PER EVITARE L’IMPLOSIONE STA PENSANDO A UNA RIEDIZIONE DEL DIRETTORIO. MA L’ULTIMA PAROLA SPETTEREBBE SEMPRE E COMUNQUE A LUI
DAI 17 MILIARDI DELLA PROPOSTA INIZIALE AI 9 DELLA LEGGE DI BILANCIO: COME SI È ANNACQUATO IL REDDITO DI CITTADINANZA
POLVERE DI STELLE. RISPUNTA IL 'DIRETTORIO' NEL MOVIMENTO, DI MAIO PRONTO AL PASSO INDIETRO. TROPPE TENSIONI, C'È IL RISCHIO IMPLOSIONE
Arnaldo Capezzuto per http://il24.it
Il 'Decreto Sicurezza' diventerà legge. E' il patto sottoscritto da Luigi Di Maio e Matteo Salvini come garanzia per far continuare la traballante legislatura. La fiducia posta sul provvedimento prima al Senato e poi alla Camera blinda i 40 articoli di cui è composta la legge che molti hanno bollato come eccessivamente restrittiva contro i migranti. L'ok a scatola chiusa consolida solo l'alleato di Governo ma indebolisce i grillini.
Il Carroccio non casualmente cresce nei sondaggi e diventa asse centrale del Governo. Il provvedimento che dà una stretta ai diritti è chiaramente non in linea con i principi pentastellati. Qualcuno voleva tentare una sterzata. Impossibile con la fiducia. E inesorabilmente ora si è scavato un fossato nel Movimento 5 Stelle. Oltre ai potenziali 10 senatori dissidenti, ci sono almeno altri 40 deputati che non riconoscono più la leadership di Luigi Di Maio.
Il giovane vicepremier è sempre più isolato e indebolito nella guida dei Pentastellati. Non c' è statuto che tenga: la sua linea politica è dettata con durezza, non c'è dialogo e democrazia interna, le assemblee congiunte di Camera e Senato con gli eletti sono un triste soliloquio autoreferenziato, la piattaforma Rousseau – la mitica democrazia digitale – è un bluff di partecipazione.
Per ora l'unica cosa a cui sono chiamati i parlamentari grillini è il versamento obbligatorio dei 300 euro menili. C'è chi scalcia, chi minaccia, chi non nasconde più le contraddizioni e a muso duro denuncia pubblicamente mettendoci la faccia.
Non è un caso, infatti, la lettera fatta recapitare a Di Maio e firmata da 18 deputati. La situazione è pesante, ingestibile, complicata e prossima ad implodere rovinosamente. Di Maio inizialmente è stato inflessibile, ad arte ha fatto trapelare intenti bellicosi contro i dissidenti, gonfiato il petto e minacciato provvedimenti disciplinari esemplari.
E' fuoco di paglia. Di Maio si è rivolto ai pontieri e dato ampio mandato per trattare. A capo del 'gruppo di contatto' c'è il suo braccio destro Dario De Falco, lo stesso che ha tentato di far rientrare senza grande successo la rivolta al Senato.
Anche per arginare le forze centrifughe correntizie che fanno capo a Roberto Fico e Alessandro Di Battista e le tensioni provocate dai pesanti colpi delle inchieste giornalistiche concentriche, Luigi Di Maio pare che abbia aperto uno spiraglio.
Si lavora per creare una camera di compensazione ai piani alti del Movimento 5 Stelle. E' l'idea che in queste ore cariche di tensione si sta accarezzando: insomma, la riedizione di una sorta di 'Direttorio'. Una struttura permanente di conciliazione per rimettere al centro del Movimento gli eletti e i territori. A Di Maio toccherebbe il compito di fare sintesi, di qualificare la proposta politica e dire l'ultima parola assolutamente vincolante.
E' una corsa contro il tempo, il pentolone pentastellato ribolle tanto è vero che potrebbe intervenire a sorpresa il garante e coofondatore Beppe Grillo per placare gli animi.
La sensazione è di un passaggio delicato interno al Movimento 5 Stelle che incrocia pericolosamente la quasi certa riscrittura della manovra finanziaria e il clamoroso slittamento dell'avvio del reddito di cittadinanza e il restringimento degli stessi requisiti di accesso alla misura.
LA METAMORFOSI DEL SUSSIDIO M5S
Daniele Manca per il “Corriere della Sera”
Che il cosiddetto «reddito di cittadinanza» sia il marchio distintivo del Movimento 5 Stelle è fuor di dubbio. Ma questa misura «fiamma della dignità», come la definì Beppe Grillo, che con Gianroberto Casaleggio dedicò ad essa la marcia Perugia-Assisi del 2015, si è via via depontenziata, ancor prima di prendere la forma di una proposta di legge, che il governo Conte, non a caso, non ha ancora presentato e che, ora, rischia di subire altri ridimensionamenti sull' altare della trattativa con Bruxelles.
Nella passata legislatura i 5 stelle presentarono nel 2013 una proposta di legge che già indicava un sussidio fino a 780 euro al mese per chiunque non arrivasse a questo reddito, prevedendone il costo annuo, sulla base delle stime fatte dall' Istat, in quasi 17 miliardi all' anno.
Questa misura fu quindi riproposta nel programma elettorale del Movimento guidato da Luigi Di Maio, precisando che il sussidio sarebbe andato a 9 milioni di poveri, che una famiglia di 4 persone «può arrivare a percepire anche 1.950 euro» al mese e che circa 2 miliardi sarebbero stati destinati al potenziamento dei centri pubblici per l' impiego che avrebbero gestito la riforma.
Mantenendo fermi i punti cardine la proposta fu quindi trasferita nel cosiddetto «contratto di governo» alla base dell' esecutivo Conte. Anzi, al reddito di cittadinanza, si aggiunse la pensione di cittadinanza per tutti i pensionati poveri, il cui assegno sarebbe stato appunto integrato fino a 780 euro.
Con il disegno di legge di Bilancio, presentato dal governo e ora all' esame della Camera, è stato stanziato solo un fondo di 9 miliardi l' anno dal 2019 per il reddito e la pensione di cittadinanza, rinviando a specifici provvedimenti, che il governo appunto ancora non ha preso, l' attuazione della misura. Del fondo fanno parte gli oltre 2 miliardi già stanziati dal governo Gentiloni per il Rei, il reddito di inclusione.
Dei 9 miliardi, 7,1 dovrebbero servire al vero e proprio «reddito di cittadinanza», 900 milioni alla «pensione di cittadinanza» e un miliardo ai centri per l' impiego. Lo stanziamento, insomma, è stato dimezzato rispetto ai 17 miliardi del progetto iniziale dei 5 Stelle. E non a caso il governo ora parla di una platea di 5-6 milioni di beneficiari.
I conti, però, non tornano lo stesso. Se prendiamo gli 8 miliardi destinati complessivamente a reddito e pensioni di cittadinanza e li dividiamo per i 5 milioni di persone in condizioni di «povertà assoluta» secondo l' Istat, otteniamo una media di 1.600 euro all' anno, cioè 133 euro al mese per 12 mesi. Anche riducendo l' erogazione a 9 mesi, perché ora si ipotizza che i primi assegni verranno pagati ad aprile, si sale solo a 177 euro al mese.
Prendendo più correttamente a riferimento le famiglie in povertà assoluta (1,8 milioni) perché il requisito per ottenere il sussidio sarà l' Isee, cioè l' indicatore della ricchezza familiare, si ottiene che ad ogni famiglia dovrebbero andare in media 4.444 euro all' anno, cioè 370 euro al mese su 12 mesi o 493 euro su 9 mesi. La coperta, insomma, era già corta prima dell' apertura della trattativa con Bruxelles.
Non a caso i tecnici del governo avevano cominciato a mettere le mani avanti, spiegando che l' integrazione fino a 780 euro sarebbe andata solo a chi è in affitto mentre chi vive in casa di proprietà avrebbe avuto al massimo 500 euro.
Venivano inoltre sottolineati i diversi paletti per ottenere il sussidio, tutti volti a restringere la platea: disponibilità a svolgere 8 ore a settimana di servizi di pubblica; obbligo di partecipare a corsi di formazione; di non rifiutare più di tre offerte di lavoro; di sottoporsi a controlli incrociati su quanto dichiarato con la pena del carcere in caso di truffa. Ora l' impressione è che se per fare l' accordo con l' Ue, lo stanziamento a disposizione si dovesse ridurre, bisognerebbe rivedere i fondamentali stessi della misura.
Fonte: qui
COSA C’È NEL DECRETO SICUREZZA
Simone Fontana per www.wired.it
Mercoledì 28 novembre la Camera dei Deputati ha approvato in via definitiva – con 396 sì e 99 no – il decreto Sicurezza fortemente voluto dal ministro dell’Interno Matteo Salvini, che adesso è legge dello stato. A favore del provvedimento si sono schierati, oltre alla Lega, anche Forza Italia e Fratelli d’Italia – ricompattando così di fatto il fronte del centrodestra – oltre all’altro partner di governo, il Movimento 5 stelle, che temeva inizialmente il voto contrario di alcuni dissidenti, ma che alla fine ha serrato i ranghi, registrando le defezioni degli appena 14 deputati usciti dall’aula durante il voto finale.
Durante le dichiarazioni di voto, i deputati del Partito democratico hanno messo in scena una protesta, indossando delle maschere bianche per sottolineare come il provvedimento influirà sulle vite di migliaia di persone, “creando degli invisibili senza volto”. Questa è solo una delle critiche che da più parti vengono mosse al dispositivo, considerato da molti controproducente, dal momento che potrebbe creare una situazione di irregolarità più diffusa di quella attuale, quando non apertamente incostituzionale. Da parte sua Matteo Salvini rassicura, sostenendo che il decreto influirà positivamente sulla sicurezza dei cittadini.
Cosa c’è nel decreto
Un primo importante articolo del decreto – che per facilitare l’iter di approvazione ha finito con l’inglobare due differenti provvedimenti, uno relativo alla sicurezza e l’altro all’immigrazione – è quello che riguarda il restringimento dei casi in cui sarà possibile concedere la protezione umanitaria, abolendo di fatto questo tipo di tutela.
La protezione umanitaria esiste in Italia dal 1998 ed è una delle tre forme di protezione che lo stato accordava agli stranieri in condizione di bisogno. Questa, nello specifico, concedeva un permesso di soggiorno – tra i sei mesi e i due anni, rinnovabile – a cittadini non appartenenti all’Unione europea che presentavano motivazioni “risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello stato italiano”, che fuggivano da conflitti o calamità naturali, ma anche da persecuzioni e sfruttamenti.
Con il decreto voluto da Salvini una forma molto simile di tutela verrà concessa solo a vittime di violenza domestica, grave sfruttamento lavorativo, oppure a chi dimostri gravi problemi di salute. Chi scappa dal proprio paese dovrà assicurarsi che questo sia in uno stato di “contingente ed eccezionale calamità”, mentre è previsto un permesso di soggiorno premio a chi si distinguerà per “atti di particolare valore civile”.
La protezione umanitaria non sarà l’unica forma di protezione a subire una stretta: le cause di ritiro della protezione internazionale includerà anche violenza a pubblico ufficiale, lesioni personali gravi o gravissime, mutilazione dei genitali femminili, furto in abitazione e furto con strappo. Anche la cittadinanza italiana potrà essere ritirata – e questo è il punto su cui si concentrano le maggiori critiche di incostituzionalità – per persone considerate un pericolo per lo stato.
Più debole anche lo Sprar
Il decreto si occupa anche del tempo di permanenza – a tutti gli effetti un trattenimento obbligatorio – dei migranti stranieri nei Cpr (Centri di permanenza e rimpatrio), che da oggi sarà esteso dagli attuali 90 a 180 giorni. La misura nelle intenzioni del governo dovrebbe aumentare l’efficacia dei ripatri e a tal fine saranno stanziati 3,5 milioni di euro in tre anni. In compenso l’esecutivo ha introdotto una norma che depotenzia il sistema Sprar, l’accoglienza diffusa nata a Parma nel 1993 da un’idea di Emilio Rossi e considerato un modello virtuoso di accoglienza gestito dai comuni. Da oggi il sistema, che fornisce corsi di lingue e percorsi di avviamento al lavoro, non sarà più aperto ai richiedenti, ma potranno accedervi solo i destinatari di protezione internazionale.
Fonte: qui
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