LA 29ENNE AVREBBE AVUTO LEGAMI CON IL CREMLINO TRAMITE UN BANCHIERE RUSSO.
PER GLI INVESTIGATORI ERA STATA INCARICATA DI APRIRE “UN CANALE SEGRETO” PER ARRIVARE A TRUMP
Guido Olimpio per www.corriere.it
Maria Butina, nonostante abbia solo 29 anni, ha già fatto molte cose. Ha aperto un negozio di mobili in Siberia, ad Alta Krai, quindi lo ha venduto per trasferirsi a Mosca dove si è lanciata nella politica. Due anni dopo avrebbe iniziato una nuova vita, più intrigante e densa di contatti, fino ad entrare nel grande gioco del Russiagate.
Per gli investigatori statunitensi questa ragazza dai capelli rossi, tenace e intraprendente, è «un’agente di influenza» russa incaricata di aprire «un canale segreto» per arrivare fino a Donald Trump. Accusa severa che si è tramutata in un atto di incriminazione e nel successivo arresto, avvenuto di gran fretta nel timore che potesse scappare dagli Stati Uniti, il suo terreno di caccia.
La giovane russa — se sono fondati gli addebiti — ricorda altre semi-spie sguinzagliate dal Cremlino in questi anni. Persone capaci di muoversi in ambienti diversi, abili nel tessere legami, costruire amicizie, agire in profondità. Molto humint, ossia molto fattore personale, e poca tecnologia. Tante feste e party, congressi e persino raduni di preghiera, incontri aperti, non missioni mascherate. L’importante è trovare il sentiero giusto, quello che conduce lontano. E nella terra delle Colt Maria Butina si è lanciata nelle braccia della lobby delle armi, la National Rifle Association. Ed ecco le foto che la ritraggono a fiere con pistole, fucili e cappello da cowboy.
Coltivando relazioni con dirigenti dell’Nra, frequentando membri importanti come Paul Erickson del South Dakota, presenziando ad ogni occasione possibile la «rossa» sarebbe riuscita a far breccia. Non certo per sua unica iniziativa. Il sospetto dell’investigatore speciale Robert Mueller è che dietro la Butina ci sia innanzitutto Alexander Toshin, figura di rilievo della Banca centrale russa, suo boss e gancio diretto con il Cremlino. Esaminando computer e cellulare dell’arrestata l’Fbi ha trovato le tracce dei report con la quale informava il referente. Un aggiornamento costante di quanto combinava in riva al Potomac e nelle sue incursioni nei corridoi dell’establishment.
Lavorando sotto la luce del sole e delle telecamere, Maria avrebbe lanciato una serie di passi per rinsaldare l’amicizia con ambienti repubblicani e in particolare con l’entourage del candidato più gradito a Putin, Donald Trump. Viaggi in Russia, cene, ma anche rapidi colloqui hanno fatto da cornice. Ma, insieme a questi aspetti non certo misteriosi, c’è un lato più oscuro, quello di possibili finanziamenti, fronte sul quale c’è ancora da scavare malgrado la pista dei soldi non sia sempre facile da dimostrare.
Sono intrecci che si sommano ad altri, non meno complicati, sempre sull’asse Mosca-Washington, con molti intermediari impegnati nel far crescere l’asse Vladimir-Donald. Nei mesi scorsi si è parlato di un ruolo di un principe degli Emirati Arabi, insieme all’ex fondatore della Blackwater, Erik Prince. Giri con una tappa esotica alle Seychelles, prospettive di affari, amicizie interessate. Non scopriamo certo nulla, denaro e politica (alta o bassa) in questo caso procedono sullo stesso binario, qualsiasi gesto ha un costo. Sono favori uniti a investimenti sul futuro.
Maria Butina ora è in mezzo a tutto ciò. Si difende sostenendo di essere una appassionata d’armi, nega azioni malevole, non vuole certo passare per una pericolosa Mata Hari. Magari potrà portare come prova le dichiarazioni di Trump per dimostrare che il capo della Casa Bianca non ha bisogno di essere condizionato dagli 007 russi, la sua «passione»per Putin è evidente. Se non ci riuscirà deve essere pronta ad una condanna: rischia cinque anni di prigione. E in quel caso dovrà sperare in un gesto di clemenza oppure in uno scambio di spie.
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