NELLO STESSO OSPEDALE 20 ANNI FA PER LO STESSO INTERVENTO FU CHIAMATO UN CHIRURGO GIAPPONESE
I RISCHI MAGGIORI SONO NEL PRIMO ANNO, POI IL BAMBINO POTRÀ VIVERE NORMALMENTE
Enza Cusmai per il Giornale
Fin dove può arrivare l'amore di un genitore per il proprio figlio? «Darei la vita», qualcuno sostiene. E in effetti, sia pure a malincuore, si potrebbe arrivare fino all'atto estremo pur di salvare il sangue del proprio sangue.
Per fortuna in questo caso nessuno è arrivato a tanto. A un bimbo gravemente malato di neanche un anno di vita, una manciata di chili, dieci in tutto, è stato donato un pezzo di fegato da parte del suo papà. E ora tutti e due stanno bene grazie anche all'abilità dell'équipe del Centro di chirurgia epatobiliare e trapianti di fegato dell'Azienda ospedaliera universitaria di Padova, diretta dal professor Umberto Cillo.
Durante l'intervento è stato prelevato il 25% del fegato al padre, precisamente il lobo sinistro, che è poi stato impiantato nel suo bambino. A dire il vero anche la mamma si era resa disponibile ma la scelta dei medici è caduta sul padre visto che in famiglia c'è da accudire anche un altro figlioletto.
Il dramma familiare ha avuto un lieto fine così come il precedente intervento effettuato circa 20 anni fa sempre nello stesso ospedale. Anche allora a Padova si effettuò un trapianto epatico da donatore vivente ma l'équipe era guidata da un chirurgo giapponese.
Era il 1997 quando un ferroviere croato donò parte del suo fegato al figlio, colpito da tumore; un intervento che allora fece talmente tanto positivo scalpore, che il ragazzino venne poi ricevuto dal Papa.
Anche agli Ospedali Riuniti di Bergamo c' è stato però un caso analogo. Gabriel, un bimbo che era in lista d' attesa da quattro mesi, si è salvato grazie al gesto d' amore del padre, di origini cubane, che gli ha donato parte del proprio fegato.
Ma si può crescere senza il timore del futuro con un fegato trapiantato da piccolo? Dipende molto dall' intervento chirurgico e dalla qualità dell'organo trapiantato ma, in generale i bambini, possono condurre una vita pressoché normale.
Significativo è il primo anno post-trapianto: minori le complicanze, maggiori le prospettive per il futuro. Per quello epatico, se non si verificano particolari complicanze e l'organo era perfettamente funzionante, i benefici clinici possono durare 30 anni.
Inoltre, secondo le statistiche, se i donatori sono genitori il rischio di mortalità e le complicanze post-trapianto sono più bassi. E gli esperti confermano che spesso le cose vanno bene.
Per esempio, un paziente trapiantato negli anni '90, con una porzione di fegato del padre, attualmente studia, fa sport e non prende neppure gli immunosoppressori.
I trapianti tra vivi dunque sono oliati ormai ma non è molto lontano il 2001 quando il primo trapianto di fegato tra viventi adulti ad opera di medici italiani venne effettuato al Niguarda.
E questa volta, fu un figlio di 32 anni che donò il lobo destro a suo padre, 60 anni, in lista di attesa da mesi, preceduto però da altre sette persone. L'uomo era stato colpito da cirrosi epatica ormai giunta all' ultimo stadio e i medici gli avevano dato solo un mese di vita. Così il figlio si era rivolto ai medici del reparto chiedendo l'applicazione della legge del 1999 che autorizzava il trapianto da vivente.
A Pisa invece è stata una madre invece a ridare un sorriso a suo figlio. Gli ha donato un rene e ora è un bambino felice che «non salta mai neppure un giorno di scuola». Ma la conquista della sua normalità, per un bambino di 8 anni, è passata attraverso un fatto che di normale ha poco: il donatore aveva una doppia incompatibilità (per gruppo sanguigno e per anticorpi). Ma a distanza di 8 mesi sia il bambino che la madre stanno bene e hanno una funzione renale completamente normale.
17 aprile 2018
Fonte: qui
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