pensato, ah, ce l'abbiamo fatta».
Fonte: qui
ECCO COSA SAREBBE SUCCESSO IN CASO DI DISASTRO LUNARE DELLA MISSIONE APOLLO 11: ARMSTRONG E ALDRIN SAREBBERO STATI…
IL DISCORSO CHE NIXON NON PRONUNCIO’ MAI: UN DOCUMENTO ELOQUENTISSIMO, TESTIMONIANZA DELL'ANSIA AMERICANA DI RAGGIUNGERE LA LUNA A TUTTI I COSTI E VINCERE LA SFIDA TECNOLOGICA E POLITICA COI RUSSI
Anna Lombardi per “la Repubblica”
«Il destino ha voluto che gli uomini andati sulla Luna per esplorarla in pace rimarranno sulla Luna per riposare in pace». Se cinquant' anni fa l' avventura lunare dell' Apollo 11 fosse fallita, il presidente americano Richard Nixon avrebbe detto proprio così. La Nasa, d' altronde, aveva già deciso.
Se dopo aver pronunciato la storica frase «un piccolo passo per l' uomo, un grande passo per l' umanità» Neil Armstrong e il suo compagno Buzz Aldrin non fossero riusciti ad abbandonare la superficie lunare per ricongiungersi con Michael Collins, all' interno del modulo di comando - ovvero a superare la fase più delicata della missione - sarebbero stati abbandonati lì. A morire di fame.
Non era prevista nessuna missione di soccorso. Ma in quel tragico caso, il protocollo da seguire era già pronto. L' allora presidente Nixon avrebbe letto alla nazione un discorso, subito dopo aver telefonato alle mogli per comunicargli che i loro eroici compagni non sarebbero tornati più. Joan Archer Aldrin e Janet Shearon Armstrong, "widow to be" - tecnicamente non ancora vedove - sarebbero state le prime a sapere.
E dopo un ultimo tentativo di Houston di comunicare in diretta tv con gli esploratori spaziali, le telecamere si sarebbero accese sullo Studio Ovale.
«Questi uomini impavidi, Neil Armstrong ed Edwin Aldrin, sanno di non avere speranza. Ma sanno che c' è speranza per l' umanità nel loro sacrificio» avrebbe esordito Nixon a quel punto. Era stato Frank Borman a suggerire alla Casa Bianca di prepararsi al peggio.
L' ex comandante di Gemini 7 e Apollo 8, nel 1965 primo uomo a orbitare intorno alla Terra e, nel 1968, il primo a volare verso la Luna, conosceva bene i rischi che la missione Apollo 11 implicava. E fu dunque proprio lui a chiamare l' allora ghostwriter del presidente, William Safire, suggerendogli: «Ti conviene preparare qualcosa nel caso quest' avventura vada male». Lo ha raccontato, nel 1999, proprio Safire.
Dopo aver lasciato la Casa Bianca, in rotta con Nixon che lo aveva fatto intercettare, nel 1973 entrò al New York Times . Diventandone uno dei più brillanti editorialisti e vincendo anche il Pulitzer nel 1978. Il discorso venne ritrovato fra i faldoni della Richard Nixon Presidential Library proprio dopo il suo racconto a Nbc nel 1999. Due fogli di carta dattiloscritti, con un titolo: In Event of Moon Disaster , da tenere "nel caso di disastro lunare".
Safire buttò giù la bozza esattamente cinquant' anni fa, il 18 Luglio del 1969, mentre il mondo era incollato agli schermi in bianco e nero dei televisori, per seguire il viaggio degli astronauti. E infatti, scriveva il ghostwriter: «Durante la loro esplorazione questi due uomini hanno portato la gente di tutto il mondo a sentirsi una cosa sola. Nel loro sacrificio hanno consolidato la fratellanza».
Il testo venne consegnato a Bob Haldeman, capo dello staff di Nixon, con una serie di note a margine dove si suggeriva, fra l' altro, di far seguire alle dichiarazioni del presidente una sorta di rito funebre: un sacerdote - sempre in diretta tv - avrebbe pronunciato la preghiera della sepoltura in mare, affidando le anime degli astronauti alle «profondità degli abissi». Spaziali, s' intende.
Fortunatamente Nixon non pronunciò mai il discorso dove elogiava «uomini che furono i primi, e primi resteranno nei nostri cuori». Ma ancora oggi, quello speech mai entrato nella Storia è un documento eloquentissimo, testimonianza dell' ansia americana di raggiungere la Luna a tutti i costi e vincere la sfida tecnologica e politica coi russi. «Nell' antichità gli uomini guardavano alle stelle e vedevano i loro eroi nelle costellazioni. Nei tempi moderni facciamo lo stesso, ma i nostri eroi sono uomini epici in carne ed ossa. Altri seguiranno, e sicuramente riusciranno a tornare a casa.La ricerca dell' uomo non sarà negata ». I sovietici erano avvisati. Anche in caso di fallimento la corsa allo spazio era tutt' altro che finita.
Fonte: qui
IL DISCORSO CHE NIXON NON PRONUNCIO’ MAI: UN DOCUMENTO ELOQUENTISSIMO, TESTIMONIANZA DELL'ANSIA AMERICANA DI RAGGIUNGERE LA LUNA A TUTTI I COSTI E VINCERE LA SFIDA TECNOLOGICA E POLITICA COI RUSSI
Anna Lombardi per “la Repubblica”
«Il destino ha voluto che gli uomini andati sulla Luna per esplorarla in pace rimarranno sulla Luna per riposare in pace». Se cinquant' anni fa l' avventura lunare dell' Apollo 11 fosse fallita, il presidente americano Richard Nixon avrebbe detto proprio così. La Nasa, d' altronde, aveva già deciso.
Se dopo aver pronunciato la storica frase «un piccolo passo per l' uomo, un grande passo per l' umanità» Neil Armstrong e il suo compagno Buzz Aldrin non fossero riusciti ad abbandonare la superficie lunare per ricongiungersi con Michael Collins, all' interno del modulo di comando - ovvero a superare la fase più delicata della missione - sarebbero stati abbandonati lì. A morire di fame.
Non era prevista nessuna missione di soccorso. Ma in quel tragico caso, il protocollo da seguire era già pronto. L' allora presidente Nixon avrebbe letto alla nazione un discorso, subito dopo aver telefonato alle mogli per comunicargli che i loro eroici compagni non sarebbero tornati più. Joan Archer Aldrin e Janet Shearon Armstrong, "widow to be" - tecnicamente non ancora vedove - sarebbero state le prime a sapere.
E dopo un ultimo tentativo di Houston di comunicare in diretta tv con gli esploratori spaziali, le telecamere si sarebbero accese sullo Studio Ovale.
«Questi uomini impavidi, Neil Armstrong ed Edwin Aldrin, sanno di non avere speranza. Ma sanno che c' è speranza per l' umanità nel loro sacrificio» avrebbe esordito Nixon a quel punto. Era stato Frank Borman a suggerire alla Casa Bianca di prepararsi al peggio.
L' ex comandante di Gemini 7 e Apollo 8, nel 1965 primo uomo a orbitare intorno alla Terra e, nel 1968, il primo a volare verso la Luna, conosceva bene i rischi che la missione Apollo 11 implicava. E fu dunque proprio lui a chiamare l' allora ghostwriter del presidente, William Safire, suggerendogli: «Ti conviene preparare qualcosa nel caso quest' avventura vada male». Lo ha raccontato, nel 1999, proprio Safire.
Dopo aver lasciato la Casa Bianca, in rotta con Nixon che lo aveva fatto intercettare, nel 1973 entrò al New York Times . Diventandone uno dei più brillanti editorialisti e vincendo anche il Pulitzer nel 1978. Il discorso venne ritrovato fra i faldoni della Richard Nixon Presidential Library proprio dopo il suo racconto a Nbc nel 1999. Due fogli di carta dattiloscritti, con un titolo: In Event of Moon Disaster , da tenere "nel caso di disastro lunare".
Safire buttò giù la bozza esattamente cinquant' anni fa, il 18 Luglio del 1969, mentre il mondo era incollato agli schermi in bianco e nero dei televisori, per seguire il viaggio degli astronauti. E infatti, scriveva il ghostwriter: «Durante la loro esplorazione questi due uomini hanno portato la gente di tutto il mondo a sentirsi una cosa sola. Nel loro sacrificio hanno consolidato la fratellanza».
Il testo venne consegnato a Bob Haldeman, capo dello staff di Nixon, con una serie di note a margine dove si suggeriva, fra l' altro, di far seguire alle dichiarazioni del presidente una sorta di rito funebre: un sacerdote - sempre in diretta tv - avrebbe pronunciato la preghiera della sepoltura in mare, affidando le anime degli astronauti alle «profondità degli abissi». Spaziali, s' intende.
Fortunatamente Nixon non pronunciò mai il discorso dove elogiava «uomini che furono i primi, e primi resteranno nei nostri cuori». Ma ancora oggi, quello speech mai entrato nella Storia è un documento eloquentissimo, testimonianza dell' ansia americana di raggiungere la Luna a tutti i costi e vincere la sfida tecnologica e politica coi russi. «Nell' antichità gli uomini guardavano alle stelle e vedevano i loro eroi nelle costellazioni. Nei tempi moderni facciamo lo stesso, ma i nostri eroi sono uomini epici in carne ed ossa. Altri seguiranno, e sicuramente riusciranno a tornare a casa.La ricerca dell' uomo non sarà negata ». I sovietici erano avvisati. Anche in caso di fallimento la corsa allo spazio era tutt' altro che finita.
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