9 dicembre forconi: La roulette russa sulla pelle dell'Italia

venerdì 10 agosto 2018

La roulette russa sulla pelle dell'Italia

L’Italia non ha speranza. È finito. Non bisogna quindi interessarsi dello spread, del debito con il suo esorbitante costo per il servizio.
Lapresse



Questo Paese non ha speranza. È finito, mettetevelo in testa. E chissenefrega dello spread, del debito con il suo esorbitante costo per il servizio, dei mitici "mercati" che ci insegneranno a votare. È finito perché è abitato da gente che non ha il senso della convivenza, della coesione, del minimo sindacale di civismo, del realismo. Certo, siamo il Paese che tutti glorificano all'estero per le sue bellezze naturali e storiche, per il cibo e il vino, per il senso dell'accoglienza e del saper vivere. Balle. Sapete dove vanno i turisti? In Spagna, Grecia e Croazia. Lo certificava domenica un articolo del Corriere della Sera parlando del "modello Gallipoli", ovvero - almeno da quanto ho capito - la scelta di puntare tutto sulla versione un po' più chic (ma nemmeno troppo) di Ibiza, con feste infinite in spiaggia, deejay di richiamo internazionale e altre cialtronate simili. 
Bene, non siamo stati capaci nemmeno di eccellere nell'abbassamento dello standard generale: l'articolo parla chiaro, «prezzi alti, scarsi servizi, imprese improvvisate: l'unico obiettivo è "tutto e subito". Così declina l'Ibiza d'Italia». Vero? Non vero? Vero in parte? Poco importa, ormai viviamo nella società della verità a targhe alterne. Siamo il Paese che si divide sull'uovo di Moncalieri, con un ex premier che twitta parlando di "brutale aggressione razzista" e poi non ha la decenza di chiedere scusa per l'idiozia che ha scritto e rappresentanti di governo che si lasciano andare a battute sui figli di papà del Pd, nello stesso giorno in cui si scopre che proprio al Viminale albergano figli di papà abbastanza noti, quantomeno stando alla cronaca più stringente. 
Un Paese del genere mi fa pena, prima che paura. Perché se mi facesse paura, quantomeno susciterebbe in me una sensazione vitale - ancorché negativa -, mentre ormai siamo all'assuefazione da miseria umana, culturale e politica. E poco mi importa del "modello Gallipoli", mi interessa che chi mi governa e mi chiede tasse spropositate per ottenere servizi pressoché nulli, si riempia la bocca - illustrandomi la sua idea di futuro - con l'investimento in turismo e cultura, ciò che ormai va di moda definire "il nostro petrolio". Certo, se poi non sai trivellare e bucherelli il Paese a caso, il petrolio serve a poco. Ma lì, in quella Puglia che pare aver perso l'ennesimo treno e l'ennesima occasione, si discute d'altro, si discute del Tap: e non per capire se davvero serve, non per intavolare un dibattito serio sulla sua economicità strutturale per il sistema Italia. No, per una disfida tutta ideologica sugli ulivi. I quali verranno reimpiantati a lavori terminati, ma qui siamo nel Paese che Ennio Flaiano definiva popolato da persone sempre pronte a fare le barricate, ma con i mobili altrui: bene, le poche migliaia di cittadini che tengono in ostaggio una Regione incapace anche di sfruttare le sue bellezze e risorse naturali, stanno facendo le barricate con i vostri e i miei mobili, perché pagare meno il gas e avere maggior concorrenza ed efficienza energetica è vitale per 60 e rotti milioni di italiani. I quali, però, non possono dire "bah" al riguardo, sospesi fra perenni rese dei conti pre o post-elettorali fra le forze di governo e quella che Robert Hughes mirabilmente definì "la cultura del piagnisteo". 
E lo stesso vale per il Terzo Valico, la Pedemontana lombarda, la Tsv: blocchiamo tutto, in nome di un supposto mito della decrescita felic(alias caduta libera!) che, giorno dopo giorno, flirta in realtà con il delirio autolesionista del mito del buon selvaggio (vedi l'affairevaccini). Ma è tutta la logica a essere perversa: perché sicuramente ci sarà qualche illuminato, purtroppo anche con responsabilità economiche di governo, che ridurrà la questione pugliese a una disputa ideologico-monetarista, restringendo il caso concorrenza alla Croazia e gridando al miracolo sovranista della kuna contro l'euro designato sulle necessità tedesche e che distrugge la nostra economia, turismo in testa. Peccato che gli altri due competitor che stanno scippandoci silenziosamente quote di mercato abbiano l'euro e che in un caso, quello greco, abbiano anche subito qualche annetto - per l'esattezza, sette - di politiche di austerity. Ma non importa, viviamo nel mondo in cui uno dei guru economici della Lega, Claudio Borghi, grazie a queste castronerie (per sua stessa ammissione in un'intervista, nella quale ammetteva di spararle grosse per farsi invitare in tv e ottenere consensi e visibilità) è diventato presidente della Commissione bilancio della Camera. Uno che ha fatto crollare il titolo di Mps (altri soldi nostri, per capirci) parlando di nazionalizzazione tout court a Borse aperte, per chi avesse la memoria corta o monodirezionale. 
E a proposito di Grecia, vi ricordate gli strepiti anti-Europa dei due giorni in cui la stampa e i social network si sono occupati degli incendi che hanno devastato l'Attica, salvo poi tornare in un caso a parlare di Cristiano Ronaldo e nell'altro a pubblicare gattini, fotografie delle vacanze e bufale pro o anti-immigrazione? Bene, vi ho già dimostrato - documenti del sindacato dei Vigili del fuoco greci alla mano - che i mezzi anti-incendio ellenici sono vecchi di quarant'anni, quindi ben prima che la Troika sbarcasse ad Atene, ma che negli anni si è preferito truccare i conti, organizzare faraoniche Olimpiadi (il cui lascito è stato un default e tantissimi cattedrali nel deserto, sulla cui costruzione però hanno banchettato in molti) e pagare sussidi e pensioni a cani e porci, piuttosto che ammodernare il parco mezzi dei pompieri, in un Paese endemicamente vittima degli incendi nel periodo estivo. Colpa dell'Europa o scelta dei vari governi che si sono succeduti in Grecia negli ultimi quarant'anni? 
Domenica, nel silenzio generale calato sulla vicenda, è giunta notizia della novantesima vittima di quei roghi. Una breve dell'Ansa, nulla più. Di ancora meno spazio e visibilità, però, hanno goduto queste due notizie (questa la prima e questa la seconda). Come mai - se come ci hanno detto per il paio di giorni in cui è durato l'interesse generale per il caso degli incendi in Grecia, la colpa è stata dei tagli imposti dalla Troika e dalla Germania brutta e cattiva - si è dimesso un ministro greco e non tedesco o un Commissario Ue? Non era tutta colpa dell'austerity europea, stando al 90% di media e politici in cerca di facili applausi? E come mai il premier, Alexis Tsipras, ha accettato al volo quelle dimissioni, non spendendo nemmeno un secondo in difesa del suo ministro? Forse perché era indifendibile? E come mai decine di familiari hanno intentato sì una class action in none dei loro congiunti deceduti, ma non contro Bruxelles o Berlino ma proprio contro il governo greco, reo a loro dire non solo dei mancati avvisi di evacuazione, ma anche di non aver abbattuto case di fatto abusive e in aree a rischio (mi ricorda qualche altro Paese, dove le emergenze diventano sempre drammi ma si costruisce su pendici di vulcani o accanto all'alveo dei fiumi)? 
Come mai, al netto dei sacrifici innegabili richiesti al popolo greco, nessuno ha fatto notare che i Vigili del Fuoco ellenici non hanno subito alcun taglio negli stanziamenti e nell'organico, cresciuto anzi di un - seppur minimo - 4% lo scorso anno? Non lo dico io, lo dice una nota ufficiale dell'Ue, pubblicata non certo con grande evidenza ed entusiasmo dal Corriere della Sera. Perché, soprattutto, tanto silenzio dei media su questi sviluppi? Perché non fanno comodo a certa retorica "sovranista" tanto di moda? 
Attenti, stanno giocando con il vostro futuro. E non a nascondino, bensì alla roulette russa. Non ci credete? Guardate qui
The Iran sanctions have officially been cast. These are the most biting sanctions ever imposed, and in November they ratchet up to yet another level. Anyone doing business with Iran will NOT be doing business with the United States. I am asking for WORLD PEACE, nothing less!
è il tweet di buongiorno con cui il nostro "migliore amico" minacciava chiunque, da ieri, avesse continuato a fare affari con l'Iran e, somma di danno e beffa, lo faceva appellandosi al desiderio di pace nel mondo, forse scordando lo straordinario contributo fornito a tal nobile fine da Al-Qaeda, Isis, Al-Nusra e compagnia sgozzante, tutti debitamente - e stranamente - al servizio degli interessi geopolitici e destabilizzanti del governo statunitense negli ultimi vent'anni. Se c'è una speranza di negoziato, magari anche arrivando al braccio di ferro, è perché la Commissione Ue ha fatto valere le sue prerogative, garantendo alle aziende europee (e quelle italiane sono tante) la prosecuzione su base legale dei loro business con Teheran: fossimo da soli, belli e sovrani, cosa faremmo di fronte a questa minaccia? Chiederemmo una deroga, essendo "migliori amici"? 

È questo il futuro che vogliamo, farci dettare direttamente l'agenda dal protettore di turno, oltretutto con interessi non concorrenti ma diametralmente e mortalmente opposti ai nostri? Chiedetelo ai Majakovskij sempre più stonati e spompati di questo governo, qualcuno lo trovate anche nei paraggi. Salvo non sia, come i suoi eroi giallo-verdi, troppo impegnato ad arrampicarsi sugli specchi. Perché l'autunno si avvicina. 
Fonte: qui

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