POI PARLA DEL RAPPORTO MAI PIU’ RICUCITO CON LA FEDERAZIONE ("I MANIFESTI CELEBRATIVI SENZA DI ME? LA COSA MI FA SORRIDERE. CHE MISERIA UMANA") ...
Paolo Rossi per la Repubblica - Roma
Da Treviso, dove oggi risiede Adriano Panatta, Roma potrebbe sembrare più lontana e magari essere vista con un occhio nostalgico, perfino più disincantato. Ma no, niente di tutto questo vale per l' Adriano nazionale, romano che più non si potrebbe, il tennista che - alla metà degli Anni Settanta (il 1976 in particolare) - deliziò il palato degli appassionati di tennis con le sue smorzate e i colpi al volo che ancora oggi ricordiamo con nostalgia.
Adriano, è il momento degli Internazionali: che fa?
«Non ci vado come sempre, ormai da oltre quindici anni».
Per un rapporto mai più ricucito con la Federtennis.
«Esatto. Basta. Ah, no, una cosa voglio far capire a tutti: la federazione italiana non è il tennis nella sua totalità. È una goccia del mondo del tennis. Ma ne sto approfittando per dare una risposta a tutti quelli che me lo chiedono sempre».
L' ultimo episodio, la storia dei manifesti celebrativi senza lei.
«Direi che l' ha notato l' intera Italia. Ma io non voglio commentare, dico soltanto che la cosa mi fa sorridere. Semplicemente perché cerco di cogliere l' ironia in tutte le cose della vita, anche quelle della miseria umana».
Se lo ricorda che anche Pietrangeli era stato messo da parte nel ventennio del presidente Galgani?
«Lo ricordo perfettamente. Ma io non sento di essere stato messo da parte, o in esilio, o qualunque altra parola. Prima di tutto , perché a me nessuno mi costringe a far nulla. E secondo, perchè ormai mi occupo di altro». Va bene, abbiamo capito.
Ma Roma?
«Roma? È sempre bellissima, ma ormai è una vecchia signora, un pochino malandata».
Ormai è diventato trevigiano...
«Ma quando mai. Faccio la spola su e giù. Sono diventato un pendolare a oltre sessant' anni».
Però Roma ha bisogno di una chirurgia estetica.
«E di uno bravo. Un chirurgo come si deve, per un restyling serio».
E la Roma dei suoi esordi?
«E chi se la ricorda più...».
Uno sforzo...
«Mah, il mio primo torneo al Foro? Credo avessi diciassette anni. Sì, stavo ancora con i miei, abitavo sulla Colombo».
E si spostava con il motorino.
«No, con la macchina».
Ma non era maggiorenne...
«Ops... no, allora avevo già diciott' anni!».
Comunque sia, lei ha fatto la storia. Ma è vero che non ha più neanche le coppe?
» «Sì, non mi piace che la mia casa mi diventi una sorta di museo».
Poi è stato capitano di Coppa Davis e direttore tecnico degli Internazionali.
«Sì, per un triennio».
Ci si ricorda ancora di quella volta che uscì dal suo ufficio per affrontare gli ultras in viale delle Olimpiadi dopo una partita della Roma.
«Eh, credo fosse il 2000. C' era la domenica di campionato, quelli tiravano bombe carta. Io sono uscito semplicemente per difendere i miei ragazzi».
Ma se il tennis la richiamasse in qualche modo?
«No, i contrasti restano, non ne voglio più sapere. E ho altri interessi».
Però due anni fa c' è andato al Foro per partecipare alla cerimonia dei quarant' anni della vittoria azzurra in Coppa Davis...
«L' ho fatto solo perché me l' ha chiesto Giovanni Malagò, che è un caro amico. Ma non lo rifarei».
E dunque cosa le resta del tennis?
«Beh, vado sempre al Roland Garros. Mi invitano, hanno un altro modo di omaggiare e di ospitare i vincitori del loro torneo».
Torniamo a Roma, alla città...
«Mah, vederla ridotta così fa male. Le buche, i bus in fiamme in pieno centro storico. A leggerlo, e vedere le immagini, sembra incredibile. Ma ormai mi pare una partita persa, questa è la pura verità».
Per questo si dedica alle giovani generazioni.
«Esatto: il 'Banca Generali campione per amico', l' evento cui sono coinvolto insieme a Chechi, Graziani e Lucchetta vuol essere un divertimento e un messaggio per i ragazzini, che sono ancora sani e non guastati dal mondo circostante. Ci puoi scherzare, vederne la gioia, immaginare sogni e aspettative».
Ecco, l' ironia è stata davvero il modus vivendi di tutta la sua vita.
«Ma io odio chi si prende troppo sul serio. La gente che pontifica, nel tennis poi: ma vi pare normale? Noi tiriamo semplicemente delle palline...».
Di solito, quando pronunci il nome di Adriano Panatta, torni indietro nel tempo e pensi a Bjorn Borg, Vitas Gerulaitis, Loredana Bertè, Renato Zero...
«Vitas non c' è più, che tristezza ogni volta che penso a lui. E quanto a Loredana, è stato davvero bello rivederla qualche giorno fa, in televisione da Fabio Fazio. Bjorn mi capita di vederlo, rivanghiamo i vecchi tempi, e così con Renato se capita di incontrarci. In generale erano tempi in cui ci si poteva rilassare, vivere con un disincanto diverso rispetto a oggi. Fare cose che oggi è impossibile fare, con tutti questi social che asfissiano il mondo».
Ma la Bertè le ha dedicato anche una canzone.
«Così mi hanno detto... ma non voglio aggiungere altro, l' amicizia è sacra per me».
Insomma, era tutta un' altra atmosfera.
«Ma è la vita ad essere completamente cambiata. Ripeto, oggi c' è questo divismo che mi lascia veramente perplesso. È vero, come ho sempre detto, che il tennis l' ha inventato il diavolo - nel senso che è uno sport maledetto. Però a tutto c' è un limite».
Conclusione?
«Ma de che? Io sto a Treviso, giusto? Allora sapete cosa dovete fare? Chiedetemi del radicchio...».
Fonte: qui
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