A CINQUE GIORNI DAL PRIMO ALLARME, LA STANZA DEL SINDACO È DIVENTATA UNA SPECIE DI SITUATION ROOM DOVE TUTTI, DALLA PROTEZIONE CIVILE ALL’ASL, CERCANO IL BANDOLO DI UNA EPIDEMIA SENZA SPIEGAZIONI
L’ACQUEDOTTO E’ STATO BOMBARDATO DI CLORO MA IL PANICO RESTA
Luca Fazzo per “il Giornale”
La bara di legno chiaro è lì, in mezzo alla navata della chiesa di San Nazaro e Celso. Dentro c' è Eden Stocchi, che era campata fino a 94 anni attraversando i secoli e le fatiche, ammazzata in una manciata di ore da un batterio senza volto. Il giorno prima di lei era toccata a Lino Mazzola, 94 anni, sopravvissuto al lager di Flossenburg e a due mogli; e ieri se ne va anche Norma Bigi, 84 anni. Tre morti in tre giorni.
Nel suo ufficio in Municipio, il giovane sindaco Simone Cairo segna col pennarello la mappa delle case dove la legionella ha spedito i suoi concittadini all' ospedale e al cimitero. Ventiquattro puntini, e il Municipio è l' epicentro del sisma.
Teme che parta il panico, la psicosi? «Se andiamo avanti così, sì». Quando ha capito di essere in un guaio? «Sabato pomeriggio. Ero andato in ospedale a trovare un malato di legionella. Mi fa: sa che anche quello del letto accanto è di Bresso? E al piano di sotto ce n' è un altro. Li ho capito che la situazione stava diventando critica».
A cinque giorni dal primo allarme, la stanza del sindaco è diventata una specie di situation room, il quartier generale dell' unità di crisi dove un po' tutti - sindaco, assessori, protezione civile, Croce rossa, Ats ovvero la vecchia Asl - cercano il bandolo di una epidemia senza spiegazioni. Ogni volta che un altro cittadino di Bresso si ammala, lo intervistano per cercare dei punti di contatto tra le varie storie, un comune denominatore. «Finora, zero», dice il sindaco.
Così si va avanti ad ipotesi. Mazzola, il deportato del lager, andava ogni giorno a zappare e a innaffiare l' orto, in bicicletta col bastone a tracolla, e magari le goccioline di acqua infetta le ha respirate lì: ma la Eden Stocchi non aveva mai zappato un orto in vita sua. In casa di un malato hanno trovato la legionella nell' acqua del rubinetto, ma nelle altre case no. E allora?
Cosa ha trasformato in batterio assassino questo inquilino quasi stanziale delle nostre tubature e delle nostre fontane? E perché tutto questo accade a Bresso, nello stesso Comune alle porte di Milano dove la legionella si scatenò già quattro anni fa, ammazzò un anziano, ne infettò altri otto, per poi sparire senza spiegazioni? L' acquedotto è pulito, dicono i tecnici, anche se per prudenza lo stanno bombardando di cloro.
Hanno spento tutte le fontane, hanno vietato di innaffiare gli orti per evitare che altri anziani facciano la fine di Mazzola. Nella piscina comunale, dove quattro anni fa il batterio si era insediato nelle docce, adesso pare che non ci sia: e comunque non l' hanno chiusa, perché in piscina ci vanno i ragazzi, e ai giovani il batterio gli fa un baffo, al massimo due giorni di antibiotici e via. Molti lo pigliano e non se ne accorgono neanche. Per lo stesso motivo non ci si preoccupa del gigantesco hub per profughi con cinquecento ospiti, ai confini est.
Per gli anziani è un' altra storia. Così da stasera quaranta volontari della protezione civile, in tuta e mascherina, busseranno alle porte dei vecchietti di Bresso offrendosi di disinfettare tutto; davanti alle chiese e ai dopolavoro («gli anziani dobbiamo intercettarli lì, perché i social network non li raggiungono») verrà spiegato come comportarsi, le precauzioni da prendere, la doccia da far scorrere. Già, perché non sapendo dove si annidi il batterio e perché si sia scatenato, l' unico rimedio è convincere all' attenzione, alle «buone pratiche» per non esporsi troppo al pericolo. Sperando che l' emergenza duri meno dei sei mesi che durò nel 2014. E facendo intanto quel che si può, andando a frugare negli ingranaggi di tutti i mezzi che per un motivo o per l' altro spruzzano nuvole d' acqua, dai camion che puliscono le strade ai rulli degli autolavaggi.
Gruppi di negozianti sono stati convocati in Comune per istruzioni, una parrucchiera ha stupito tutti dimostrando conoscenze da tecnico specializzato: lei era già in pista nel 2014, dovette imparare in fretta come mettere in sicurezza se stessa e le sue clienti.
La Procura intanto ha aperto una inchiesta, senza grande convinzione: lo fece già nel 2014 senza arrivare a nessuna conclusione, non si capì di chi era la colpa, e non si capirà neanche adesso. Il giovane sindaco intanto tiene botta, nella rogna che gli è piombata addosso. «Ho chiesto al governo una mano. Quando tutto sarà finito, indaghino, va benissimo. Ma io ho bisogno adesso. Ho bisogno di vederli qua».
Fonte: qui
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