L’emigrazione italiana non si ferma, anzi aumenta. Istat ha pubblicato i dati delle migrazioni dei nostri residenti che confermano un trend crescente di questo fenomeno che peraltro interessa sempre più i giovani laureati. Il numero degli emigrati italiani, infatti, si è più che triplicato rispetto a dieci anni prima passando dai 36mila del 2007 ai 115mila del 2016. Le immigrazioni, d’altro canto, ossia gli ingressi di persone nel nostro paese, interessano i nostri connazionali solo nel 13% dei casi (38mila). I due flussi danno origine così a un saldo migratorio dei soli cittadini italiani di -77mila unità.
Si nota che nell’anno le emigrazioni verso l’UK sono passate da 17 mila a 25 mila. Istat ipotizza che ciò sia motivato dalla Brexit: può dipendere dalla necessità di registrarsi in AIRE (Anagrafe Italiani Residenti all’Estero) per poter dimostrare di essere residenti nel territorio britannico prima che vengano resi esecutivi i negoziati di uscita dall’Ue. È presumibilmente una “regolarizzazione” di italiani che già si trovano nel Regno Unito e che potrebbero quindi non essersi necessariamente trasferiti nel corso del 2016. Gli altri Paesi di destinazione degli emigrati di cittadinanza italiana sono prevalentemente dell’Europa occidentale: Germania (19mila emigrati), Svizzera e Francia (circa 11 mila), Spagna (6 mila). La fascia d’età in cui si registra la perdita più marcata è quella dei giovani dai 25 ai 39 anni: circa 38 mila unità in meno, con un’incidenza di laureati del 28,5%. Gli immigrati italiani, invece, provengono più frequentemente da Germania (5mila immigrati), Brasile (5 mila), Regno Unito e Svizzera con oltre 3mila immigrati. Infine, sono 81mila gli emigrati italiani con più di 24 anni nel corso del 2016, l’11% in più rispetto all’anno precedente. Di questi, quasi 25mila posseggono la laurea (31%). Per converso, gli immigrati italiani con più di 24 anni sono 27mila (+6mila sull’anno precedente). Di essi, oltre 10mila posseggono la laurea (37%), circa 17mila hanno un titolo di studio medio-basso (63%) e provengono prevalentemente da Germania, Brasile e Svizzera.
Effetto Brexit sull’immigrazione in Uk. Il dato italiano che fotografa un aumento delle domande di trasferimento nel Regno Unito nel 2016 sembra in controtendenza rispetto a quello generale rilevato dall’istituto di statistica britannico, che ha notato un notevole calo degli ingressi nel paese di persone in cerca di lavoro. Nei dodici mesi terminati a giugno di quest’anno, quindi a un anno esatto dal referendum sulla Brexit, sono stati 261.000, 51 mila in meno rispetto all’anno precedente. Buona parte del calo è stato provocato dai cittadini dell’EZ, diminuiti da 47 mila a 35 mila. Gli europei sono usciti dall’Uk, non il contrario.
I tagli delle tasse di Trump. La riforma fiscale Usa che prevede 1,4 trilioni di tasse ha suscitato diverse preoccupazioni durante il dibattito in Senato, dove era in discussione e infine è stata approvata, relativamente al fatto che alcuni repubblicani paventavano il rischio di un aumento rilevante del deficit pubblico come conseguenza immediata di questa riduzione. Alcuni esponenti repubblicani hanno pure provato a creare delle specie di clausola di salvaguardia, tali che i tagli alle tasse sarebbero stati rimossi qualora la ripresa economica non avesse generato entrate fiscali sufficienti a compensare il calo di gettito derivante dai tagli, ma la proposta non ha avuto successo. Preoccuparsi dell’incremento del deficit, peraltro, pare anche sensato considerando che il debito pubblico Usa è ormai stabilmente sopra il 100% del pil ed è visto in crescita.
Questo mentre gli oppositori sottolineano il paradosso che questi tagli favoriscono i ricchi a danno dei poveri. Un argomento che, plausibile o meno che sia, è fatto apposta per infiammare il dibattito e la polemica. Che però non hanno impedito chela riforma venisse approvata. E’ stato scritto che questo è il taglio fiscale più rilevante dai tempi di Reagan. E ciò dimostra ancora una volta un’evidenza poco osservata: gli anni ’80 non finiscono mai.
La Cina sogna un futuro di grande potenza, anche scientifica. La scienza ormai, con le sue applicazioni tecnologiche, detta le linee del progresso di una società. E quindi è comprensibile che le grandi potenza facciano grandi sforzi per mantenere la supremazia nella ricerca. E anche in questo campo la Cina ormai ha manifestato con chiarezza l’intenzione di insidiare il primato statunitense, visto che ormai la sua spesa equivale al 20% del totale globale.
Ciò mostra i suoi effetti anche sulla quantità di pubblicazioni scientifiche. Il numero di quelle cinesi ormai è secondo solo a quello statunitense, e in particolare quelle dedicate ai computer e all’ingegneria. Questa sfida si vede anche nel versante dell’istruzione scientifica.
E questo è solo l’inizio.
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