UN PAESE IN PREDA AL GIOCO D’AZZARDO: OGNI ITALIANO, INCLUDENDO NEONATI E CENTENARI, SPENDE 1.587 EURO L’ANNO. TRA I CONTRIBUENTI, L’11% DEL REDDITO SE NE VA IN GIOCATE
ANZIANA MALATA DI GIOCO: SPERPERATI 200MILA EURO DI RISPARMI
Alberto Pezzella per http://www.trevisotoday.it/
Quando il gioco diventa una malattia. Stiamo parlando della ludopatia, ovvero la dipendenza da gioco d'azzardo. Un fenomeno sempre più dilagante, anche nella terza età. Anche nelle strutture per anziani autosufficienti di Treviso non sono mancati episodi di questo genere. Il caso limite, ma solo la punta di un iceberg, secondo il direttore dell' ISRAA Giorgio Pavan, è quello di un'anziana, residente presso la casa albergo Salce, in viale Terza armata a Treviso. La donna usciva regolarmente tutti i giorni dalla struttura (era autosufficiente) e si recava alla ricevitoria per giocare.
Era diventata una vera e proprio malattia da gioco, tanto che l'anziana si è vista "bruciare" in meno di un anno i risparmi di una vita, ovvero la bellezza di 200 mila euro. Parrebbe che addirittura i gestori della ricevitoria, la venissero a prendere in auto per portarla tra gratta e vinci e gioco del lotto. La casa albergo gestita dall'ISRAA, quando ha scoperto l'accaduto, ha cercato di intervenire pur rispettando la libertà e l'autonomia della donna.
"E' un problema serio da non sottovalutare" - ci spiega il direttore dell'ISRAA Giorgio Pavan. Ed è anche per questo che anche l'ISRAA, assieme all'Ulss2, al Comune di Treviso e a molte altre associazioni, ha voluto inserire all'interno della "Settimana della prevenzione e della promozione del benessere" un ciclo di incontri legati anche agli aspetti psicologici, sanitari e sociali del gioco d'azzardo.
Il 22 Settembre (dalle 21), all'auditorium Stefanini, si terranno proprio delle tavole rotonde sul gioco patologico e sull'inquadramento giuridico del gioco d'azzardo in Italia. Un momento per riflettere e lavorare su un contesto, quello della ludopatia, con psicologi e psicoterapeuti ed esperti di questa patologia.
I RECORD NEGATIVI DI UN PAESE CHE È MALATO DI GIOCO D' AZZARDO
Gian Antonio Stella per il Corriere della Sera
«Nonna slot», l' ha ribattezzata un giornale locale. E buttato lì così pare un allegro nomignolo alla Jacovitti come Cocco Bill o Gionni Galassia. La tragedia della vecchietta trevisana che ha perso 200 mila euro alle macchinette, dove i premurosi «Lucignoli» delle sale-slot la portavano in auto andando a prenderla al ricovero, è solo l' ultima di un «Paese dei balocchi» infernale. Al quale è dedicato un dossier presentato oggi al Senato .
Si intitola «Lose for life», cioè «perdi per la vita», un gioco di parole che stravolge il nome, «Win for Life!» («vinci per la vita») di uno dei «gratta e vinci» più noti ai giocatori incalliti. È stato curato da Claudio Forleo e Giulia Migneco, è promosso dall' associazione «Avviso pubblico» che rappresenta oggi 370 soci tra Comuni, Città metropolitane, Province e Regioni, e ha un sottotitolo che dice tutto: «Come salvare un Paese in overdose da gioco d' azzardo».
Che sia in overdose è fuori discussione. Come spiegano i curatori, il nostro è un Paese che ha sempre giocato d' azzardo. Basti ricordare Charles Dickens che in Impressioni d' Italia racconta d' un invasato spettatore che urlava a un poveretto morente dopo una caduta da cavallo: «Se ancora ti rimane un soffio, dimmi quanti anni hai, fammeli giocare al lotto, per amore del Cielo!». Ma «l' indiscriminato aumento dell' offerta di gioco lecito, iniziato nel 1997 con l' introduzione di Superenalotto, sale bingo e scommesse, è piombata su una società impreparata a reggerne l' urto».
Pochi numeri dicono tutto. Nel 1998 gli italiani giocarono 12,5 miliardi di euro attuali, nel 2016 ben 96,1. Con una impennata mostruosa del 668%. In pratica ogni italiano, dal neonato al centenario in coma, scommette oggi 1.587 euro l' anno. Vale a dire «132 euro al mese, all' incirca il costo di una spesa settimanale di generi essenziali per una famiglia media». Se «prendiamo in considerazione solo i contribuenti, però (meno di 41 milioni di persone) la media sale a 2.357 euro pro capite, pari a 196 euro al mese». Il che significa che, avendo gli italiani dichiarato in media nel 2016 un reddito di 1.724 euro al mese, ne buttano in scommesse varie l' 11%.
Dicono i sostenitori della «filiera dell' azzardo»: tanta parte dei soldi torna indietro con le vincite. Ovvio: se non capitasse mai nessuno giocherebbe più. L' ammontare delle perdite è comunque di 19,5 miliardi. Il 54% va allo Stato?
Certo, ma qual è il rapporto costi-benefici?
«Guardando solo ai costi monetari», rispondono Leonardo Becchetti e Gabriele Mandolesi, «è evidente che i soldi spesi in azzardo sono sottratti ad altre destinazioni». Quei circa 20 miliardi sarebbero spesi infatti «in consumi che hanno un prelievo, fatta la media, superiore». Per non dire dei costi sociali. Non solo quelli delle cure mediche per le ludopatie ma anche quelli del «crollo della capacità lavorativa» di chi finisce dentro la «spirale di sovra-indebitamento e usura». Insomma, «nell' insieme le voci dei costi dell' azzardo vengono stimati in 5-6 miliardi di euro».
Vale la pena, per ciò che resta poi nelle casse dello Stato, di detenere in proporzione al Pil il record del Paese che perde più soldi nell' azzardo davanti agli Stati Uniti, al Regno Unito, alla Spagna, alla Francia e alla Germania dove i tedeschi superano appena appena un terzo della quota di perdite italiane? Se uno studio del Cnr «ci ricorda che il 42% dei giovani tra i 15 e i 19 anni nel 2015 ha giocato d' azzardo» vale la pena di mettere a rischio i nostri ragazzi?
C' è chi pensa che lo scioglilingua
(«Ilgiocoèvietatoaiminoriepuòcausaredipendenzapatologica») o l' invito al «gioco consapevole» possano servire davvero? Hanno già risposto non solo Maurizio Crozza (è come dire «annega con cautela, sparati con prudenza, buttati dalla finestra ma copriti per il freddo») ma pure, ricorda lo psicologo Mauro Croce, il prestigioso Institute National de Santé et de la Recherche Médical francese. Secondo il quale «il gioco responsabile è una ovvietà per tutte le persone che non giocano ma un paradosso per il giocatore, come dire "una baldoria ragionevole", "una ubriacatura moderata", "un eccesso calcolato"».
Per non dire, prosegue il dossier, del rapporto con le mafie: «Nel corso degli anni gli interessi delle organizzazioni criminali sul gioco si sono evoluti e l' ampliamento del gioco d' azzardo legale si è trasformato in una risorsa per le mafie, anziché in un freno agli affari» come teorizzarono, puntando sullo Stato biscazziere, vari governi di sinistra e di destra.
«L' elevato volume di danaro che ruota attorno a tale settore», accusa Giovanni Russo, Procuratore nazionale antimafia, «ha da sempre contribuito ad attirare le mire "imprenditoriali" delle organizzazioni mafiose, con pesanti ricadute non solo in termini di mancati incassi da parte dell' Erario dello Stato - sottratti dal gioco illegale - ma anche sul più ampio piano della sicurezza generale dell' ordinamento e dell' inquinamento del sistema economico nel suo complesso».
Non mancano, nel dossier, le posizioni delle imprese del settore (Stefano Zapponini, presidente di Sistema Gioco Italia, giura che «i veri nemici del gioco sono gli operatori illegali» e che «nel Dna degli operatori del settore non c' è mai stato, né mai ci sarà, la volontà o il disegno perverso di procurare danni a chi decide di divertirsi attraverso i diversi prodotti presenti nel panorama italiano del gioco») o del governo.
Che per bocca del sottosegretario Pier Paolo Baretta spiega che «il punto di partenza è stato il contrasto al gioco illegale», riconosce come alcuni calcoli iniziali fossero errati rispetto all' esplosione del fenomeno e che il freno agli spot televisivi «non è ancora sufficiente» ma rivendica anche gli sforzi per una mediazione e il tentativo di ridurre l' offerta «perché la parte patologica e compulsiva ha creato delle condizioni sociali che sono sbagliate in sé».
Né mancano le posizioni dei Comuni, delle Regioni, delle associazioni, di esperti come Maurizio Fiasco. La più toccante però (insieme con la storia raccontata da Toni Mira di Domenico Martimucci, il giovane calciatore ammazzato da una bomba nella guerra per il mercato delle slot) è forse la testimonianza di un giocatore pentito: «Mi sono giocato la casa, ho dovuto cambiare più volte posizione lavorativa per colpa della mia dipendenza. I miei datori di lavoro, sapendo che avevo due figlie, non mi denunciavano per evitare che fosse la mia famiglia a pagarne le conseguenze. Io approfittavo di quella che ritenevo essere una debolezza e continuavo a succhiargli l' anima». Finché finalmente capì che l' azzardo stava succhiando l' anima a lui .
Fonte: qui
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