PER LA BANDA ERA SOLO UN’OCCASIONE PER FARE RAZZIE - ECCO PERCHE E' MORTA ERIKA PIOLETTI
Federico Genta e Massimiliano Peggio per “la Stampa”
«Boh, ieri sera si faceva a meraviglia per quello che è successo». Che meraviglia spruzzare spray urticante tra la gente pigiata in piazza San Carlo per rapinarla, vederla fuggire, urlare in preda al terrore, calpestarsi, scarnificarsi tra i cocci di bottiglia, perdere scarpe, occhiali, portafogli, oggetti d’oro.
Che meraviglia vedere bambini sui passeggini abbandonati in mezzo al disastro, smarriti nella foga delle ondate di gente senza via di fuga, migliaia di spettatori intrappolati e scossi come acqua in un secchio. Che meraviglia scoprire che Erika Pioletti, 38 anni, di Domodossola, venuta a Torino per amore del fidanzato e non per tifare Juve, è morta dopo giorni di agonia, sopraffatta dalla calca e schiacciata sotto i portici nobili di Torino.
Adesso, leggendo gli atti dell’inchiesta, con intercettazioni e messaggi recuperati da Instagram e Facebook, si scopre che Erika è morta per 60,06 grammi di oro. Nient’altro che tre manciate di collanine pesate su un bilancino, fotografate da Sohaib Bouimadaghen, 20 anni, e inviate il giorno dopo ad un amico per vantarsi.
Perché l’amico, dalla sera del 3 giugno 2017, aveva ricavato solo una felpa della Juventus. Tutto qui. Piazza San Carlo era soltanto un’occasione per fare un bottino. Sono le scarpe Nike, i viaggi in Europa e il nuovo Iphone X le motivazioni che spingono Sohaib detto «Budino» e i suoi amici a depredare gli spettatori con il peperoncino. Lo fanno ai concerti, nelle discoteche.
A Rotterdam, a Berlino, a Parigi. E lo fanno a Torino. Più volte. Anche dopo la finale di Champions League, nonostante una vittima, la valanga di feriti, il clamore e le polemiche per la sicurezza sottovalutata. Le loro imprese sono filmate, fotografate, postate sui social e commentate. Sohaib è un maestro.
Pochi minuti dopo il caos di piazza San Carlo, si riprende con il telefonino a correre in una delle più importanti vie commerciali della città, a pochi metri dall’epicentro della tragedia che ha marchiato per sempre l’anima di Torino.
«Sciade, sciade, sciade» dice lui sorridente, nel suo arabo incerto, perché in fondo è nato a Ciriè, cittadina di provincia. «Acchiappa, acchiappa, acchiappa». Alle spalle rumori di folla, sirene, gente che corre. Nel filmato, Sohaib inquadra anche il suo complice, Aymene Es Sabihi, con addosso una maglia della Juve per mimetizzarsi meglio.
«La loro corsa - scrivono gli investigatori nel fermo - di certo distesa e tranquilla, non è generata da panico o paura; sembra piuttosto essere una presa in giro nei confronti delle altre persone». E di prese in giro ce ne sono altre, scovate qua e là dagli investigatori nelle pagine social di questa gang di predatori, che ruota attorno alle imprese di «Budino», andato a scuola in uno degli istituti tecnici più blasonati della città, dove un tempo si forgiavano i tecnici della Fiat o chi aspirava a diventare artigiano.
Il 4 giugno, Sohaib condivide un messaggio sprezzante pubblicato sulla sua pagina Facebook, quasi compiacendosi nell’avvicinare le tragedie che infiammano il medioriente agli eventi di piazza San Carlo, partendo da una ringhiera di ferro del parcheggio sotterraneo piegata come gomma dalla calca di gente.
«Una ringhiera vi ha messo in ginocchio, avete calpestato bambini e donne per un petardo, ve ne accorgete solo quando vi tocca la pelle, c’è chi si alza senza la propria famiglia, sotto le macerie di una casa distrutta, senza né acqua né cibo, contro le più grandi forze mondiali».
Ma non è stato un petardo a causare il caos. È stato lo spray: la specialità di «Budino» e della sua banda. Nel pomeriggio del giorno della finale, Sohaib e due dei suoi complici incontrano un amico, confidandogli che in serata sarebbero andati in centro per «andare a lavorare» e a «fare serata». A rapinare. E poi leggono i giornali. Fanno commenti sulle indagini, che sembrano muoversi incerte alla ricerca di tracce di spray tra gli oggetti sequestrati quella sera in piazza.
Quella di «Budino» e dei suoi amici è la storia di una scalata criminale. Dopo aver mosso i primi passi facendo piccoli colpi nei centri commerciali, confondendosi con altri gruppi che trovano più efficiente usare il peperoncino al posto dei taglierini per rapinare la gente, piazza San Carlo è la svolta. La spregiudicatezza del gruppo sta nel colpo del 9 luglio, a poco più di un mese dalla finale. Altro spray, altre collanine razziate, altro panico. Ma il peso del rimorso preme. Pochi giorni fa, quando ormai il gruppo avverte la pressione delle indagini, Sohaib chiama un amico. «Sai frate, ho un peso troppo grosso della Juve, te lo giuro non riesco a dormire». Racconta al telefono intercettato che voleva andare dalla polizia e confessare. «Minchia, volevo dire loro che io aveva spruzzato. Sto impazzendo, frate». L’amico ascolta e risponde: «Stai calmo, tranquillo prima che sollevi casini che ti pentirai dopo».
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